L’esercito siriano ha liberato la città di Daara, a poca distanza dal confine giordano. Ecco perché oggi Trump chiederà a Putin di allentare la pressione dell’Iran.
16 – 07 -2018 di Patrizio Ricci – Sussidiario
L’esercito siriano ha liberato la città di Daara nel sud del paese, a poca distanza dal confine della Giordania. L’epilogo della capitolazione di Daara è stato preceduto da intensi attacchi selettivi sulle posizioni dei militanti, effettuati dall’aviazione russa, seguiti dall’attacco di terra della unità corazzate dell’esercito siriano. E’ stato a questo punto che l’11 luglio Adham al-Akràd — uno dei principali comandanti del Free Syrian Army — ha consegnato le armi e si è arreso alle truppe di Damasco. Dopo questo evento, a ruota, hanno capitolato tutti i quartieri di Daara, a cominciare da quello di Al-Balad e a seguire i quartieri di Al Sadd, di Al-Mahameer Road, Sakhna, Mansheya, Gherz, Silwan; finché il giorno dopo, il 12 luglio, tutta la città era libera.
La resa di Daara, oltre aver soddisfatto la realizzazione di un importante obiettivo strategico per la sicurezza del paese, è altamente simbolica.
E’ a Daara infatti che ebbero luogo, nel lontano marzo 2011, i primi moti popolari che portarono alla diffusione della guerriglia in tutto il paese. Contrariamente a quanto noto ai più, le proteste armate innescate dai Fratelli musulmani che vennero realizzate nella città di Daara (a prevalenza baatista) non avevano come finalità il rovesciamento di una dittatura ma l’obiettivo di ottenere la libertà di applicare la Sharia, ovvero l’applicazione integrale della legge islamica. Come mi ha detto in un’occasione il compianto vescovo emerito di Aleppo, mons. Giuseppe Nazzaro, all’epoca il governo aveva già fatto grossi passi avanti e in direzione della modernizzazione. Nazzaro, pur consapevole della necessità che il regime implementasse alcune riforme politiche, “si è sempre opposto all’idea che l’appoggio indiscriminato a formazioni di ribelli, finanziati da paesi esteri, fosse la strada per costruire una Siria ancora unita, democratica e pluralista” (cit. Benedetta Panchetti, dottore di ricerca in diritto islamico nell’Università Ca’ Foscari di Venezia).
La pretestuosità di brandire i “diritti umani” per altri fini si è vista tra l’altro chiaramente quando tutte le richieste di riforma (compresa la concessione del multipartitismo e la fine dell’egemonia del partito Baath) sono state tutte concesse entro i primi due anni dall’inizio della rivolta.
E’ quindi solo per effetto di un preciso piano finanziato dall’esterno — che ha fatto perno sulla partecipazione attiva dei Fratelli musulmani e di vari gruppi salafiti legati al radicalismo islamico ed alle loro rivendicazioni — che la guerra è proseguita, nel silenzio consapevole dell’occidente.
Come già detto in precedenza, questi fattori spiegano l’attuale scarsa resistenza e convinzione dei miliziani, che si sono progressivamente resi conto di essere stati usati e dirottati verso fini terzi.
Anche in considerazione di questi elementi, i miliziani anti-governativi che si sono arresi (molti dei quali senza combattere), non sono stati fatti oggetto di misure detentive, ma hanno beneficiato di un accordo di riconciliazione (mentre i ribelli locali più ostinati saranno evacuati ad Idlib).
Da parte loro i civili che risiedono in zone sotto il controllo dei ribelli che avevano appoggiato la rivolta, ora sono disillusi dalla rivoluzione siriana, disgustati dalle fazioni ribelli, e insoddisfatti delle strutture locali di opposizione e per questo generalmente accettano la prospettiva del ritorno del governo siriano. Solo l’incapacità dei giornalisti stranieri di riferire dalla “Siria ribelle”, andando oltre all’orientamento ideologico dei ribelli locali e delle potenze straniere che li sponsorizzano, contribuisce ancora alla sottovalutazione di questo fenomeno: è per questa difficoltà di comprensione che la liberazione di Daara — mancando la consueta accusa di uso di armi chimiche — non è stata giudicata degna di copertura giornalistica.
Allo stesso modo, è passato in sordina il risultato preliminare della Organizzazione per la non proliferazione delle armi chimiche (Opcw), che scagiona l’esercito di Assad dall’uso di armi chimiche per i fatti accaduti l’aprile scorso a Duma (che avevano scatenato la rappresaglia statunitense).
E’ comunque un fatto che anche se la narrazione di questa guerra è stata opportunamente falsificata, con la riconquista di Daara in Siria non rimangono più ribelli “moderati” ma solo forze terroriste quali Tarir al Sham, Harar al Sham ed Isis. Ciò vuol dire che l’occidente non si potrà opporre, neanche formalmente, alla completa liberazione e la Siria rimarrà laica, la sola nel mondo arabo.
Ciò vuole anche dire che se qualcuno farà i cambiamenti desiderati dai siriani, sarà Assad e non i fanatici religiosi importati dall’Arabia Saudita. Ma perché la liberazione sia completata e si possa passare alla ricostruzione, alle riforme e al miglioramento dei rapporti con i paesi limitrofi, sarà importantissimo l’incontro di oggi tra Trump e Putin: Trump chiederà a Putin di garantire una minore presenza iraniana.
Non è strano che sia questa la richiesta, visto che il vero motore della rivolta è stato l’intenzione di accrescere il ruolo regionale di Israele e che per questo decine di migliaia di terroristi stranieri sono stati addestrati nei paesi limitrofi e poi fatti entrare in Siria. E’ evidente che la richiesta è un’implicita ammissione di fallimento, visto che le forze iraniane e Hezbollah — che oggi si chiede di allontanare — non sarebbero mai entrate in Siria in forze per aiutare Assad, senza una proditoria aggressione esterna.
© Riproduzione Riservata.
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2018/7/16/CAOS-SIRIA-La-richiesta-di-Trump-a-Putin-che-prova-il-fallimento-degli-Usa/830540/