La nuova via della seta attraverserà la Siria

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DI PEPE ESCOBAR

counterpunch.org

In mezzo alle varie disgrazie, la Siria sembra intravedere un raggio di sole.

Domenica, infatti, l’Associazione Cinese-Araba e l’Ambasciata siriana hanno organizzato un Syria Day Expo, alla presenza di investitori cinesi. È stata una sorta di mini-assemblea dell’Asia Infrastructure Investment Bank (AIIB), definita come “la prima fiera matchmaking per la ricostruzione della Siria”.

Ci saranno vari séguiti: un Expo per la ricostruzione della Siria; la 59esima Damascus International Fair il prossimo mese, in cui saranno rappresentate circa 30 nazioni arabe e straniere; infine, l’Expo Cina-Stati Arabi a Yinchuan, provincia di Ningxia Hui, a settembre.

Qin Yong, vice presidente della China-Arab Exchange Association, ha detto che Pechino vuole investire 2 miliardi di dollari per aiutare 150 aziende cinesi a costruire un parco industriale in Siria.

Una mossa molto sensata. Prima della tragica proxy-war nel proprio paese, i commercianti siriani erano già molto attivi nella piccola via della seta tra Yiwu e il Levante. I cinesi non dimenticano che la Siria controllava l’accesso via terra sia verso l’Europa che verso l’Africa nella vecchia via della seta: infatti le merci raggiungevano il Mediterraneo e Roma  dopo aver attraversato il deserto passando per Palmyra. Dopo la scomparsa di quest’ultima, si costruì una strada secondaria, che seguiva l’Eufrate controcorrente e passava poi per Aleppo ed Antiochia.

Pechino progetta sempre molti anni prima. E il governo a Damasco è implicato ai livelli più alti. Non è dunque un caso se Imad Moustapha, ambasciatore siriano in Cina, abbia detto chiaramente che Cina, Russia ed Iran avranno la precedenza nei lavori di ricostruzione.

La nuova via della seta, anche detta One Belt, One Road Initiative (Obor), avrà inevitabilmente un fulcro in Siria, e comprenderà anche il dovuto supporto legale verso le aziende cinesi coinvolte.

Pochi ricordano che prima della guerra la Cina aveva già investito decine di miliardi di dollari americani nel petrolio e nel gas siriani. Naturalmente, a guerra finita, la priorità per Damasco sarà ricostruire le infrastrutture distrutte. La Cina potrebbe assumerne una parte importante, tramite l’AIIB. Poi ci sono gli investimenti in agricoltura, industria e connettività – realizzare corridoi di trasporto nel Levante e collegare la Siria ad Iraq ed Iran (altri due fulcri di Obor).

Pechino ha già deciso di essere molto attiva a fine guerra. È da un anno che ha un rappresentante speciale per la Siria – e ha già fornito aiuti umanitari.

Inutile dire che tutti questi piani dipendono dalla fine della guerra. E qui viene il problema.

Con la scomparsa di Daesh (ISIS), o almeno la sua imminente perdita di qualsiasi centro urbano significativo, nessuno sa in che modo un “Sunnistan” frammentato possa essere manipolato per tagliar fuori la Siria dalla nuova via della seta.

Il Qatar ha già fatto una mossa a sorpresa, avvicinandosi a Teheran (lo impongono gli interessi comuni nel bacino di gas South Pars/North Dome), così come a Damasco – per la rabbia dei Saud. Quindi, a differenza del recente passato, il Qatar non è più interessato a regime changes. Ma da conciliare ci sono ancora gli interessi dell’Arabia, della Turchia, di Israele e, ovviamente, di Washington.

Il cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale negoziato da Trump e Putin ad Amburgo, supponendo che regga, potrebbe comportare che gli americani creino una zona demilitarizzata tra il Golan siriano ed il resto del paese.

Traduzione: il Golan de facto va ad Israele. In cambio, Mosca riavrebbe la Crimea.

Lo scenario è meno fantapolitico di quanto sembri.

L’altro grande punto è lo scontro tra Ankara ed i curdi dell’YPG. Contrariamente ai pronostici, Washington e Mosca potrebbero decidere, in tandem, di lasciar loro risolvere le cose tra sé. Nel qual caso, vedremmo inevitabilmente l’esercito turco occupare al-Bab nel prossimo futuro.

In pratica: l’Arabia Saudita non riceve nulla, Israele e Turchia ottengono “vittorie” politiche e militari. Difficile immaginare come Mosca possa vendere all’Iran questo scenario come vittorioso. Teheran potrebbe tuttavia mantenere stretti rapporti con Damasco ed impegnarsi nella costruzione della nuova via della seta.

Bisogna ora vedere chi prevarrà tra il guerrafondaio deep state e Trump, che invece vuole eliminare Daesh.

Comunque sia, Pechino ha già preso le proprie decisioni. Lavorerà senza sosta per fare del triumvirato Iran-Iraq-Siria un fulcro chiave di Obor. Pensate che non verrà costruito un percorso per container che vada da Shanghai a Laodicea?

Pepe Escobar

Fonte: www.counterpunch.org

Link: https://www.counterpunch.org/2017/07/14/the-new-silk-road-will-go-through-syria/

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