La grande bruttezza

Belle pennellate per descrivere la Roma di oggi e lo stato d’animo di chi l’ama e ne ha memoria. Naturalmente non è solo un segno politico (quello viene dopo) ma è invece il segno del vortice in cui, senza coscienza, si è arrivati. (Vietato Parlare)

dal blog di Aldo Maria Valli

Dopo pranzo ci troviamo alla macchinetta del caffè, ci guardiamo, beviamo e sospiriamo. Siamo tre amici, tre colleghi. Parliamo di Roma e del suo degrado. Viviamo qui, lavoriamo qui. Vorremmo che questa città, unica al mondo, potesse risplendere della sua bellezza ed essere onorata per ciò che è, per ciò che rappresenta nella storia della civiltà umana, e invece di giorno in giorno la vediamo sempre più oltraggiata, offesa, umiliata. Torme di maleducati la sporcano, la utilizzano come sfogatoio delle loro peggiori pulsioni. Se fino a qualche tempo erano le periferie lo squallido scenario della degradazione, ora anche il centro storico è stato raggiunto dal morbo. Sembra che non ci siano più difese. Ovunque è squallore, sporcizia, degrado, incuria, maleducazione. Ovunque è rumore, schiamazzo, gazzarra.

In estate si trascorre più tempo all’aria aperta e certe ferite risaltano ancora di più. Turisti e autoctoni sembrano fare a gara nell’oltraggio. Noi tre amici lavoriamo nei pressi del Vaticano e ogni giorno ci tocca assistere al progressivo trionfo della degradazione umana e ambientale.

Oggi nel sito del «Corriere della sera» è possibile ammirare la grande bruttezza imperante in questa zona, in un’area che per tanti motivi dovrebbe essere al riparo da certi scempi. Dormitori a cielo aperto, veri e propri accampamenti, bivacchi perfino tra le colonne del Bernini. I veri padroni incontrastati della zona sembrano essere diventati i cosiddetti «senza tetto», che si sentono in diritto di fare ciò che a ogni altro normale cittadino sarebbe impedito. La cronista parla di «slalom poco edificante tra cartacce e rifiuti di ogni genere» tra le strade piene di storia. E non tralascia di sottolineare «l’olezzo che, complice il grande caldo, diventa particolarmente acre».

Per noi che lavoriamo qui è lo spettacolo quotidiano. E poi c’è tutto il resto. Accattoni di ogni tipo si aggirano per le strade luride. Bande di venditori ambulanti quasi ti aggrediscono fisicamente nel tentativo di venderti la loro cianfrusaglia.  Non puoi muovere un passo senza essere avvicinato da presunti addetti al turismo che ti propongono in ogni lingua se vuoi visitare i musei vaticani saltando la fila e, ovviamente, pagando una cifra ben superiore al prezzo del normale biglietto. Davanti alle loro taverne gli osti ti invitano a entrare e se rifiuti ti guardano storto. E poi c’è l’immondizia che regna sovrana e fa da sfondo a ogni immagine. Come a Borgo Sant’Angelo, dove ogni genere di lordura oltraggia il Passetto, quel nobile e antico tratto delle mura vaticane che collega la città del papa a Castel Sant’Angelo ed era una via fuga in caso di necessità, mentre ora sembra assistere impotente allo sfacelo, e corvi e gabbiani si aggirano indisturbati, attirati dal banchetto e sicuri, anche loro, che niente e nessuno impedirà loro di spadroneggiare.

Da molto tempo a Roma non piove e se fai due passi nei Borghi le narici sono raggiunte dall’acre puzza di piscio ed escrementi, umani o canini che siano. Perfino davanti all’ingresso della sala stampa vaticana a volte occorre tapparsi il naso. Di notte lì, come in altri luoghi nelle vicinanze,  si forma un accampamento. Come detto, nemmeno il colonnato berniniano è risparmiato ed è ormai diventato un richiamo per «senza fissa dimora» che in realtà una dimora fissa ce l’hanno, ed è proprio qui. Ubriaconi e perdigiorno abbandonano bottiglie ovunque.

Colleghi stranieri mi chiedono come sia possibile, e non so dare una risposta. Nessuno interviene, nessuno prende provvedimenti, tutto sembra consentito e lecito. È la celebrazione quotidiana della bruttezza nell’indifferenza.

Ecco perché noi tre, mentre sorseggiamo tristemente il nostro caffè, sospiriamo. La bruttezza domina incontrastata, dilaga, ci sovrasta. È come un’onda che tutto travolge. Ma ci si sente impotenti. Da dove ricominciare? Da dove ricostruire?

Bravi soldati pattugliano le strade, in divisa mimetica e armati di tutto punto. Di certo non è compito loro combattere la bruttezza. Ma mi prende il desiderio che, gridando  «Via di qui! Via! Sparite!», potessero puntare le loro armi verso gli oltraggiatori, i truffatori, gli accattoni, i cafoni e gli screanzati di ogni risma.

Solo pochi anni fa il degrado era ben lontano da questi livelli, ma «motus in fine velocior». Dove arriveremo? E perché lasciamo che la bruttezza ci travolga? E proprio qui, al cospetto di bellezze senza uguali al mondo? Perché il nostro animo si è ammalato a tal punto? Perché, attraverso l’oltraggio agli spazi pubblici, disprezziamo noi stessi?

È ormai evidente che il male è morale, ma come si ricostruisce una morale al servizio del bene e del bello? Come si fa? Da dove si può ripartire quando sembra che a nessuno importi nulla?

Certe volte mi dico: ripartiamo dalle cose minime, dai gesti più banali. Così, se vedo una bottiglia di plastica gettata a terra, la raccolgo. Se il motocilista mi taglia la strada e in più mi fa un gestaccio, gli sorrido. Eccetera. Ma ci sono giorni in cui tutto sembra veramente perduto e avverti ovunque lo sghignazzo del dio della bruttezza. E allora ti arrendi.

Vedo passare un’auto dei vigili urbani. Gira a destra, ma non mette la freccia.

Aldo Maria Valli

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