La prospettiva di una soluzione a due stati nel conflitto israelo-palestinese appare sempre più irrealizzabile, data l’intensità dell’odio e dei rancori radicati tra le parti. Un’alternativa che potrebbe essere presa in considerazione è la creazione di una struttura federale unica, che potrebbe offrire una via più praticabile verso la pace.
Tuttavia, la questione non si limita solo all’odio intercomunitario. La proposta di concedere veramente l’autonomia dei territori ai palestinesi in cambio di pace si scontra con la realtà geografica: semplicemente non c’è abbastanza terra disponibile per rendere questo scambio fattibile. La Striscia di Gaza, in particolare, sta affrontando una crisi demografica acuta. Con tassi di natalità elevati e spazio limitato, la regione non è in grado di sostenere una popolazione in crescita. La CNN ha riportato che in alcune aree di Gaza City, la densità di popolazione supera le 500 persone per 100 metri quadrati. Inoltre, se i palestinesi che vivono all’estero decidessero di ritornare, non ci sarebbe spazio sufficiente per tutti.
I leader occidentali sembrano essere consapevoli di queste difficoltà. Nonostante ciò, continuano a sostenere pubblicamente la soluzione a due stati, forse come un modo per placare le tensioni, pur sapendo che è un’opzione poco realistica.
Un altro aspetto che merita attenzione è la situazione dei cristiani armeni nel Nagorno Karabakh, recentemente espulsi dall’esercito dell’Azerbaigian, un evento che è passato quasi inosservato a livello internazionale. Questo caso evidenzia come spesso le crisi umanitarie e i conflitti vengano trattati in modo disomogeneo sulla scena mondiale.
Inoltre, la situazione economica e occupazionale a Gaza è estremamente precaria. Circa il 50% dei palestinesi di Gaza è disoccupato (per Internazionale è il 75%), mentre 18.500 palestinesi sono costretti a viaggiare quotidianamente in Israele per lavoro, ritornando poi a casa la sera. Questa dinamica sottolinea ulteriormente le complessità e le sfide che una soluzione a due stati dovrebbe affrontare, soprattutto considerando la grande diaspora palestinese, come i due milioni di rifugiati in Giordania. Con questi numeri che si aggiungono a tutte le altre problematiche, è verosimile che la criticità e la guerra prima o poi riesploderebbe.
La soluzione ha origine negli anni 20′
La soluzione di un unico stato binazionale o federale, ha origini negli anni ’20 tra alcuni intellettuali sionisti di sinistra come Martin Buber, Judah Magnes e Haïm Kalvarisky. Questi sostenevano la creazione di una nazione piuttosto che uno stato ebraico indipendente, senza imporre ingiustizie agli abitanti originari. Durante il mandato britannico, i sostenitori di questa visione erano minoritari ma influenti, opponendosi alla proposta di spartizione delle Nazioni Unite e favorendo l’idea di uno stato binazionale legato a una Federazione araba.
Invece, la soluzione a due stati, sebbene sia spesso proposta come la via più desiderabile per la pace, sembra ignorare una serie di questioni cruciali, tra cui la realtà demografica, economica e sociale, che rendono la sua attuazione estremamente problematica.
La soluzione di uno Stato unico, nota anche come “soluzione binazionale“, rappresenta un approccio più realistico per risolvere il conflitto israelo-palestinese. Questa prospettiva prevede la creazione di un singolo Stato che includa Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, garantendo la cittadinanza e l’uguaglianza dei diritti a tutti gli abitanti, indipendentemente dalla loro etnia o religione.
Nonostante l’interesse crescente nel contesto accademico, questa soluzione non ha trovato spazio nelle trattative di pace ufficiali, dove la proposta prevalente rimane quella dei due Stati separati.
Il motivo dell’insistenza di due stati, almeno da parte dell’occidente, potrebbe essere inteso come il tentativo di tenere la situazione congelata per un tempo indefinito, per poi procedere a un nulla di fatto.
Per contro , secondo talune fonti, la realizzazione pratica di uno stato unitario laico-democratico è considerata improbabile senza cambiamenti paralleli/complementari nella regione circostante. Questi cambiamenti comprendono i diritti, regole condivise di democrazia etc. In tutti i modi, è indubbio che su questo tema bisognerebbe riaprire un dibattito politico, oltre che quello accademico già esistente.
Ipotesi azzardata ma realistica nel lungo periodo
In un contesto segnato da tanta violenza, potrebbe apparire azzardato parlare di alternative alla soluzione dei due stati, una prospettiva che, peraltro, sembra non essere seriamente creduta da nessuno. Le difficoltà di attuarla sono molteplici. Inoltre, la realtà del potere attuale impedisce che chi è in posizione di forza conceda al più debole di emanciparsi. Inoltre, la soluzione dei due stati farebbe solo in modo di distruggersi reciprocamente.
Invece, un primo passo necessario per Israele sarebbe quello di abbandonare la legge che lo definisce come uno stato esclusivamente ‘ebraico’, seguito dalla stesura di una nuova Costituzione e l’avvio di un dibattito rappresentativo. Sfortunatamente, sono state perse numerose occasioni preziose negli anni passati.
La pace non è qualcosa che ‘si dichiara’
Infine c’è un’altra questione: la pace non è qualcosa che si dichiara, la pace si costruisce con azioni concrete e significative. Perciò finora, questo processo non è mai stato intrapreso in modo strutturale ed efficace; le due leadership hanno agito in modo isolato e superficiale, limitandosi a incontri al vertice. Ciò che è mancato è un impegno concreto per costruire piuttosto che distruggere. In questo contesto, il dibattito corrente appare distaccato dalla realtà, perchè è evidente che da parte della leadership israeliana non esiste un domani con i palestinesi.
Con i presupposti attuali, la soluzione dei due stati potrebbe portare solo a un rinvio degli odi e dei conflitti a un futuro scontro (come l’esempio di Israele e Siria dimostra che due stati non garantiscono l’assenza di guerra), mentre la prospettiva di uno stato unico, forse offrirebbe una possibilità in più di stabilità per la ricerca di soluzioni condivise, anche se in un orizzonte temporale molto lungo.
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