La “conversione” della Turchia prepara la fine dell’Isis

L’offensiva strategica di Russia, Turchia e Iran procede. Toccherà alla Turchia risolvere il problema dei jihadisti confluiti nella città di Idlib. Lo scenario.

di Patrizio Ricci

Era il 23 gennaio 2016 quando il New York Times nell’articolo “U.S. Relies Heavily on Saudi Money to Support Syrian Rebels”, rivelava il nome in codice della guerra multinazionale segreta della Cia in Siria: il piano si chiamava Timber Sycamore. La scelta di questo nome trova il suo significato nell’intenzione di “piantare” i ribelli in Siria come appunto gli alberi di sycamore (platano), caratterizzati da una crescita molto rapida. Il New York Times svelava che questa era la modalità con cui l’Arabia Saudita e la Cia avevano preparato una guerra segreta per rovesciare il governo di Bashar al Assad. Il progetto contemplava che gli altri stati collaboratori, la Turchia, la Giordania e il Qatar, provvedessero alle reti di reclutamento e di  approvvigionamento delle armi destinate alle milizie jihadiste.

La novità è che la settimana scorsa sono stati svelati ulteriori dettagli del piano Timber Sycamore. Una accurata indagine effettuata dai gruppi di monitoraggio “Investigative Reporting Network” (Birn) e dall’Organizzazione per il monitoraggio della Criminalità e Corruzione (Occrpi) ha infatti messo alla luce che l’amministrazione americana ha regalato all’opposizione armata armi per un totale di 2,2 miliardi di dollari. Di questa somma, la prima tranche da 1,2 miliardi di euro è stata finanziata dall’Arabia Saudita, dalla Giordania, dalla Turchia e dagli Emirati Arabi Uniti.

Le armi venivano consegnate alle milizie che gli Usa individuavano come “moderate”. Erano però solo operazioni di facciata: le forniture di armi spesso transitavano dai destinatari finali ai comandi unificati dei ribelli che le mettevano a loro volta a disposizione delle organizzazioni jihadiste (vedi report Kölner Stadt-Anzeiger).

In definitiva, il supporto estero degli stati cospiratori ha portato alla situazione che ben tutti conosciamo, che si è protratta in Siria per sei anni senza una soluzione fino all’intervento della Russia nel 2015.

Solo quando l’iniziativa di pace è passata dagli stati complottisti a Russia e Iran, i “cattivi ragazzi” sanzionati dalla comunità internazionale, si sono potuti osservare i primi progressi sanciti con l’iniziativa dei negoziati di pace tenutisi ad Astana (Kazakistan). Mosca, Teheran e Ankara si sono fatti garanti dei primi tentativi di cessate il fuoco. La collaborazione della Turchia, come sappiamo, è stata la conseguenza del fallito colpo di stato tramato dagli Usa contro Erdogan: quell’evento ha fatto decidere il presidente turco a “cambiare registro” ed a collaborare con Russia ed Iran. Questo avvicinamento ha portato alla liberazione di Aleppo ed ha permesso successivamente la creazione di zone di de-esclalation in tutta la Siria.

Il percorso intrapreso ha portato al sesto round delle trattative di pace di Astana svoltesi il 14 e 15 settembre con la partecipazione dei paesi garanti (Russia, Turchia e Iran), le opposizioni armate e il governo siriano.

Nella capitale kazaka si è cercato di risolvere la problematicità di Idlib, la città siriana roccaforte di una coalizione di forze ribelli in cui predomina il gruppo al Nusra (al Qaeda in Siria). La soluzione condivisa per Idlib è quella di creare una zona di de-escalation estesa in tutta la provincia. Questo territorio sarà diviso in tre settori affidati rispettivamente a Turchia, Russia ed Iran. Il primo settore, quello più vicino al confine (che comprende la città di Idlib), sarà di competenza della Turchia. La parte immediatamente contigua (che arriverà fino a toccare il territorio di Aleppo), sarà di competenza della Russia. Infine, la parte più ad est della provincia, sarà affidata alla vigilanza dell’Iran. Per svolgere al meglio il proprio compito, i tre stati garanti formeranno un comando unificato che coordinerà le forze che dovranno assicurare il rispetto del cessate il fuoco.

Essendo le forze russo-siriane fortemente impegnate per la stabilizzazione del resto della Siria e l’eliminazione dell’Isis, spetterà alla Turchia l’eliminazione dei terroristi da Idlib. Questo compito sarà favorito dai ribelli “moderati”, esasperati dalle faide scatenate dai jihadisti di al Nusra che negli ultimi mesi hanno messo a segno una serie di attacchi contro le altre fazioni ribelli per imporre il proprio predominio ed inglobarle.

Non si conosce al momento come Ankara risolverà la presenza di al Qaeda nella città di Idlib, tuttavia è noto che la Turchia controlla molte milizie all’interno della città, per cui ha molte carte da giocare. All’uopo comunque l’esercito turco — per far fronte ad ogni evenienza — sta mobilitando 25mila uomini, una forza ben superiore ai 9mila uomini che costituiscono la forza a disposizione di al Nusra.

Come tutti i compromessi, anche per Ankara vale la filosofia “win-win”: è innegabile che l’interesse per la Turchia ricada soprattutto sulla possibilità offerta dagli accordi di stabilire una sua presenza in un’area in cui ha sempre esercitato la sua influenza, utile tra l’altro anche a frenare le ambizioni di indipendenza curde. Per questo, c’è la certezza che approfitterà del suo ruolo per ostacolare le aspirazioni di indipendenza curde (come ha già fatto precedentemente fatto durante l’operazione “Scudo dell’Eufrate”).

In questo contesto di grandi speranze non giova l’atteggiamento ostile di Israele e quello degli Stati Uniti costantemente “fluttuante” tra dichiarazioni distensive e ostili ripensamenti. Tuttavia questi fattori difficilmente incideranno sui prossimi eventi, determinati grandemente delle repentine conquiste militari messe a segno dall’esercito siriano. Proseguendo in questa linea, il governo siriano ha mobilitato metà delle forze armate di cui dispone per la definitiva liberazione di Deir Ez Zor e della parte a nord della Siria. La terza fase dell’operazione “Lavender” (Grande Alba) è appena partita. Ha come scopo la riconquista di tutto il territorio ancora occupato da Isis dalla riva est dell’Eufrate fino al confine iracheno. Per facilitare questo compito, in una azione coordinata, l’esercito iracheno ha lanciato una vasta operazione (insieme alle “milizie di mobilitazione popolari” sciite): l’obiettivo è di liberare tutto il proprio territorio fino ad Abu Kamal dove si incontrerà con le forze dell’esercito siriano. La fine di questa campagna dovrebbe decretare la cessazione definitiva delle ostilità in tutto il paese che permetterà poi di concentrarsi sugli enormi problemi interni.

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