La legge prescrizione è pericolosa: chiama in causa il potere punitivo dello Stato senza riformare il quadro normativo

Perchè l’entrata in vigore della legge sulla prescrizione sarebbe un danno

DIC 10, 2019

Desta notevole perplessità la modifica della prescrizione che, inserita all’interno della legge n. 3 del 9/01/2019, c.d. “spazza-corrotti”, è destinata – se non interviene alcuna novità – a entrare in vigore il 1° gennaio 2020. Essa prevede, fra l’altro, la sospensione del termine di prescrizione “dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna”.

Lo spostamento di un anno della piena operatività di questa disposizione rispetto al momento dell’approvazione della legge fu spiegato dalla prospettiva di varare nelle more una riforma del processo penale che garantisse tempi più rapidi di definizione: poiché tale riforma non è stata esaminata compiutamente neanche da un ramo del Parlamento, non si comprende perché oggi si intenda mantenere in piedi solo la rettifica della prescrizione. Per quanto sostenuto dagli stessi proponenti, essa aveva senso quale primo passo di una più completa architettura innovatrice.

Non è soltanto di una questione di sistema, pur se l’esperienza insegna quanto sia controproducente introdurre singole novità senza farle precedere da riforme di quadro. Quella della prescrizione è una questione complessa, che chiama in causa da un lato il potere punitivo dello Stato e la necessità di non disperdere atti di indagini e/o processuali formati spesso con difficoltà e con dispendio di risorse pubbliche, dall’altro la necessità che il singolo accusato veda definita la propria posizione processuale, senza compressioni di diritti che la dilatazione dei tempi di conclusione del giudizio rendono irreparabili.

Esula dal carattere rapido di una nota come questa l’indispensabile approfondimento che la materia esige. Ci si limita pertanto a considerazioni sintetiche:

  1. sulla base di dati obiettivi e non contestati, il 70% dei procedimenti penali che si definiscono in Italia con la prescrizione sono ancora nella fase delle indagini preliminari. Poiché la legge n. 3/2019 non incide in tale fase, essa si mostra inutile in più dei 2/3 dei casi di prescrizione e rischia di non far cogliere il dato allarmante costituito dalla discrezionalità di fatto dell’azione penale, che conduce una parte significativa delle Procure della Repubblica a scegliere quali reati perseguire e quali no. Invece di promuovere una discussione sulla sostenibilità della obbligatorietà dell’azione penale e sulla individuazione di criteri oggettivi e omogenei per l’avvio delle indagini, il mantenimento della norma della “spazza-corrotti” si concentra solo su quel che accade dopo la pronuncia di primo grado, che è fenomeno diverso e quantitativamente meno rilevante;
  2. nel restante 30% dei casi, i termini di prescrizione maturano con maggiore frequenza fra la decisione di primo grado e quella di appello, mentre è percentualmente irrilevante – poco più dell’1% – l’incidenza della prescrizione in Cassazione. Ciò non accade per caso: chiama in causa l’ineludibile riorganizzazione delle Corti di appello, al fine di seguire moduli simili a quelli della Cassazione, per es. nella definizione in camera di consiglio delle impugnazioni evidentemente inammissibili. Mentre in sede di legittimità è da tempo istituita una sezione dedicata esclusivamente alla veloce definizione dei ricorsi inammissibili, misure analoghe mancano in quasi tutti gli uffici di appello, nonostante siano tanti gli appelli generici o aspecifici. Peraltro una declaratoria di inammissibilità in grado di appello fa retrodatare gli effetti della prescrizione alla pronuncia di primo grado, ottenendo il risultato cui tenderebbe la legge n. 3/2019, ma senza forzature. Su questo fronte la legge appena citata rischia invece di cristallizzare situazioni di concreta inefficienza;
  3. un’ampia riforma della prescrizione è già entrata in vigore nel 2017, su impulso dell’allora ministro della Giustizia Orlando[1], con nuove e ulteriori ipotesi di sospensione e interruzione e con sensibili incrementi dei termini, e attende una valutazione in termini di ricaduta, che non può che giungere fra qualche anno. Non giova alla chiarezza applicativa la continua modifica di istituti di diritto sostanziale, con calcoli di termini differenti sulla base del principio della norma più favorevole;
  4. com’è noto, in Italia la prescrizione ordinaria per la fascia di delitti meno gravi è di sei anni, con incrementi significativi quando sono contestate aggravanti a effetto speciale o la recidiva qualificata, e salvo l’aumento a fronte di atti interruttivi del decorso del termine. Nè vale la comparazione con altri ordinamenti perché il confronto va operato per termini omogenei, e in Europa esistono discipline processual-penalistiche fortemente diversificate, per es. quanto alla obbligatorietà dell’azione penale, o quanto a termini di prescrizione molto più contenuti di quelli italiani. Se valessero i confronti andrebbe ricordato che, a differenza di quanto accade in altre Nazioni, in Italia in caso di assoluzione lo Stato non rifonde le spese processuali supportate dall’incolpato;
  5. qualsiasi richiesta difensiva che punti al mero scorrere del tempo ai fini della maturazione della prescrizione incontra già oggi gli opportuni rimedi della sospensione del decorso del relativo termine;
  6. risponde a esigenze di giustizia che l’ordinamento delimiti il tempo entro il quale il potere dello Stato si dispieghi nei confronti dell’accusato, parametrando alla gravità dei reati la misura temporale adeguata per giungere alla sanzione. Senza questo correttivo, l’accusato in attesa del giudizio vive in uno stato di precarietà perpetua, grave in sé in quanto lo rende indefinitamente “disponibile” al potere dello Stato. Ancora più grave se – come accade in virtù della legge n. 3/2019 – la sentenza di primo grado sia di assoluzione, e quindi che la presunzione di non colpevolezza sia ancora più accentuata: la pendenza giudiziaria a tempo illimitato preclude la partecipazione a un concorso pubblico, rende di fatto impossibile ricevere incarichi di lavoro, ostacola l’adozione di un bambino. In questi casi, se e quando il processo con termini di prescrizioni dilatati avrà una definizione, quelle possibilità saranno escluse per sempre, per via dell’età nel frattempo raggiunta dall’interessato.

Il Centro studi Rosario Livatino auspica un serio ripensamento rispetto alla operatività della norma contestata, affiancato da una riflessione d’insieme e concreta sul sistema processuale penale, che coniughi in modo più equilibrato la potestà punitiva dello Stato e i diritti dell’incolpato.

[1] L. 23 giugno 2017, n. 103, in G.U., serie generale, 4 luglio 2017, n. 154, recante modifiche al codice penale, di procedura penale e all’ordinamento penitenziario.

Originale su Centro Studi Levantino:https://www.centrostudilivatino.it/

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