Da tempi.it di Caterina Giojelli 18 gennaio 2021.
Perché tornare alla versione del 2015? Lo spiega Alfredo Mantovano (c’entra un caso in Cassazione, la stepchild adoption e la surrogata).
Tra le sconclusionate iniziative di questa legislatura e questo governo verrà ricordato anche il ritorno del “genitore 1” e “genitore 2” sulla carta di identità dei minori di 14 anni o sui moduli di iscrizione a scuola, stabilito dal Viminale. In piena crisi di governo, emergenza sanitaria con l’economia al collasso e le classi vuote, il ministro Luciana Lamorgese ha cancellato un altro lascito dell’era Salvini (quando si tornò a chiamarli “madre” e “padre”) e reintroduce il burocratese caro al governo Renzi e alle famiglie arcobaleno. Questo, ha spiegato il ministro alla question time del 13 gennaio, “per garantire conformità al quadro normativo introdotto dal regolamento UE e per superare le problematiche applicative segnalate dal Garante della privacy” sul decreto del 2019. Cosa significhi Tempi lo ha chiesto ad Alfredo Mantovano, magistrato e vicepresidente del Centro studi Livatino.
Ci può spiegare in parole semplici in cosa consiste queso regolamento europeo e a quelli “criticità” fa riferimento il garante della privacy che è urgente risolvere in questo momento storico con un decreto del Viminale?
Il ministro Lamorgese ha giustificato il ritorno alla dizione “genitore” facendo riferimento al parere emesso il 31 ottobre 2018 dal Garante per la protezione dei dati, che pure non aveva precluso al ministro Salvini di adottare il proprio decreto, e a una nota più recente dello stesso Garante, del 12 settembre 2020. Il nuovo decreto annunciato dal ministro dell’Interno, una scelta obbligata se, per riprendere le parole in risposta alla question time del 13 gennaio, “il Garante (…) ha rilevato che l’applicazione delle nuove disposizioni ha comportato notevoli criticità in termini di protezione dei dati e di tutela dei minori nei casi nei quali i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale non siano riconducibili alla figura materna o paterna, ora espressamente previsti, ed ha rappresentato la necessità di adeguare le disposizioni al quadro normativo introdotto dal Regolamento europeo in materia di trattamento dei dati personali”.
Tradotto dal burocratese, e al netto del ritornello “ce lo chiede l’Europa”, la posizione di Lamorgese è che per evitare problemi ai minori privi di un padre e di una madre biologici conviene che il riferimento sia generico per tutti (“genitori”). Per comprendere di quali problemi si tratta, conviene riprendere il parere del Garante del 31/10/2018: “Le ipotesi sono quelle in cui la responsabilità genitoriale e la successiva trascrizione nei registri dello stato civile conseguano a una pronuncia giurisdizionale (sentenza di adozione in casi particolari, ex art. 44 l. 184/1983, trascrizione di atti di nascita formati all’estero, riconoscimento in Italia di provvedimento di adozione pronunciato all’estero, rettificazione di attribuzione di sesso, ex l. n. 164/1982) (…)”. Quel parere fu seguito da una nota dello stesso Garante del 20/11/2018: “in tutti questi casi, la modifica proposta (dal ministro Salvini, che nel gennaio 2019 aveva reintrodotto “padre” e “madre”) determinerebbe effetti paradossali: (…) il minore affidato a soggetti che non possano definirsi suo padre e/o sua madre, non potrebbe ottenere mai la carta d’identità elettronica, non avendo appunto egli alcun padre o madre legittimati, essi soli, a richiederne il rilascio. Per ottenere altrimenti il documento d’identità del minore, i soggetti che ne esercitino la responsabilità genitoriale dovrebbero essere costretti a una falsa dichiarazione, attribuendosi (con la responsabilità penale che ne consegue), identità a loro non appartenenti”.
Ma dal punto di vista giuridico, sul lessico “madre” e “padre” la legge non è gà abbastanza chiara sia in riferimento a copie omosessuali, che possono diventare genitori in forza dell’adozione in casi speciali, sia nel caso di figli nati all’estero da fecondazione eteronoma, riconoscendo il diritto di essere iscritto all’anagrafe del solo genitore biologico?
A suo tempo il Garante aveva tragicizzato gli effetti della modifica voluta e realizzata dal ministro Salvini: i due anni seguenti tuttavia non hanno fatto emergere le evocate carrellate di falsità in documenti pubblici. Lo stesso Garante non aveva nascosto le vere ragioni che avevano fatto optare per “genitore” al posto di “padre” e di “madre”, e anzi le aveva passate in rassegna:
- “sentenza di adozione in casi particolari, ex art. 44 l. 184/1983” vuol dire stepchild adoption. Non è un caso se la prima modifica era stata introdotta col decreto del ministro Alfano del 23/12/2015, allorché era emerso e si stava affermando l’orientamento giurisprudenziale – inaugurato dal Tribunale per i minorenni di Roma – che dilatava ultra legem le maglie dell’art. 44 della legge sulle adozioni per ricomprendervi le adozioni da parte di persone legate all’unico genitore, in genere una donna rispetto alla compagna che aveva avuto il figlio da fecondazione artificiale eterologa;
- “trascrizione di atti di nascita formati all’estero” e “riconoscimento in Italia di provvedimento di adozione pronunciato all’estero” vuol dire in larga parte maternità surrogata, se altri ordinamenti ne prevedano già la registrazione, ovvero se aggirino l’ostacolo con un formale atto di adozione (e qui la coppia “omogenitoriale” è invece più di frequente composta da uomini);
- “rettificazione di attribuzione di sesso” non ha bisogno di esegesi.
Alberto Gambino, presidente Dell’associazione Scienza & Vita, dice: “Basterebbe tornare alla dizione tradizione “padre, madre, o chi ne fa le veci” per risolvere tutto. È così? O dietro questa ennesima giravolta lessicale la questione in gioco è un’altra?
E’ evidente che nei casi prospettati dal Garante il minore non può restare senza documento di identità valido per l’estero, ma – come ha osservato il prof. Alberto Gambino – sarebbe sufficiente aggiungere a “padre” e “madre” l’espressione “o chi ne fa le veci”. Non prendere in considerazione da parte del Garante la più semplice delle soluzioni, e oggi dal ministro dell’Interno, fa legittimamente chiedere – in assenza, lo si ripete, di echi di problemi applicativi del decreto Salvini -, quale sia la ragione dell’insistenza per tornare alla versione 2015.
La risposta alla question time da parte del ministro Lamorgese è avvenuta, come si è detto, il 13 scorso. Il 12, il giorno prima, le Sezioni unite civili della Cassazione hanno tenuto l’udienza e la camera di consiglio sulla controversia fra il Sindaco di un Comune italiano e due persone dello stesso sesso che pretendono “il riconoscimento in Italia (tale è la questione di diritto oggetto della decisione) di un provvedimento giudiziario straniero (…) che abbia dichiarato l’adozione di un minore in favore di una coppia omosessuale di sesso maschile ed abbia attribuito all’adottato le generalità dei genitori adottivi in luogo di quelle dei genitori biologici”. Si può dire che il decreto annunciato dal ministro Lamorgese “si porta avanti col lavoro”, poiché prepara gli uffici dei Comuni a una eventuale decisione positiva della Cassazione. Può darsi sia un caso che un giorno la Suprema Corte affronti la questione – l’esito sarà reso noto una volta depositata la sentenza – e il giorno dopo il titolare del Viminale prospetti come prossimo al varo il suo decreto: non è un caso il contesto in senso lato culturale e giuridico che fa quasi coincidere le due decisioni.
Rispetto alle quali, al di là delle necessarie considerazioni di merito, resta un quesito di quadro, non trascurabile: una scelta così delicata, qualunque essa sia, compete a un atto amministrativo quale il decreto ministeriale e/o a una sentenza, per quanto del consesso giurisdizionale più autorevole, o andrebbe riservata al Parlamento, visto che coinvolge non marginalmente diritti e istituti costituzionalmente fondati? E perché mai il Parlamento dovrebbe rassegnarsi a una mera notifica di un ministro, o a seguire da lontano la pronuncia giudiziaria, senza pretendere una riflessione e un confronto approfonditi al proprio interno?