fonte: caffe news online magazine–
“Una risoluzione che si limitava ad un sostegno aereo. Una forza ribelle fantoccia non sostenuta dalla popolazione. Una situazione che non portava a niente. Soluzione: montare ad hoc una vittoria che elegge il Consiglio Nazionale di Transizione come interlocutore legittimo della Libia, così che quest’ultimo possa richiedere un intervento per combattere le “poche forze fedeli a Gheddafi che resistono”. Ci ritroviamo con una guerra di invasione mascherata da sostegno ad una rivoluzione”.
Sono le parole di Shiran B. A., giovane tunisino protagonista della rivoluzione del gelsomino dello scorso inverno e che agli entusiasmi dati dalla situazione libica, non fa che opporre tutto il suo sospetto. Una reazione di pancia che lui stesso si trova a giustificare più volte, dicendo, “è vero sono un complottista, ormai si sa, però certe cose proprio non posso crederle”. Shiran, attivo sui social network e parte del sistema di comunicazione e informazione delle nuova Tunisia che si mette in piedi, ha passato tutta la scorsa giornata a monitorare le notizie, spammando, twittando e postando i suoi dubbi, su avvenimenti libici che lui proprio non riesce a chiamare liberazione.
Ieri la notizia, i ribelli sono arrivati a Tripoli, i tre figli di Gheddafi arrestati (uno dei quali è riuscito a fuggire nelle ultime ore), manca solo il rais. E ancora Shiran e molti insieme a lui nutrono dubbi, tacciando le notizie come “la costruzione dell’occidente, che incastrato in una guerra già scomoda, non fa che mostrare quello che non è”.
Il giovane tunisino esagera, e lo sappiamo bene, ma la sua reazione merita una riflessione attenta, anche perché, se vogliamo, egli rappresenta quello che noi non abbiamo: ovvero un occhio non occidentale che osserva una rivoluzione, se così la possiamo chiamare, che non avrebbe dovuto essere occidentale.
Shiran è arrabbiato per tutti quegli interventi che hanno portato forze e armi in Libia, rubando il movimento ad un popolo che avrebbe dovuto da solo, con le sue forze prendersi quello che gli spetta: la democrazia. Affermazioni utopiche, che di certo non rendono merito alla realtà dei fatti, quella secondo cui il popolo di Gheddafi non sarebbe mai riuscito a fare tutto da solo e la carneficina non sarebbe potuta terminare. Ma la vera prova sarà il dopo, quando si tratterà di rimettere in piedi il paese e dargli una guida. Allora sì che l’invasione mascherata da rivoluzione dovrà dimostrare che cosa è davvero in grado di fare: il momento più difficile specie se il cambiamento non è arrivato grazie alle proprie forze, ma ha dovuto passare per un intervento esterno.
Al Jazeera l’altra grande indiziata secondo il giovane blogger tunisino: quella che dovrebbe essere la fonte di informazione “libera”, capace di offrire uno sguardo diverso al mondo, si trova a fare il gioco dei media occidentali, pronti a esaltare una vittoria che di fatto non è ancora arrivata in una Tripoli in piena guerriglia. Non fa che gridare Shiran B. A.. Se aprite le pagine dei giornali ci sono le foto del popolo libico che festeggia la fine del regime Gheddafi, quello stesso Gheddafi che ancora non è stato trovato.
Di certo il giovane tunisino parla sull’onda dell’entusiasmo, da uno che la rivoluzione l’ha fatta con le sue mani e di certo la verità non sta nei suoi complotti. Però in tutto questo farfugliare di notizie, noi quell’altra campana volevamo farvela sentire, anche solo per dovere di cronaca, anche solo per imparare a tenere alta la soglia dell’attenzione quando in giro ci sono cose come armi, petrolio e potenze mondiali invischiate in guerre che non riescono più a gestire.