La diffusione dell’andrà tutto bene’ senza un perché, è come dire che tutto accade invano a meno che questa espressione non abbia un fondamento.
Quindi può essere terribile o piena di speranza viva.
Il giudizio di don Mangiarotti su questo e dintorni.
(Vietatoparlare)
Né disertori né conniventi
di don Gabriele Mangiarotti – via Comunicato Stampa
Sono stato molto critico con chi ha parlato con insistenza del «cambiamento d’epoca», perché mi è sempre parso che il tempo in cui abbiamo vissuto finora non fosse altro che il compiersi di quel processo dell’Illuminismo (iniziato già dalla fine del Medioevo e col Rinascimento) che nel tempo ha raggiunto capillarmente, visti anche gli strumenti nuovi della comunicazione, vastissimi strati della popolazione.
Credo che si possa, e forse si debba, parlare di «cambiamento d’epoca» oggi, in presenza di quel fenomeno tragico e drammatico che si chiama pandemia. Il Covid-19 sembra l’agente di un cambiamento epocale dai risultati inimmaginabili. Basta anche solo uscire, per quel che si può, o accendere la TV, o usare i social media per accorgersene.
Se da un lato assistiamo a forme di gratuità e di eroismo senza paragone – penso a tutto il personale medico e sanitario che non si sta risparmiando con rischi reali per la propria vita – dall’altro sembra che la paura del contagio abbia la forza di trasformare i cuori degli uomini, oltre che le loro abitudini. Sospetto e a volte delazione sembrano caratterizzare molti momenti della convivenza, come se l’altro fosse prima di tutto un pericolo piuttosto che una risorsa. Mi hanno raccontato della difficoltà persino di guardarsi negli occhi nei luoghi pubblici, come per evitare ogni possibilità e occasione di rapporto.
Ma c’è un altro aspetto che mi preme prendere in considerazione, ed è la relazione con il potere.
Mi ha sempre interrogato questa introduzione a un testo straordinario di Hugo Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, perché sembra essere una lezione valida anche per l’oggi.
Ecco le considerazioni: «Se è vero che una forma di azione politica può essere attuata anche con violenza, tramite il silenzio (…), resta sempre vero che la Chiesa è rimasta spesso in silenzio davanti agli eventi e alle contraddizioni politiche che si sono sviluppate in questi ultimi decenni. Mancanza di impegno politico?
Anzitutto una mancanza di vita di Chiesa. Questo è il punto radicale per non ricadere nel moralismo o nel mutuare altrove (rispetto al cristianesimo) le categorie culturali della propria azione.
Cosa significa mutuare altrove?
Se oggi si nota nella Chiesa una mancanza, questa non può essere risolta anzitutto con l’intelligenza di una scelta storico-politica, ma con «la stoltezza» di cui diceva S. Paolo. Solo una Chiesa che ricostruisca se stessa sulla base di una effettiva vita di comunione sarà capace di nuovo giudizio storico-politico. Tale giudizio sarà radicalmente rivoluzionario perché non fondato esclusivamente sul progetto umano, tale giudizio non potrà non giudicare di ogni imperialismo e di ogni stalinismo (e statalismo ndr) e non potrà non operare perché le strutture della società siano rese capaci di libertà concreta, da realizzarsi secondo i tempi della storia.
In questo senso sarebbe assurdo pretendere che la Chiesa non voglia influire sulle strutture politico-sociali. Sarebbe come chiederle di essere se stessa a metà, di non realizzare il suo compito di concretezza sino in fondo.
Piuttosto si constaterà come le persone e i gruppi che avranno in mano tali strutture, presi dalla meccanica del potere o tenderanno a eliminare la Chiesa (impauriti dallo scandalo della comunità cristiana) o tenderanno ad asservire le strutture ecclesiastiche alla loro logica di potere.
Solo un moralistico senso di colpevolezza o la paura (la vergogna del proprio volto) può far scegliere sia per non combattere contro strutture politiche che neghino l’identità alla Chiesa e che contraddicano categorie culturali cristiane, sia per non cercare di influire sulle strutture politiche perché valorizzino e rendano concreto quanto la tradizione cristiana svolge.»
Penso che in questi giorni tutti, ma in particolare i cattolici, dovranno ripensare la propria appartenenza e il proprio modo di vivere la responsabilità del presente. Nessuno potrà o dovrà tirarsi indietro, ma il compito sarà arduo, perché non ci saranno abitudini o modelli precostituiti. Sarà un compito affascinante e impegnativo. Non ci dovranno essere disertori, perché già ci siamo dovuti privare di tanti spazi di libertà, né conniventi, perché dovremo opporci ad un potere che la situazione ha dilatato. Non sarà possibile «io speriamo che me la cavo», per nessuno.
Comunicato stampa
Don Gabriele Mangiarotti