Cercherò qui brevemente di affrontare le reazioni che si sono levate dopo la pubblicazione di una foto di una bambina denutrita che sarebbe deceduta nei sobborghi di Damasco. Naturalmente è una foto straziante ma che non descrive purtroppo il contesto di questa guerra. Per contro, come sempre – l’utilizzo di quella foto come per il piccolo Aslan, Bana o altri – per fini politici, è molto diffuso. Perciò, prima di occuparcene, credo sia necessario ricordare tre punti.
– Damasco è bersagliata da lungo tempo da ribelli che fanno capo chi all’Arabia Saudita, chi al Qatar, chi dalla Turchia, chi alle potenze occidentali. Senza l’apporto esterno di fondi, armi e munizioni, le bande armate non avrebbero potuto condurre una guerra che ormai dura da sei anni, se non con archi e fionde.
– Qualsiasi stato al mondo non potrebbe tollerare, né potrebbe accettare che una parte del proprio territorio – ed addirittura la capitale – fosse occupata da elementi armati che hanno costituito di fatto uno stato nello stato.
– In questi giorni sono innumerevoli interventi che intendono riproporre – a piccole dosi – la vecchia narrativa ‘del sanguinario Assad e dei ribelli buoni’ ampiamente sconfessata dalle testimonianze dirette seguite alla liberazione di Aleppo. Questi interventi – spesso si servono di personalità come padre Dall’Oglio al fine di deviare il giudizio complessivo su ciò che succede – hanno solo interesse a strumentalizzare singoli episodi, dimenticandone mille altri.
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”20″ align=”left”]IL FATTO QUOTIDIANO: “Siria, morire di fame a Damasco a un mese di vita. Per propaganda”[/su_heading]
Il Fatto Quotidiano con ‘Siria, morire di fame a Damasco a un mese di vita. Per propaganda‘ a firma di Shady Hamadi fa riferimento alla foto della piccola Sahar Dofdaa morta ad un mese di vita. La foto – che ha fatto il giro del mondo – è stata scattata in un villaggio vicino Ghouta dal fotografo siriano Amer Almohibany per l’agenzia di stampa AFP. E’ inutile dire che il fotografo è un attivista dei ribelli che manda le foto ad AFP come fotografo freelance.
Nell’articolo si dice che l’episodio “è l’ennesimo simbolo di una guerra dimenticata e che a breve cadrà nel dimenticatoio, digitale e collettivo“, e che
Sahar era nata nel villaggio di Hamuriya, nella Ghouta, un’area assediata da anni dalle truppe fedeli al governo di Damasco e controllata da un gruppo fondamentalista, l’esercito dell’Islam che tiene in scacco i suoi abitanti.
Shady Hamadi , denuncia la ‘congiura del silenzio’, e una ‘situazione di ‘immobilismo internazionale‘ ed in particolare giudica l’assedio di Ghouta come terribile, “come lo sono tutti gli assedi che durano anni – come lo furono quello di Aleppo, di Madaya “.
Tra questi non cita – voglio sperare per dimenticanza – i villaggi assediati dai ribelli di Fuah , di Kafraya e la città di Deir Ez Zor liberata da poco. Inoltre, per chiarire le circostanze, neanche accenna ai continui attentati che da Ghouta e da Jobar vengono lanciati sulla città di Damasco e sull’esercito governativo tramite mortai e l’esplosione dei tunnel sotto le linee governative.
Inoltre, tra le località inserisce Aleppo tra le città assediate. Gli aleppini però si sono ormai abbondantemente espressi in proposito: Aleppo era in ostaggio dei gruppi armati ed è stata liberata.
La comunità Internazionale – che nel caso di Aleppo non è stata ‘immobile’ affatto ma ha supportato i ribelli – non ha fatto altro che prolungare la guerra. In quella situazione, l’intervento risolutivo dell’esercito siriano e degli alleati, ha consentito la cessazione delle violenze su tutta la città: altre opzioni avrebbero prolungato ed aumentato a dismisura la distruzione e le vittime .
Inoltre Aleppo per lungo tempo non è stata ‘circondata’ ma collegata al mondo esterno tramite la Turchia e tramite corridoi sicuri. Erano gli abitanti situati nell’area di Aleppo Ovest controllata dal governo che erano privati dai ribelli di acqua, cibo . Inoltre, essi hanno subito per lungo tempo , su base quotidiana , i bombardamenti dei ribelli.
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”20″ align=”left”]Vediamo di far chiarezza: [/su_heading]
I quartieri di Jobar e Ghouta orientale a Damasco da anni sono l’epicentro di una guerriglia che ha provocato nella popolazione della capitale migliaia centinaia di vittime innocenti. Le milizie armate hanno preso spesso di mira i quartieri residenziali con lancio di ordigni e – appena riescono a riorganizzarsi – effettuano attacchi accompagnati da autobomba ed esplosione di tunnel scavati sotto le linee governative. Naturalmente anche la popolazione nei quartieri detenuti dai ‘ ribelli’ viene colpita e soffre questa situazione.
Questo video, risalente al 2005, fornisce un’idea sui ribelli di Ghouta. Una delle pratiche del gruppo Jaish al-Islam era mettere in gabbia famiglie alawite o oppositori per utilizzarle come scudi umani:
In una situazione normale i ribelli dovrebbero raccogliere baracche e burattini ed andarsene. Ma non lo fanno, anzi si contendono il potere facendo centinaia di vittime civili. E evidente che la scelta che le forze armate governative sovente si trovano davanti a dover fare è quella tra dar battaglia alla guerriglia o fare nulla e farsi uccidere e lasciar devastare tutto il resto della città che le forze di sicurezza stesse sono incaricate di preservare e proteggere.
i ribelli di Ghouta spesso si scontrano tra fazioni con coinvolgimento di civili
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”20″ align=”left”]Le vittime della guerra[/su_heading]
E’ chiaro che anche – la coalizione internazionale a guida USA – che si definisce ‘dalla parte giusta della storia’ per liberare le città, fa vittime. Lo abbiamo visto a Mosul e Raqqa cosa è successo quando la coalizione statunitense ha liberato la città che assediava. L’ONU ha ripetutamente denunciato la sconvolgente perdita di civili, ma tutto è finito lì.
C’è poi un altro aspetto che è evidente. La situazione di Ghouta è vera, vera come in ogni contesto di guerra. Ma cosa chiedono i ribelli? Che il governo si faccia carico di quella situazione. Ma in cambio loro non vogliono riconciliarsi ne aderire agli accordi presi ad Astana. Esiste o no una responsabilità in questo? Lascio a voi la risposta.
Veniamo ora a tempi più recenti: l’area di Ghouta era tra le aree de-conflict, cioè quelle aree di cessate il fuoco in cui fanno da garante i paesi che hanno dato vita all’accordo di Astana , cioè Russia, Turchia e Iran. Ma gli accordi si fanno in due: i ribelli si ammazzano tra di loro da anni e non sono arrivati ad un accordo. Per di più i brevi cessate il fuoco li hanno inattesi.
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”20″ align=”left”]GLI AIUTI INTERNAZIONALI VENGONO STOCCATI DAI RIBELLI E NON DISTRIBUITI ALLA POPOLAZIONE[/su_heading]
Cionostante, le Organizzazioni Internazionali accedono all’interno dell’area di Ghouta e portando gli aiuti distribuiti dal governo e dalle Ong. Ovviamente si incontrano tutte le difficoltà del caso. La scarsità degli aiuti viene aggravata dal fatto – come è accaduto ad Aleppo – che i ribelli, le loro famiglie e i loro sostenitori ricevono gratuitamente il cibo, ma gli abitanti che non che non hanno familiari nei ranghi delle milizie armate sono quelli più a mal partito.
Si ha notizia che i militanti del gruppo ribelle islamista radicale affiliato al Syrian Army Faylaq al-Rahman , che opera per lo più in Ghouta orientale , sequestrano regolarmente un gran numero di prodotti importati dall’ONU e li stoccano nei magazzini della milizia, attuando la politica descritta.
In particolare: “Il 24 settembre 2017 nelle forze dell’opposizione occupate dalla regione di East Guta, vicino a Damasco, grazie all’assistenza militare russa, fu seguito dal convoglio umanitario delle Nazioni Unite. Ha consegnato cibo, medicinali e abiti caldi alla popolazione dell’enclave.
Tuttavia, in pochi giorni si è reso noto che una parte significativa delle forniture delle Nazioni Unite non li aveva raggiunti. Queste informazioni sono state confermate anche nelle reti sociali dagli abitanti delle periferie della capitale siriana – Kharasty, Modiari e Masrabi
Militanti gruppi “Feylak Ar-Rahman” e “Hayat Tahrir al-Sham,” (ex “Dzhebhat An-Nusra” *, il siriano “Al-Qaeda” *) hanno sequestrato un gran numero di numero di prodotti importati delle Nazioni Unite e portati al loro magazzini. Poi il cosiddetto “Comitato rivoluzionario di Damasco e la provincia”, che svolgono funzioni di autorità nei territori controllati “Feylak Ar-Rahman”, ha emesso un proclama che vieta la vendita libera di grano e farina.
Il comando del gruppo ha anche emesso un appello alle organizzazioni umanitarie, affermando che da ora in poi tutte le forniture alimentari saranno concentrate in luoghi speciali di stoccaggio e non direttamente trasferiti alla popolazione” (…)
(fonte Rusvesna news – vedi. Foto proclami deil gruppo).
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”20″ align=”left”]A peggiorare questa situazione ci sono poi – come già detto – le lotte intestine che sono continue.[/su_heading]
Il contesto naturalmente è quello di una guerra in cui la Comunità Internazionale si è fatta parte attiva contro la popolazione siriana infliggendo sanzioni che hanno incluso anche l’importazione di latte in polvere, macchine ospedaliere incluso incubatrici. E’ quella stessa Comunità Internazionale che molti invocano. A me onestamente, fa un po paura, sapendo quello di cui ha dato prova negli ultimi decenni…
NOTA A MARGINE:
L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2017:
Sempre più tragica la condizione dei civili siriani a Ghouta, la regione a est di Damasco controllata dall’opposizione e assediata dalle forze di Bashar Assad. Le testimonianze dirette e le immagini circolate negli ultimi giorni descrivono il dramma di persone innocenti intrappolate da una guerra crudele e senza alcuna pietà. Alcuni bambini sono già morti di fame. «Altri ne seguiranno», ha detto al «Guardian» una fonte sul campo, che ha richiesto l’anonimato. I civili di Ghouta sono infatti tagliati fuori da ogni circuito internazionale di aiuto. È questa una situazione emblematica di un paese che non riesce a uscire dal conflitto e nel quale si combatte anche nelle cosiddette zone di “de-escalation”, ovvero le aree di sicurezza disposte dagli accordi di Astana siglati da Russia, Turchia e Iran. Goutha, infatti, è proprio una di queste aree dove non ci dovrebbero essere combattimenti di nessun tipo grazie alla supervisione internazionale. Ma è proprio quest’ultima, come molti osservatori denunciano, a mancare.
L’Osservatore Romano dice la verità. Aggiungerei però che è da un anno che i ribelli non trovano accordo tra di loro e si combattono – anche con centinaia di morti tra i civili . Nel frattempo impiegano il tempo a riorganizzarsi e fare attacchi. Detto questo, il problema resta ma va affrontato ma non come arma ulteriore a favore di nessuno.