La guerra non può essere ridotta a posizioni decise a tavolino e non criticabili per decreto

(La nostra) decisione non dovrebbe essere né filorussa né filo-ucraina, ma deve essere capace di riconoscere le realtà storiche, geografiche ed economiche coinvolte e cercare per gli ucraini un posto dignitoso e accettabile nella famiglia del tradizionale impero russo, di cui formano una parte inestricabile. (George F. Kennan, 1948)

di Fabio Massimo Parenti – Le “chiacchiere” più recenti sulla guerra in Ucraina sono tutte incentrate su nomi di armamenti: ogni santo giorno si pubblicano articoli su Himars, Javelin, Leopard, F16, missili, razzi, carri, aerei, sistemi di difesa ecc. Ciò fa tornare alla mente le “chiacchiere” mediatiche ai tempi della crisi 2007-2008, in cui proliferavano gli acronimi dei mille derivati: MBS, ABC, CDS, CDO ecc. Nell’uno come nell’altro caso, una coltre di tecnicismo veniva e viene messa in circolazione col fine ultimo, sembrerebbe, di non far capire alcunché ai lettori, sull’origine dei fenomeni e sui processi che determinano gli eventi. Ma c’è di più. Questo chiacchiericcio mediatico è utile invero a nascondere le responsabilità, a deresponsabilizzare gli esecutori di tutti gli errori che ci hanno portato fin qui.

Slogan vuoti e censura
All’epoca della grande crisi finanziaria, i media raccontavano gli eventi con la poetica della complessità finanziaria, gettando fumo tecnicistico sulla reale comprensione del contesto, del processo e delle cause reali. Tutto liquidato con qualche accenno alle distorsioni e ai fallimenti di mercato, attribuendo la responsabilità alla complessità del sistema finanziario, dei prodotti derivati e delle strategie di investimento. In tal modo il discorso pubblico non faceva altro che allontanare il riconoscimento delle cause reali (in primis la deregolamentazione pluridecennale dei mercati) e delle responsabilità politiche. Anche oggi, in questa fase di grande incertezza geopolitico-economica, in Europa ed Asia Pacifico, il discorso pubblico e le scelte politiche sembrano totalmente irrazionali e miopi.

Ciò che ci interessa evidenziare è la logica politica sottostante il funzionamento dei grandi media: liquidando da subito la contestualizzazione dei processi storico-geografici, ovverosia quelli che hanno portato a “stringere” ulteriormente il “nodo” storico rappresentato dallo spazio ucraino, la tanto ridondante quanto inaccurata e onnipresente formula (o meglio “empty slogan”) “dell’aggredito e dell’aggressore” ha sancito la banalizzazione del presente, l’evaporazione dei processi diacronici, la censura delle analisi e delle spiegazioni critiche, impedendo di fatto qualsiasi dibattito realmente costruttivo per lavorare alacremente su compromessi e negoziati.

Il primo accordo raggiunto dalle parti nel marzo 2022 fu affossato da UK-US, mentre la posizione della Cina, riproposta ieri, sulla soluzione politica della crisi Ucraina troverà purtroppo l’opposizione di quelle entità, appena citate, che vogliono continuare ad ampliare il conflitto.

La costruzione del mostro
I media veicolano continuamente paure e supposte “minacce” provenienti dall’esterno del nostro “giardino”, prestandosi alla vecchia tecnica di costante fabbricazione del pericolo esterno – rappresentato da sedicenti “mostri” da sconfiggere o contenere. E chi sarebbero questi “mostri”? Paesi, interi paesi, stati-civiltà, trattati alla stregua di popoli inferiori, che coincidono guarda caso proprio con quei paesi che stanno legittimamente riorganizzando l’economia e la politica mondiale secondo canali e modalità relazionali di tipo cooperativo (si pensi all’allargamento della SCO e dei BRICS). E sono proprio quei paesi che, ieri come oggi, cercano una via di uscita dall’età del dominio di un solo paese. Ecco allora media e politica, a braccetto con alcuni potentati economici, impegnati ad ostacolare ogni interpretazione differente, che possa svelare falsità e manipolazioni e rivelare nel contempo realtà opposte allo storytelling usa-europeo. Con le parole di Sachs: “L’implacabile narrazione occidentale secondo cui l’Occidente è nobile, mentre la Russia e la Cina sono malvagie, è ingenua e straordinariamente pericolosa. È un tentativo di manipolare l’opinione pubblica, invece di fare i conti con una diplomazia molto reale e pressante”.

La minaccia interna
Sembra surreale il modo superficiale, banalizzante e fazioso con cui i “grandi” media continuano a “narrare” la guerra russo-ucraina, che, come noto, è una guerra voluta e perseguita da alcuni strateghi Usa ormai da molti anni, nella teoria come nella prassi. Si tratta di una guerra globale rivolta contro la Russia, oggi, ma proiettata contestualmente verso la Cina, l’Iran e tutti coloro che osano non seguire più l’agenda unipolarista ed imperialista degli Usa. Ciò è stato più volte analizzato e spiegato da autorevolissimi studiosi e politici statunitensi prima di altri. E non tutti costoro hanno appoggiato tali disegni strategici. Sicuramente personalità come Brzezinski, Kaplan, Nuland ne sono stati strenui sostenitori: hanno teorizzato, consigliato ed operato a favore dell’assorbimento dell’Ucraina nello spazio nordatlantico in funzione antirussa, nonché della separazione dell’UE dal resto dell’Asia. Uno degli ultimi atti più eclatanti riguarda il sabotaggio – annunciato, realizzato e celebrato – dei gasdotti baltici.

Altre autorevoli personalità, tuttavia, come lo studioso e diplomatico George Kennan, i professori Stephen Cohen e John Mearsheimer hanno rilevato chiaramente i rischi e i pericoli esiziali delle manovre di accerchiamento  in Eurasia, in particolare nello spazio ucraino.

In questo proliferare mediatico-politico di elogi bellici faziosi, di scenari di nuovi olocausti o Armageddon nucleare (cit. Biden) emergono chiaramente i macro-interessi economico-politici dell’apparato industriale militare e di intelligence americano, desideroso di destrutturare i processi di integrazione euroasiatica, con al centro Russia, Iran e Cina. Non deve sorprendere, pertanto, che Washington non si muova in alcun modo per un cessate il fuoco e una trattativa in Ucraina (sorprendente è invece la servile viltà europea), bensì per collegare questo scenario di guerra vasta – da alimentare a discapito di tutta l’Europa e dell’economia mondiale – a quello cinese.

Siamo nella fase della promozione della guerra con tutti i mezzi mediatici e politici possibili, finanche sostenendo il più pericoloso (e per questo spregevole) nazionalismo etnico. Riguardo quest’ultimo aspetto è doveroso ricordare l’esistenza di migliaia di documenti secretati, de-secretati e in parte riclassificati, che si riferiscono a numerose operazioni sotto copertura, come ad esempio l’operazione “Belladonna” del 1946 e la successiva “Aerodynamic” (1949-1970), e che confermano inequivocabilmente gli sforzi dell’intelligence Usa a sostegno delle forze ultranazionaliste in funzione antisovietica. Da questo materiale si evince chiaramente che “negli anni ’50 la CIA aveva stabilito con successo una rete di controspionaggio con i nazionalisti clandestini ucraini”. L’obiettivo di fondo, come esplicitato nei documenti desecretati nel 1966, è il “sostegno” alle “fiammate nazionaliste” in aree molto sparse dell’Unione Sovietica, in particolare in Ucraina. Insomma, una storia che viene da lontano e che è continuata fino ai giorni nostri. Ed è qui che va collocato il ruolo del più grande “broker” di armi al mondo, l’apparato Usa, anche in questa nuova crisi. Un paese che, per mezzo di una super minoranza (neoconservatrice e straussiana bipartisan), soffia sul fuoco della guerra non solo in Europa ma anche nell’Asia-Pacifico e chiede armi a mezzo mondo per continuare ad alimentare la guerra in Ucraina, fiaccare la Russia ed accerchiare la Cina.

Crediamo sia doveroso rifiutare l’idea dell’inevitabilità della guerra ed imparare a riconoscere che la vera minaccia alla stabilità mondiale e alla coesistenza tra i popoli proviene proprio dall’interno dei nostri sistemi.

fonte Arianna Editrice.it

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Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Economia Politica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. Ha insegnato anche in Italia, Messico, Stati Uniti e Marocco ed è membro di vari think tank italiani e stranieri. Il suo ultimo libro è “La via cinese, sfida per un futuro condiviso” (Meltemi 2021). Su twitter: @fabiomassimos

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