Venerdì 16 nell’arco di pochi minuti “stranamente” all’unisono ministri primi ministri e presidenti dei vari paesi Nato denunciano brutalmente la responsabilità russa per la morte di Navalny, celebrato come eroe e combattente per la libertà. A poche ore dalla conquista da parte dell’esercito russo dell’importante snodo di Advivka, che sancisce la grande difficoltà dell’esercito Nato-ucraino.
Interessante a tal proposito la sconsolata testimonianza, riportata sulla “Verità” di oggi, del comandante ucraino Nazar, il quale ammette il grave stato di difficoltà in cui versano le truppe. L’inviato sul campo – il giornalista Niccolò Celesti, che intervista il Nazar – non può fare a meno di scrivere che «da quando siamo rientrati in Ucraina, qualche giorno fa, abbiamo trovato per la prima volta segnali diffusi di malcontento fra i soldati. Una sensazione generale di insicurezza e paura». Dubbio complottista: serviva deviare l’attenzione dalla grave situazione in Ucraina, che gli stessi commentatori occidentali non possono ignorare?
Ma, tornando a Navalny, torna utile leggere l’articolo “La mano di Londra sulla morte di Navalny” del politologo statunitense ed esperto di Russia, Gilbert Doctorow.
Doctorow è convinto che la morte di Navalny serve a distrarre l’attenzione, per esempio è un «antidoto» al «grande colpaccio» rappresentato dall’intervista di Carlson Tucker con Putin appena una settimana fa. Poi, dopo aver analizzato tutte le operazioni sotto falsa bandiera che sono state dirette dall’Occidente contro la Russia nell’ultimo decennio, Doctorow spiega perché il Regno Unito, fortemente impegnato in una guerra “non” così segreta contro la Russia (citando da una serie di fatti), sia il principale indiziato nell’assassino di Navalny. Chi voglia leggere l’articolo vada nella sezione commenti.
Una serie di circostanze rende improbabile che sia stata la Russia a orchestrare l’uccisione di Navalny (per i distratti: alle dipendenze dei servizi americani). Ma più che altro, sorge spontanea la classica e semplice domanda “cui prodest?” (a chi giova?), cioè che tipo di beneficio avrebbe tratto Putin da questa eliminazione. I fatti dimostrano che della morte di Navalny sia il fronte Nato a trarne beneficio, almeno sul piano della propaganda.
Nel frattempo assistiamo invece al totale concertato silenzio sulla riunione dell’Alta Corte britannica per decidere sull’estradizione del fondatore di “Wikileaks” Julian Assange negli Usa, dove il giornalista australiano dovrebbe affrontare la grave accusa di spionaggio rischiando fino a 175 anni di carcere. Da ricordare che Assange è in regime di stretto e feroce isolamento dall’11 aprile 2019 presso la prigione di sua maestà Belmarsh, chiamata la “Guantanamo inglese”. I britannici detengono Julian Assange da cinque anni senza capo di imputazione, semplicemente perché lo vogliono gli americani, loro si giustificano dicendo che il giornalista australiano rivelando segreti di stato ha messo in pericolo – udite udite! – le operazioni delle democrazie occidentali.
Ma quali sono queste rivelazioni? Assange pubblicò il 25 luglio 2010 su “Wikileaks” gli “Afghan War Diary”, i diari di guerra afghani, poi in ottobre gli “Iraq War Logs”, enormi quantità di rapporti che documentavano i crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. Ma la sua imperdonabile colpa è quella di aver svelato con i cablo tutta la corruzione dei governi delle diplomazie dei gruppi finanziari occidentali, e le mail private che mettono in luce la preparazione delle cosiddette primavere arabe, le rivolte in Siria e la distruzione della Libia (le mail della Clinton contengono le vere motivazioni per l’uccisione di Gheddafi: impedire la costruzione di una moneta africana per sganciarsi dal franco francese e dal dollaro). Assange ha in sostanza offerto le prove – come acutamente ha osservato Francesco Toscano – che quello che tutti chiamano complottismo è Storia.
Chiaro perché il “mondo libero”, che usa chiamare i suoi bombardamenti su popoli recalcitranti umanitari, non può perdonargliela a Julian Assange?
Lunedì sera alla fiaccolata per Navalny nella piazza del Campidoglio a Roma c’erano: dal primo cittadino Roberto Gualtieri alla segretaria del Pd Elly Schlein, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, Tommaso Foti e Lucio Malan di Fratelli d’Italia, una delegazione di Italia Viva guidata da Maria Elena Boschi, Carlo Calenda (il promotore) con il gruppo di Azione, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli per Alleanza Verdi-Sinistra, il leader della Cgil Maurizio Landini, quello della Cisl Luigi Sbarra, Pier Ferdinando Casini, i capigruppo in Camera e Senato del M5S Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli, Paola Taverna e Virginia Raggi. E ancora Giuseppe Provenzano e Filippo Sensi sempre per il Pd.
Ricordiamoci questi nomi, a futura memoria. Uno per uno, anche i cosiddetti pacifisti. Patetici burattini della Nato, ci aizzano contro la Russia per difendere le “democrazie occidentali” che non si fanno scrupolo di commettere crimini nel mondo a difesa del privilegio di essere il “miliardo d’oro”. E se scopri le carte, come ha fatto Julian Assange, te la fanno pagare cara.
Julian Assange libero!
Fonte: Antonio Catalano
^^^
neretto: VP