Negli ultimi anni, la maggior parte dei Paesi avanzati ha mostrato un aumento della produttività superiore a quello delle retribuzioni, con un conseguente calo della quota di lavoro dipendente sul valore aggiunto a vantaggio della quota imputabile ai redditi da capitale-impresa (Ilo, Global Wage Report 2016/17). Si è osservato inoltre un significativo aumento della disuguaglianza retributiva, legato anche alla progressiva polarizzazione dei salari e dovuto, tra l’altro: alla forte crescita della domanda di occupazioni a elevato skill-tecnologico (Acemoglu D., Autor D., Skills, Tasks and Technologies: Implications for Employment and Earnings, 2011); all’esposizione internazionale delle imprese operanti nei settori con forti innovazioni di prodotto che ha ridotto la domanda di lavoratori low skilled (dei quali l’internazionalizzazione ha aumentato l’offerta); all’indebolimento delle istituzioni del mercato del lavoro e la frammentazione delle figure contrattuali con un aumento delle forme di lavoro non standard (Franzini M., Pianta M., Disuguaglianze: quante sono, come combatterle, 2016).
In Italia, dopo una diminuzione di oltre il 6% tra il 2011 e il 2013, nel biennio successivo i salari reali sono cresciuti dello 0,2% e la retribuzione oraria lorda delle posizioni dipendenti del settore privato dell’industria e dei servizi si è attestata in media a 14,98 euro, livello prossimo a quello europeo; la metà di queste posizioni lavorative percepisce una retribuzione inferiore a 12 euro (Istat, Differenziali retributivi nel settore privato, 2016)
Come in tutti i Paesi a reddito elevato, anche nel nostro, la distribuzione delle retribuzioni mostra una lunga coda destra (quella dei più alti livelli retributivi), con pochi lavoratori che percepiscono una parte molto elevata del totale delle retribuzioni erogate nel mercato del lavoro. Al quinto delle retribuzioni più alte è destinato, infatti, oltre un terzo del totale, una quota più che tripla rispetto a quella del quinto delle retribuzioni più basse.
L’analisi delle determinanti di questo tipo di distribuzione è notoriamente complessa perché i fattori in gioco sono molti e possono agire simultaneamente (AA.VV. Le disuguaglianze economico-sociali in italia, Fondazione Basso Issoco, 2016). La diseguaglianza retributiva non è spiegata solamente dalle caratteristiche della posizione lavorativa e del lavoratore che la occupa, ma anche dalle specificità dell’azienda e della zona in cui essa ha sede.
Oltre alla produttività, i livelli retributivi si associano al settore di attività economica, all’intensità delle relazioni con altre imprese (gruppi domestici o multinazionali, propensione all’esportazione, ecc.), così come alle dimensioni e all’anzianità sul mercato dell’impresa. I dati disponibili per studiare l’associazione tra queste caratteristiche e i livelli retributivi limitano, al momento, il campo di osservazione alle imprese con meno di 50 addetti localizzate in un solo comune che, tuttavia, oltre ad essere altamente rappresentative del tessuto produttivo italiano, risultano particolarmente interessanti in quanto la loro performance e gli univoci rapporti con il territorio di localizzazione influiscono direttamente sulla domanda di lavoro.
Grafico 1 – Retribuzione lorda oraria media e mediana per DECIMO di retribuzione lorda oraria in PICCOLE imprese unilocalizzate. Anno 2014 (valori in euro)
Questo gruppo di imprese (1 milione 404 mila, circa un terzo del totale) presenta livelli retributivi più bassi[1] (in media di circa 2 euro) (Graf. 1) e una più contenuta disuguaglianza nella distribuzione rispetto al totale delle imprese: l’indice di Gini è pari a 0,185 contro 0,24. La metà delle posizioni collocate al loro interno percepisce meno di 10,79 euro l’ora e oltre il 70% ha retribuzioni orarie inferiori alla media, con differenze, rispetto alle altre imprese, che crescono all’aumentare del livello retributivo (il primo decile è più basso di circa il 5% mentre il nono del 22%) (Istat, Indicatori di disuguaglianza retributiva nelle piccole imprese, 2018).
Come atteso, le posizioni lavorative meno retribuite riguardano più spesso operai e apprendisti, contratti a tempo determinato o part-time; quelle collocate nell’ultimo decimo della distribuzione, invece, coinvolgono più frequentemente persone con titoli universitari o con qualifiche superiori, specialmente se si tratta di uomini o di cittadini italiani (Graf. 2).
All’aumentare del livello salariale cresce la quota di posizioni lavorative in imprese a elevata produttività, operanti nei settori a medio-alta tecnologia e conoscenza, con più di 10 addetti, con un’alta percentuale di dipendenti, attive sul mercato da oltre un decennio, appartenenti a gruppi e con attività di esportazione.
Le imprese del Nord pagano di più rispetto a quelle del Centro-sud; inoltre, il livello retributivo è inversamente proporzionale ai tassi di sommerso (per settore) o di lavoro irregolare (per settore e regione).
La disuguaglianza retributiva può essere analizzata distinguendo le differenze che si osservano tra le imprese (componente between) da quelle registrate all’interno di una stessa impresa (componente within). Al crescere del livello di retribuzione si osserva un aumento della disuguaglianza imputabile alle differenze all’interno dell’impresa; le piccole imprese unilocalizzate, che mediamente retribuiscono meno, mostrano una componente within più contenuta.
La variabile che ha maggiore effetto[2] sui livelli retributivi è la qualifica professionale ed è anche quella con la componente between della disuguaglianza più elevata (circa un terzo della disuguaglianza complessiva è spiegata dalle differenze tra inquadramenti professionali). La maggior parte (il 67%) delle posizioni lavorative sono inquadrate con la qualifica di operaio e hanno una retribuzione mediana pari a 10,5 euro, seguono gli impiegati (26% e 12,2 euro) e gli apprendisti (6% e 8,4 euro); quadri e dirigenti rappresentano ognuno meno dell’1% del totale, con retribuzioni orarie mediane pari, rispettivamente, a 27,1 e 51 euro.
Quando si calcola la disuguaglianza all’interno di ciascun gruppo professionale è evidente come le posizioni con qualifiche più elevate e mediamente meglio retribuite mostrino una maggior variabilità al loro interno: la disuguaglianza è minima tra gli apprendisti (il valore dell’indice del Gini è 0,129) e raggiunge il valore massimo tra i dirigenti (0,274). Inoltre, tra questi ultimi la variabilità retributiva spiegata dalle informazioni disponibili (le variabili considerate sono quelle della nota 2) è appena del 20% (supera il 35% tra apprendisti, operai e impiegati) a indicare come in questo caso il livello delle retribuzioni sia meno associato (rispetto alle altre qualifiche) alle caratteristiche osservate (della posizione lavorativa, del lavoratore, dell’impresa e del territorio). Per i profili professionali più elevati, infatti, le componenti che entrano in gioco fanno riferimento anche a competenze che risultano difficilmente misurabili e approssimabili con il solo titolo di studio (le cosiddette soft-skill) e che possono riguardare le opportunità/capacità di negoziazione e di mobilità territoriale nel mercato del lavoro.
Per gli apprendisti la variabile che più discrimina il livello retributivo, con la quota più consistente di varianza between, è il settore di attività economica che, per oltre la metà di queste posizioni, è rappresentato da Costruzioni, Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli e Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione. La seconda variabile in ordine di importanza è la produttività dell’impresa (circa i due terzi delle posizioni lavorano in imprese con valore aggiunto per addetto inferiore ai 30 mila euro), seguono l’anzianità nella posizione (il 62% ha un’anzianità inferiore ai 2 anni) e il titolo di studio del lavoratore (il 37% ha al massimo la scuola secondaria inferiore e solo il 10% la laurea, inclusa quella di I livello).
Sebbene per gli operai la produttività dell’impresa occupi il primo posto della graduatoria (solo un quarto lavora in imprese con valore aggiunto per addetto superiore ai 40 mila euro), l’esperienza (quasi l’80% ha meno di 50 anni d’età e i ¾ un’anzianità nella posizione inferiore ai 6 anni) e il settore di attività economica (quasi un quarto è nell’Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, seguito da Costruzioni e Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli) mantengono un ruolo significativo.
Anche tra gli impiegati, la produttività dell’impresa è la variabile maggiormente discriminante (1/3 lavora in imprese con valore aggiunto per addetto superiore ai 50 mila euro), seguita dall’età del lavoratore (circa la metà ha meno di 40 anni), mentre per la prima volta assumono rilievo il sesso del lavoratore (quasi i 2/3 sono donne) e la regione in cui è situata l’impresa (più della metà delle posizioni sono in Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna).
Grafico 2 – posizioni lavorative per DECIMO di retribuzione lorda oraria in piccole imprese unilocalizzate PER alcune caratteristiche della posizione lavorativa, del lavoratore, dell’impresa e del territorio in cui l’impresa ha sede. Anno 2014 (composizione percentuale)
L’appartenenza a gruppi di imprese è invece la caratteristica di primaria importanza nel definire il livello retributivo sia per i quadri sia per i dirigenti, quasi il 60% dei primi e il 70% dei secondi lavora in imprese appartenenti a gruppi domestici o multinazionali. Anche per queste due qualifiche professionali le caratteristiche del territorio in cui ha sede l’impresa hanno rilevanza, si tratta della regione per i quadri (il 41% lavora in Lombardia, seguita da Emilia Romagna, 12%, e Veneto, 11,3%) e della produttività della provincia per i dirigenti (oltre la metà opera in province con oltre 30 mila euro di valore aggiunto per abitante).
Benchè siano necessari ulteriori approfondimenti da questa analisi emergono utili informazioni per una più completa spiegazione delle disuguaglianze retributive e, in particolare, consistenti indizi che i fattori rilevanti non sono gli stessi nella parte alta e in quella bassa della distribuzione.
[1] Le imprese considerate da qui in avanti escludono quelle del settore assicurativo-finanziario per il quale alcune delle informazioni utilizzate nel presente articolo non sono disponibili; inoltre le stime sono ottenute ponderando con il numero di ore retribuite durante l’anno, al fine di evitare una sovra-rappresentazione dei periodi di occupazione brevi.
[2] Attraverso la stima di un modello di regressione lineare, avente come variabile dipendente il logaritmo della retribuzione oraria, sono state selezionate le variabili che hanno un effetto netto; tali variabili spiegano il 53% della variabilità complessiva. Tali variabili sono, in ordine di importanza: qualifica professionale; produttività dell’impresa (valore aggiunto per addetto); anzianità del lavoratore nella posizione; sesso del lavoratore; età del lavoratore; settore di attività economica dell’impresa; appartenenza a un gruppo d’impresa; regione in cui ha sede l’unità locale; titolo di studio del lavoratore; numero di addetti dell’impresa; cittadinanza del lavoratore; quota di dipendenti sugli addetti dell’impresa; tipo di contratto; percentuale di part-time; valore aggiunto per abitante nella provincia in cui ha sede l’unità locale; copertura annuale del contratto; attività di esportazione dell’impresa; posizioni lavorative occupate dal lavoratore nell’anno; economia non osservata nel settore di attività economica; tasso di lavoro irregolare nella regione e nel settore di attività economica; anzianità dell’impresa; tipologia del comune in cui ha sede l’unità locale; tasso di disoccupazione nel sistema locale del lavoro in cui ha sede l’unità locale; rapporto tra dipendenti e occupati nel sistema locale del lavoro in cui ha sede l’unità locale; tasso di forze di lavoro potenziali, tasso di disoccupazione giovanile (25-34 anni) e tasso di occupazione giovanile (25-34 anni) tutti e tre calcolati per la provincia in cui ha sede l’unità locale.
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