Il Financial Times con l’articolo Kremlin sends ‘message of fear’ to Vladimir Putin challengers ha messo in luce un deciso irrigidimento delle strategie del Cremlino per assicurarsi il dominio sull’ambiente elettorale russo, esemplificato dall’esclusione di Boris Nadezhdin, candidato pacifista, dalle elezioni presidenziali previste per il 15-17 marzo. Tale azione evidenzia un’intolleranza sempre più marcata verso ogni forma di critica, in una situazione dove il successo di Vladimir Putin appare inevitabile.
La scomparsa di Alexei Navalny, tra i critici più accesi di Putin, ha intensificato il senso di intimidazione all’interno dell’opposizione, venendo percepita come un monito severo contro chi osa sfidare l’autorità del regime. Sebbene non vi siano prove dirette che colleghino Putin alla morte di Navalny, l’evento ha avuto come conseguenza l’imposizione di sanzioni internazionali e un rafforzamento della posizione ostile dell’UE. In questo scenario, il modello di “democrazia gestita” precedentemente promosso da Putin, che garantiva almeno esteriormente il rispetto di alcuni principi democratici, sembra essere stato abbandonato a favore di una repressione più esplicita e aggressiva contro ogni opposizione.
L’impedimento posto a candidati pacifisti di partecipare alle elezioni e l’esclusione di Nadezhdin da parte della commissione elettorale, a causa di presunte irregolarità nelle firme, rappresentano chiari segnali di un’azione del Cremlino volta a rafforzare la posizione di Putin, eliminando sorprese elettorali indesiderate e trasmettendo un inequivocabile “messaggio di paura” a chiunque valuti l’idea di contrapporsi allo status quo.
Ma la critica verso l’intensificarsi dell’autoritarismo sotto la guida di Putin spesso trascura il complesso scenario internazionale in cui la Russia si trova, fronteggiando un conflitto alimentato da oltre cinquanta nazioni occidentali. Paragonando la situazione con quella ucraina, si osserva un regime ancor più rigido: l’Ucraina – dove vige la legge marziale – infatti soppresso ogni partito di opposizione e chiuso giornali e canali televisivi che proponevano visioni alternative. È inoltre significativo notare che di recente il governo ucraino ha di fatto provocato la morte di Gonzalo Lira, detenuto nelle sue prigioni unicamente per le sue attività giornalistiche critiche nei confronti del regime.
La critica espressa dal Financial Times riflette, in ultima analisi, quella dell’Unione Europea, che a sua volta manifesta tendenze autoritarie evidenziate dalla soppressione delle voci dissidenti, camuffata da lotta contro la disinformazione, e dall’imposizione di agende ideologiche che erodono la sovranità degli stati membri.
Sorprendentemente, le tendenze autoritarie osservate in Russia trovano paralleli, seppur in contesti diversi, anche in Europa e negli Stati Uniti. In Europa, il pretesto della lotta contro la disinformazione viene spesso utilizzato per silenziare le critiche dirette alle politiche promosse dalla Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen. Ciò si traduce nell’imposizione di agende ideologiche che vanno dalla promozione dell’eutanasia e dell’aborto, etichettate come questioni di “salute riproduttiva”, all’adozione di ideologie woke e di genere, presentate come simboli di avanzamento sociale.
Le dinamiche elettorali negli stati membri dell’Unione Europea sono frequentemente soggette a influenze esterne, con partiti al governo che tendono a conformarsi docilmente alle direttive dell’UE. Questo comportamento si traduce nell’adozione di politiche che promuovono la deindustrializzazione e incidono negativamente su settori cruciali come l’agricoltura, minando al contempo diritti fondamentali come l’autarismo sanitario, e plasmando tutta la società ed i comportamenti umani, financo a imporre persino le abitudini alimentari, attraverso l’imposizione di determinate scelte, tutte motivate dalla necessità di “ridurre le emissioni di CO2”.
L’architettura istituzionale dell’Unione Europea, caratterizzata da un Parlamento che si trova nell’impossibilità legislativa nell’assumere un ruolo legislativo effettivo e da una Commissione non eletta che detiene un’autorità quasi assoluta, evidenzia una profonda carenza di democrazia e sovranità nazionale.
L’iniziativa tedesca di considerare l’eventuale proibizione dell’AfD come legittimo partito politico, illustra in modo significativo questa tendenza verso l’autoritarismo, dimostrando come l’Europa, pur attraverso metodi e contesti differenti, metta in atto politiche coercitive e manipolative con un zelo che ricorda l’approccio autoritario di Putin.
Da una parte, la Russia sembra eludere molte delle restrizioni, sia esplicite che velate, che vengono imposte in Europa; dall’altra, emerge il dubbio se l’Europa stia effettivamente perseguendo un percorso di liberalismo o se si stia invece orientando verso un’alternativa meno liberale. La tendenza verso l’autarchia manifestata da Putin può essere interpretata, in larga misura, come una risposta alle politiche adottate dall’Occidente che ha negato alla Russia quell’apertura che oggi dimostra verso l’Ucraina (solo perchè si è posta come ariete contro la Russia). In questo scenario, sorge legittimamente il quesito se le strategie europee stiano, forse involontariamente, promuovendo un cammino che si discosta dai valori di libertà e autodeterminazione, conducendo verso un sistema di governo che si allontana progressivamente dai principi democratici e liberali che sostiene di incarnare.