La questione libica: a quando le scuse italiane alla Libia?

Ricevo e rilancio questa provocane riflessione di Vincenzo Brandi della rete No War sulla Libia, dopo l’incontro Draghi Macron sul ‘futuro della Libia’.

di Vincenzo Brandi

Nei giorni scorsi il nostro presidente del consiglio Draghi ed il presidente francese Macron si sono incontrati per decidere sull’avvenire della Libia. Con grande arroganza, ed in perfetto stile neo-colonialista, i due statisti europei hanno ignorato che – fino a prova contraria – la Libia è ancora un paese sovrano.

Draghi e Macron hanno invece indicato cosa “devono” fare i Libici, considerati evidentemente come dei bambini cattivi privi di discernimento o dei pupazzi. Ai Libici – oggi divisi in varie fazioni armate – viene indicato che “devono” svolgere regolari elezioni in perfetto stile liberale occidentale, nonostante il caos in cui versa il paese, e nominare un governo “unitario”. 

Ma di chi è la colpa se oggi i Libici sono divisi in fazioni armate in lotta tra loro? Di chi la colpa se due milioni di Libici sono fuggiti all’estero e due milioni di lavoratori africani che lavoravano nel paese sono stati costretti a ritornare ai loro paesi o tentare l’avventura di un’incerta migrazione verso l’Europa attraverso il Mediterraneo?

Sotto la guida dell’ex colonnello Gheddafi la Libia aveva attraversato molti anni di stabilità e prosperità diventando il paese a più alto tenore di vita dell’Africa (secondo le stesse statistiche dell’ONU). Forse il governo di Gheddafi non sarà stato il massimo secondo gli standard “liberali” occidentali, ma certamente quel governo era il migliore possibile nel contesto storico del paese, tradizionalmente diviso tra varie tribù, e diverse realtà territoriali e religiose.

Gheddafi era riuscito a redistribuire i proventi provenienti dal petrolio e dal gas tra tutte le tribù, e stava operando una progressiva laicizzazione e unificazione del paese. Tutto questo è stato distrutto con il proditorio attacco della NATO del 2011, con l’attiva partecipazione dell’Italia.

Le motivazioni sono state che si sarebbe dovuto intervenire per salvare la popolazione dalle rappresaglie del “dittatore”, che avrebbe persino fornito di Viagra i suoi uomini per violentare le oppositrici (fatto smentito persino da Amnesty International, tradizionalmente ostile a Gheddafi); ma sappiamo che le ragioni erano ben diverse.

Gheddafi era un nazionalista africano che aveva dato appoggio a molti movimenti di liberazione africani, tra cui quello sudafricano guidato da Nelson Mandela, che lo aveva pubblicamente ringraziato.

Il presidente libico aveva inoltre progettato di creare una Banca Africana, con capitali iniziali libici, per sottrarre l’Africa ai ricatti del Fondo Monetario Internazionale e delle altre grandi banche occidentali. La più danneggiata sarebbe stata la Francia, che ancora controlla finanziariamente l’Africa Occidentale, dove si usa ancora il Franco Francese.

Le potenze occidentali avevano già in passato tentato di assassinare il leader libico. In un bombardamento statunitense sulla casa di Gheddafi fu uccisa una delle sue figlie. Anche l’episodio di Ustica è legato probabilmente ad un fallito attentato contro Gheddafi che stava tornando in aereo dalla Polonia.

Fu attribuito alla Libia anche l’attentato aereo di Lockerbie (fatto sempre smentito dalla Libia), per cui il paese fu sottoposto a sanzioni di cui si liberò risarcendo a sue spese le vittime (ma sempre rivendicando la propria estraneità ai fatti). Piuttosto che assumere un atteggiamento tracotante verso la Libia, l’Italia, la Francia e gli altri paesi aggressori dovrebbero cominciare a chiedere scusa per il disastro che hanno combinato.

L’Italia, poi, ex potenza coloniale occupante di quel paese, dovrebbe chiedere scusa anche per le decine di migliaia di Libici uccisi o deportati durante l’occupazione coloniale. Inoltre non tutti sanno che nel corso della guerra del 2011 gli aggressori sequestrarono 200 miliardi di Euro che la Libia aveva incautamente depositato in banche europee, o investito sotto forma di azioni di compagnie operanti in Occidente.

Questi fondi dopo 10 anni non sono stati restituiti. A quando la restituzione alla Libia del malloppo rapinato a mano armata? Non è forse nemmeno inutile ricordare che l’Italia, che aveva rapporti economici privilegiati con il governo Gheddafi, è stata beffata anche dal punto di vista della “realpolitik”, visto che ha perso molte posizioni in favore dei suoi alleati-concorrenti come la Francia, che ha ottenuto particolari vantaggi per la Total ed altre compagnie francesi, mentre è notevolmente diminuito il peso dell’ENI nel paese. 

Oggi la Libia è divisa in vari tronconi. La Cirenaica e tutta la parte centro-settentrionale è nelle mani delle milizie nazionaliste di Haftar e del Parlamento libico che si riunisce a Tobruk, sostenuto da Egitto e Russia.

La Tripolitania e la parte occidentale del paese sono essenzialmente nelle mani delle milizie dei Fratelli Musulmani, tra cui si distinguono per determinazione e ferocia le bande di Misurata sostenute dalla Turchia di Erdogan. Sono queste bande che alimentano anche la tratta dei migranti cui sono estorte somme notevoli per poter passare. Nelle regioni sahariane prevalgono le milizie legate ai nomadi Tuareg. 

Ovviamente non siamo contro le elezioni, che si dovrebbero tenere in corrispondenza del prossimo Natale, purché non diventino una farsa in cui gli elettori subiscono i ricatti e le pressioni delle milizie armate delle varie fazioni, che sono anche perfettamente in grado di orientare i risultati con brogli.

Intanto il solito Tribunale Internazionale dell’Aja, specializzato nel colpire selettivamente i nemici dell’Occidente, ha incriminato per i soliti “crimini contro l’umanità” il figlio di Gheddafi che aveva dichiarato di volersi candidare per la presidenza. Sorge spontaneo il sospetto che questa sia solo una manovra per eliminare un candidato che, in caso di elezioni regolari e non pilotate, potrebbe raccoglier i voti di vasti settori di popolazione nostalgica dei bei tempi di stabilità e benessere dell’epoca di Gheddafi, quando la Libia era sovrana e rispettata. 

Roma, 15 novembre 2021, Vincenzo Brandi

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