Israele, ossessionato dalla minaccia iraniana danneggia se stesso

Israele giustifica più di 200 raid sulla Siria nascondendosi dietro la minaccia iraniana ma né l’Iran né Hezbollah ha mai attaccato Israele nel proprio territorio nazionale – E’ plausibile però che la situazione situazione attuale – dopo l’abbattimento dell’IL 20 russo  – porterà ad esiti imprevedibili.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”23″]Le mosse della Russia per rompere il patto Israele-jihadisti[/su_heading]

La Russia è riuscita ad imporre una no fly zone per impedire a Israele di sostenere le forze anti-Assad con la scusa di colpire l’Iran.

L’analisi di Patrizio Ricci

Alcune unità di specialisti della difesa aerea del “Corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniane” (Irgc) sovrintendono in Siria al programma missilistico indispensabile per l’esercito siriano a conseguire i successi sinora ottenuti su quelli che anche l’Onu chiama “terroristi”.

Ciononostante, tali unità dell’Irgc — insieme ai depositi e centri di ricerca in cui operano — sono considerati da Israele come obiettivi “legittimi” perché interessati anche a trasferire sistemi missilistici di precisione alle milizie Hezbollah libanesi.

La motivazione israeliana però non considera alcuni dati evidenti: sia Hezbollah (dal 2012) che le forze regolari iraniane (dal 2014) non hanno preso parte alla guerra siriana per ingaggiar battaglia con Israele ma per impedire l’implosione dello Stato siriano attaccato da tutte le frontiere da una galassia di jihadisti foraggiati dall’occidente.

Evidentemente quel che dimentica lo Stato di Israele quando reclama il diritto alla propria autodifesa è che esso stesso nella guerra siriana è stato parte integrante del piano occidentale di “regime chance” e disintegrazione dello Stato siriano. Infatti, l’alleanza di interessi tra la galassia di forse ribelli e Israele è cosa ormai acclarata: c’è un report dell’Onu delle Forze di interposizione delle Nazioni Unite (Undof) che ne documenta il supporto diretto, ne hanno parlato il Jerusalem Post e un altro giornale israeliano, Haaretz. E prima ancora, sul Wall Street Journal, lo spokesman di uno dei gruppi ribelli supportati ha pubblicamente riconosciuto che “se non fosse stato per Israele, non avremmo mai potuto tenere testa all’esercito siriano di Assad”.

Inoltre, la scelta dei target degli aerei con la stella di David spesso non sono stati obiettivi assimilabili con il pericolo iraniano. Tra i target aerei ci sono stati infatti obiettivi situati ben lontani dal confine israeliano e molto spesso si è trattato di obiettivi civili. Tra questi, si va dai raid aerei su centri per la produzione di farmaci oncologici o su centrali elettriche e fabbriche di rame, fino ad arrivare all’intervento diretto e non giustificato contro le forze siriane.

Evidentemente questi dati vanno a sgretolare le dichiarazioni di Tel Aviv secondo le quali le proprie incursioni aeree costituirebbero un legittimo esercizio di “difesa preventiva”. Al contrario, provano che le azioni offensive effettuate non rispondono solo ad un a logica di tamponamento e limitazione del danno, ma sono state intraprese secondo una logica di co-belligeranza. Infatti, i raid israeliani sono diventati sempre più frequenti proprio in corrispondenza dei maggior successi sul campo ottenuti dall’esercito siriano, fino a culminare nell’attacco del 17 settembre intorno alla base russa di Hmeimim che ha causato l’abbattimento dell’aereo da ricognizione russo IL20 e la morte dei suoi 15 membri dell’equipaggio.

Ma anche in questo caso le cose non sembrano andare come previsto: la novità è che ora Mosca, con una mossa a sorpresa, è riuscita a prendere come punto di partenza questo incidente per imporre alcune richieste allo stato ebraico che altrimenti non avrebbe mai ottenuto. Infatti, subito dopo che Israele “ha innescato una serie di eventi che hanno causato l’abbattimento dell’aereo russo”, la Russia ha imposto per una settimana una sorta di No fly zone su tutta la zona costiera affinché diventasse immediatamente impossibile il reiterarsi di un analogo episodio. Il Cremlino ha comunicato al governo israeliano che intende mantenere queste disposizioni come permanenti: Tel Aviv dovrà rispondere entro il 26 di settembre se intende accettare le nuove regole di ingaggio richieste che prevedono la chiusura dello spazio aereo che va da Cipro fino al nord della Siria.

L’iniziativa naturalmente mette in guardia anche gli Stati Uniti, che stanno portando in zona di operazioni al largo della Siria un gruppo di battaglia guidato dalla portaerei Truman.

Non ci si aspetta naturalmente solo il sì israeliano. E’ plausibile che nel periodo in cui sarà attivo il Notam, si stiano già applicando ulteriori misure deterrenti. In questo senso, la Russia ha ottenuto da Teheran l’utilizzo della base aerea di Nojeh nell’Iran nord occidentale, aumentando così la capacità area sui cieli siriani. Inoltre, ulteriori sistemi di difesa contraerea saranno posizionati intorno alla fascia costiera e a difesa dei principali punti strategici siriani. Dato il ridotto tempo a disposizione il personale operativo per l’impiego dei sistemi d’arma sarà fornito, almeno parzialmente, da russi o iraniani (come del resto già avviene in tutti i principali sistemi attualmente operativi).

Vedremo se queste misure serviranno finalmente a ricondurre tutte le parti in causa a metodi di dialogo che non siano effettuati — come oggi — a mano armata.

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