Così disse allora la nuova dirigenza libica. Era il 20 ottobre 2011: Gheddafi venne ucciso in una operazione concertata tra Nato e ribelli mentre fuggiva da Sirte. Fu la prima delle 'nuove' libertà. A distanza di tre anni, è rimasta l'unica: la Libia è un paese devastato, senza un governo, in mano alle bande jadiste e nessuna traccia di altre libertà fuorché di uccidere gli oppositori.
di Patrizio Ricci
Intervenimmo in Libia per il nuovo principio USA di 'responabilty to protect'. Qualcosa evidentemente non ha funzionato… ed allora perché si è replicato in Siria? Ci dicono che certe situazioni sono complesse e perciò sono difficili da giudicare: è un pretesto per lasciar tutto così. Ma nessuno lo desidera: arrischiamoci allora in un giudizio 'incomodo'…
E' fuori di dubbio che negli ultimi anni, l'occidente dovunque è intervenuto per risolvere 'un problema' ha peggiorato le cose, portando distruzione. Eppure, oggi, nonostante i numerosi fallimenti dimostrino l'inconsistenza di questo tipo di interventi (Iraq, Afganistan, Libia, Siria), c'è chi crede ancora nell'esistenza di una 'comunità internazionale' che (forte della propria potenza economica e militare) possa risolvere i problemi intervenendo ovunque nel mondo. Ma basta questo per portare la pace?
Di analisi ce ne sono già troppe: non voglio fare l'ennesima analisi sulla situazione. Voglio solo sottolineare che molto spesso i responsabili degli stati (che dicono a parole di voler migliorare l' umana esistenza e portare giustizia e concordia), si dimenticano un particolare semplice ma sostanziale per misurare il loro livello di 'democrazia': prima di prendere decisioni sulla vita della gente bisogna interpellare gli interessati (se proprio ci si dimenticati ciò di cui tutti gli uomini hanno bisogno veramente…).
La prima cosa che la politica dovrebbe sapere è che il bene comune si costruisce solo nella pace. Non è certo il numero di portaerei possedute che pone un vantaggio in questa direzione: occorre un cuore fisso a ciò che vale.
Il mondo ha bisogno di procedere in un altro modo: Giorgio La Pira partì da Firenze il 20 ottobre del 1965. In tasca aveva qualche migliaio di lire e un visto per Varsavia; in una valigetta qualche indumento e la riproduzione di una Madonna di Giotto. Meta del viaggio: Hanoi; speranza: di incontrarsi con Ho Chi Minh; scopo: far finire la spaventosa guerra del Vietnam. La Pira si presenta portando in dono un’immagine della Madonna. Poi chiede a Ho Chi Minh perché abbia voluto incontrare proprio lui. La risposta: «Perché lei è un poeta, poeta come me. E tra poeti ci si capisce meglio». La Pira ha stima di Ho Chi Minh. Gli americani vedono in lui un pericolo di portata globale. E riesce in quello che gli USA non erano riusciti: un piano di pace in tre punti.
Ma distanza di 50 anni non è cambiato nulla nel modo con cui la 'comunità internazionale' interviene per risolvere i conflitti. Questi modi li conosciamo tutti: sanzioni, bombardamenti, appoggio ai ribelli, operazioni subdole… E' la prassi messa in atto dai paesi civili e democratici per sopire conflitti civili che loro stessi hanno sospinto. Infatti, più che 'sopire', li alimenta.
L’Italia ha partecipato attivamente alla guerra libica, guerra di una crudeltà rara, fatta in aperta violazione della risoluzione ONU, della nostra Costituzione e di un trattato di amicizia sottoscritto solo pochi mesi prima.
E' una responsabilità grave di cui non si parla preferendo tenere sotto i riflettori vicende come il caso Ruby che ha coinvolto l'ex presidente del Consiglio Berlusconi. Eppure, alimentare una guerra civile in atto e causare la morte di 50.000 persone è cosa ben più seria: si è consegnato un intero paese ad al-Qaeda (il primo governatore di Tripoli sarà di al-Qaeda) si è giustificato l’assedio a intere città privandole di ogni rifornimento… L'Italia doveva astenersi anche per una ragione morale, una ragione storica: nella guerra coloniale aveva decimato il popolo libico. Una questione non di poco conto.
Ma sorprendentemente, ancora oggi i nostri politici sembrano non rendersi conto della gravità di quanto hanno fatto: in Italia suscitare la guerra civile era punita con la pena di morte prima dell’abolizione del codice penale del 1948, oggi è questo reato è punito con l’ergastolo. Questa sarebbe stata la punizione se gli stessi atti fossero stati messi in atto in Italia per alimentare una guerra civile. E la pena più severa del nostro ordinamento non è casuale: in una guerra civile non ci sono regole, la popolazione subisce ed i vinti sono soppressi, tutto non è controllabile e la vita o la morte dipende dal libero arbitrio del singolo o del gruppetto armato. In un attimo sono state cancellate tutte quelle regole che l’umanità, inorridita dai campi di battaglia della prima e della seconda guerra mondiale, ha dato a sé stessa.
Torniamo a Giorgio La Pira : Giorgio La Pira morì a Firenze a settantatré anni. Da parecchio tempo viveva in una clinica di via Venezia, affidato alle cure di alcune vecchie suore. La piccola stanza era piena di libri e di giornali. Sull’unico tavolo una fotografia di papa Giovanni, la Bibbia e tante lettere e telegrammi; avevano firme illustri: De Gaulle, Kennedy, Kruscev, il segretario generale dell’Onu U Thant, e tutti gli altri capi di Stato a cui aveva scritto citando il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Una sua lettera diceva: «I teoremi sono due: in un versante c’è la distruzione della Terra e dell’intera famiglia dei popoli, il suicidio planetario. Nell’altro versante c’è la millenaria fioritura della Terra e dell’intera umanità che la abita. Fioritura carica di pace, di civiltà, di fraternità e di bellezza, la fioritura messianica dei mille anni intravista da Isaia, da Ezechiele e da san Giovanni. I popoli di tutta la Terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamati a fare questa suprema e irrecusabile scelta. Tertium non datur».
C'è un altro di procedere, un modo buono per tutti, religiosi e laici. La ricchezza della nostra cultura ne fa memoria e molti uomini come La Pira ce lo hanno dimostrato. E' evidente che nell'enfasi di liberare' ci si è dimenticato del 'soggetto', reso ancora una volta insignificante: la guerra civile in Libia, le guerra per procura in genere, il ricorso collettivo alla violenza, è distruzione della bellezza e dell’armonia del mondo, come inarrestabile sequenza di odio, di dolore e di morte.
La possibilità per tutti di realizzare il proprio destino si costruisce solo nella pace, solo nella pace tutti possano conoscere guardare e credere l'avvenimento di Cristo nella storia dell’uomo (e per chi non crede, approfondire la propria umanità, che è il compito di tutti). Ed il “peace making”, e la 'responsability to protect'? … E' un’altra cosa: di fatto, per molti è stato l’inferno. Non prestiamoci a questo inganno (anche se il bombardamento mediatico è immane e subdolo). E ricordiamo: Cristo non incriminò nessuno dei suoi tempi, pose sé stesso come discriminante tra il bene ed il male. Le vere rivoluzioni sono altre. Queste sono rivoluzioni che si raccontano da sé: sono fatte dimenticando la pietà, ideologizzando l'uomo secondo un progetto violento, quindi inique.