La lezione del curling

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Sono soddisfazioni. L’Italia, ahinoi, non andrà a mondiali di calcio, però ha centrato l’obiettivo di andare a quelli di curling. Ai campionati europei di San Gallo (Svizzera), gli azzurri hanno infatti vinto lo spareggio con la Finlandia, conquistando così la qualificazione alla manifestazione iridata di Las Vegas 2018.

Se pensate a una «fake new», altrimenti detta bufala, andate a verificare: è tutto vero.

Come sarebbe a dire che cos’è il curling? Davvero non lo sapete?

Il curling è quel gioco che si gioca sul ghiaccio, con le scope in mano, e consiste nel lanciare dei cosi che assomigliano a pentole a pressione, lasciando che i cosi scivolino sul ghiaccio.

Non avete capito?

Vabbè, ricomincio da capo. «Curl» in inglese vuol dire roteare. I giocatori, divisi in due squadre, ognuna di quattro persone, devono appunto lanciare, facendole roteare, pietre di granito levigate, dette «stones» (pietre, in inglese), dotate di un’impugnatura. L’obiettivo è far arrivare la «stones», roteando roteando sulla lastra di ghiaccio, verso la «home», la casa, un’area contrassegnata da tre anelli concentrici

I giocatori lanciano le «stones» a turno, con una traiettoria curvilinea, cercando di farle arrivare nel cuore della «home». Più arrivano vicine al centro, più si accumulano punti. Ogni giocatore ha a disposizione due lanci, quindi ogni squadra può fare otto lanci.

E le scope? Quelle, essendo scope, servono per spazzare il ghiaccio («sweeping»). Ma perché bisogna spazzare il ghiaccio? Qui si entra nei tecnicismi, ma diciamo che lo «sweeping» mediante la scopa («broom») ha la funzione di modificare l’attrito della «stone» mentre rotea verso la «home», e questa azione può dunque cambiare velocità e direzione della «stone», sempre con l’obiettivo di far raggiungere dalla «stone» il cuore della «home».

Di qui quelle scene vagamente folli ma anche divertenti e ipnotiche che si vedono durante le partite, con un lanciatore che sta a guardare l’andamento della pietra e tre compagni che si mettono a fare «sweeping» davanti alla «stone», con frenesia maggiore o minore a seconda di quanto si vuole modificare l’attrito.

Una delle strategie centrali in questo gioco (decise dallo stratega del gruppo, detto «skip») consiste infatti nel sapere quanto spazzare, e quindi da un colpo di scopa ben assestato può anche dipendere l’esito finale della partita.

Ora, che l’Italia sia un paese pieno di sorprese è risaputo, ma che si sia qualificata per la massima competizione in questo gioco sul ghiaccio suona davvero strano. E battendo la Finlandia, nazione che con il ghiaccio dovrebbe avere ben più confidenza di noi!

Stupisce anche che i mondiali di un gioco che si pratica sul ghiaccio si disputeranno a Las Vegas, dove non mi risulta che faccia particolarmente freddo, ma ormai lo sport globalizzato è così: visto che si può sciare a Dubai e organizzare i mondiali di calcio nel Qatar, perché non lanciare pietre sul ghiaccio nel cuore del deserto del Mojave?

Tornando all’Italia, non crediate che la qualificazione sia stata una sorpresa. È infatti la seconda volta consecutiva che riusciamo ad andare ai mondiali. In più, parteciperemo al torneo preolimpico di Pilsen, dove cercheremo di qualificarci per i giochi olimpici invernali in programma l’anno prossimo nella Corea del Sud.

E comunque guardate che il curling ha una storia lunga e gloriosa. Pare sia nato nella Scozia medievale, dove, durante i lunghi inverni, lanciare pietre sul ghiaccio, sfidandosi in lunghe contese, parve essere un modo appropriato per passare il tempo, non farsi venire pensieri lugubri e, ovviamente, riscaldarsi.

Amanti del curling fin dall’inizio furono anche gli olandesi, tanto che giocatori intenti a spazzare il ghiaccio e a lanciare pietre si vedono in un paio di dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio, anno 1565.

Dal punto di vista organizzativo, uno dei problemi maggiori non è tanto trovare i giocatori, le pietre e le scope, ma avere a disposizione un campo di gioco debitamente ghiacciato e, soprattutto, molto levigato. A questo scopo una volta si usavano gli stagni ghiacciati, mentre oggi provvede la tecnologia. La quale ha permesso di fare decisivi passi avanti anche nel campo delle scope e delle pietre. Se infatti una volta si usavano comuni scope di saggina, adesso i giocatori possono contare su attrezzi sofisticati, con teste a martello, o anche ovali, prodotte da ditte specializzate con il ricorso ad alluminio o fibre di vetro e carbonio.

Quanto alle «stones», se una volta si faceva ricorso a sassi di fiume con una faccia più piatta possibile, ai giorni nostri abbiamo pietre di granito fabbricate con materiale proveniente da un’isola al largo della Scozia o dal nord del Galles, dove ci sono famiglie che da generazioni si occupano della produzione di pietre sempre più affidabili.

E sentite che cosa apprendo da wikipedia: «Recentemente è stato inventato un manico elettronico conosciuto come “eye on hog” (occhio sulla [linea del] maiale). Questa tecnologia può essere montata sulle “stones” per rilevare le “hog line violation”, ovvero un fallo di gioco che è la causa più frequente di polemiche durante il gioco. Questi manici rilevano elettronicamente se la mano del giocatore è in contatto con il manico stesso mentre la “stone” passa la linea del maiale. Il fallo è segnalato dalle luci alla base del manico. L’”eye on hog” elimina l’errore umano e la necessità di avere due arbitri sulle linee del maiale. Questa tecnologia è obbligatoria in competizioni di alto livello nazionale ed internazionale, ma il suo costo, intorno ai 650 dollari ciascuno, la rende generalmente fuori dalla portata della maggior parte delle strutture».

Confesso che non ci ho capito molto, però intuisco che la faccenda si sta facendo tecnologicamente avanzata.

Ecco, è dunque in questo magico mondo di ghiacci, pietre, manici, scope e occhi di maiale che noi italiani siamo riusciti a raggiungere un elevato grado di competitività, dimostrando ancora una volta di essere non solo un popolo di santi, poeti, navigatori eccetera, ma anche di freddi calcolatori di traiettorie e abili levigatori.

I nostri calciatori, superpagati ma inconcludenti, prendano esempio da questi eroi sconosciuti. Fra l’altro, il trionfo nel curling è anche l’occasione per mettere fine ad alcuni ingiustificati pregiudizi. Non è vero che noi italiani siamo superficiali e approssimativi. Quando si tratta di andare a scopare il ghiaccio sappiamo fare la nostra bella figura.

E se sfruttassimo questa abilità anche a fini sociali? Pensate quanto sarebbe utile, nelle nostre metropoli, avere a disposizione squadre di infaticabili e minuziosi spazzatori professionali.  Inoltre, grazie al curling, potremmo riconvertire coloro che attualmente si dedicano al lancio della pietra da luoghi incongrui, come i cavalcavia.

E, visto che da un colpo di scopa può dipendere una contesa, perché non coinvolgere i politici?

Bene, ora non c’è che da aspettare i mondiali. Certo, resta quell’antica leggenda scozzese.

Quale? Vabbè, ve lo dico. Quando nella miniera dell’isola di Ails Craig verrà estratta l’ultima pietra di granito blu per fare una «stone», ci sarà la fine del mondo.

Anche questa una «fake new»? Difficile dirlo. Comunque, un motivo in più per lanciare pietre e scopettare. Finché c’è curling c’è speranza.

Aldo Maria Valli

 

 

 

 

 

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