Israele punta il dito contro l’irresponsabilità di Hamas ma la sua ascesa al potere non è avvenuta all’improvviso: Israele ha lasciato fare, anzi l’ha favorita.
di Patrizio Ricci
Specialmente verso l’attuale rappresentanza palestinese, Israele non ha nessuna intenzione di fare concessioni. La ‘natura’ di Hamas e la sua presenza nel governo palestinese non facilita una soluzione pacifica. Il motivo non è di difficile comprensione: lo scopo esplicito di Hamas è la cancellazione dello stato di Israele e la sua sostituzione con un Stato islamico palestinese (in un territorio che va dal fiume Giordano al Mare Mediterraneo). Sul suo statuto è scritto che: “non esiste soluzione alla questione palestinese se non nel jihad”. Il gruppo (una derivazione dei Fratelli Mussulmani ) è nato alla fine della prima Intifada (1987-1993). Non si è costruita una buona reputazione: nella seconda Intifada ha compiuto numerosi attentati suicidi contro obiettivi militari e civili israeliani causando centinaia di vittime. Per questo motivo, Hamas è inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti, dal Canada, da Israele e dal Giappone.
Però, formalmente, secondo i canoni correnti di una mal interpretata ‘democrazia’, si direbbe che l’ascesa al potere di Hamas sia avvenuta in modo del tutto ‘regolare‘: nel gennaio 2006 il movimento vince le elezioni legislative con il 44% dei voti mentre il partito rivale al Fatah ottienne il 41% di voti. E’ qui che avviene la prima anomalia: lo svolgimento di ‘libere elezioni’ è sufficiente a legittimare al governo una organizzazione terroristica? Ovviamente no, è come se le Brigate Rosse si fossero presentate alle elezioni in Italia: non sarebbe stato loro concesso di candidarsi e comunque non sarebbe bastato un ipotetico responso positivo per legittimarle.
Tuttavia, non è stata una ‘svista’: senza l’accondiscendenza di Israele, Hamas non avrebbe avuto accesso al potere. Ancorché non condivisibile, il comportamento israeliano ha una sua spiegazione, illustrata nel 2009 sul Wall Street Journal da Avner Cohen – funzionario israeliano agli Affari Religiosi per la striscia di Gaza “Israele ha incoraggiato i militanti di Hamas perché potevano essere utili per fare da contrappeso ai nazionalisti laici della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e della sua fazione dominante, Fatah di Yasser Arafat“. Il comportamento israeliano, ancorché controverso, ha una sua seconda spiegazione: è l’adozione della nuova dottrina messa in atto dagli USA l’indomani dell’11 settembre, denominata ‘caos costruttivo’; se non si vuole che uno stato o un territorio sia indipendente e si auto determini, la soluzione è delegittimarlo, destabilizzarlo ed infine farlo collassare. Una classe dirigente impresentabile non potrà avanzare più alcuna rivendicazione e sarà screditata. Quando la situazione sarà senza controllo, la concessione delle libertà richieste dal popolo, appariranno istanze illogiche e improponibili.
Ripercorriamo le varie tappe di ciò che è successo. All’inizio, il leader del Movimento, lo sceicco Yassin non sembrava avere ambizioni politiche. Presentò il suo gruppo come un gruppo religioso che patrocinava numerose attività benefiche verso la popolazione. Per questa ragione Israele autorizzò ad operare nel territorio. Naturalmente Hamas ha sfruttato l’occasione favorevole; ha saputo procedere con pazienza, radicandosi nella società istituendo una università islamica, moschee, associazioni e scuole…
Impadronendosi dell’istruzione ha realizzato tutto ciò che occorre per inculcare la propria ideologia nelle giovani generazioni. Del resto, ogni ‘opera’ realizzata da Hamas era funzionale a penetrare nella società palestinese ed acquisire consenso. E’ impensabile che parte israeliana non si avesse sentore che le vere aspirazioni di Hamas non fossero la libertà e la giustizia: la sua ideologia, secondo la quale i mali del mondo arabo derivano da una mancanza di devozione islamica era nota ( e affonda le sue radici nell’ideologia dei Fratelli Musulmani).
Israele ha volutamente lasciato fare: non ha mai ostacolato Hamas ed ha lasciato indebolire Fatah (che però a differenza di Hamas non è caratterizzato dal fondamentalismo religioso…), non lo ha fatto neanche quando erano chiare le mire di potere nei territori palestinesi
In definitiva, Israele ha scelto di indirizzare le sue azioni politiche adottando un principio ‘utilitaristico‘: è questo atteggiamento al fine del raggiungimento della pace, è un errore fatale. Quando non ci sono scelte percorribili, quando non ci sono opzioni che assicurino il successo, quando parte dei problemi derivano sopratutto dalla sfiducia reciproca, dall’ideologia e dall’odio, per non ingarbugliare ancor più le cose occorre essere schietti e non doppi.
Confidare sulla superiorità militare non è una strada percorribile a meno che non si sia così spregiudicati da far fuori tutti. Lo ha fatto negli anni 80′ in Siria Hafiz al-Assad (padre dell’attuale presidente Bashar) per sradicare i Fratelli Mussulmani ad Hama: la repressione fece 20.000 vittime e tra cui molti innocenti. Ebbene, nel nostro caso non si è arrivati a tanto ma è innegabile che la situazione è degenerata in tutto il Medio Oriente per un’ambiguità generalizzata: Hamas si è schierata contro Assad in Siria, quindi dalla parte degli americani. Ma gli americani sono alleati di Israele. Israele appoggia i terroristi in Siria e quindi anche Hamas, però non in Iraq…è una vera contraddizione…
Nella logica del dissimulare ci si perde, le ‘reazioni a catena’ sfuggono anche agli artefici di tanto inganno: tutte le parti in Medio Oriente adottano atteggiamenti ambigui, mettendo in campo strategie e azioni spregiudicate pensando che alla fine risulteranno vincenti.
Chiediamoci: questi comportamenti possano portare alla pace? Evidentemente no.
Non si può da parte di Israele sperare di risolvere le cose con le bombe. La chiave è osservare lealmente la realtà: gli avvenimenti riaccadono nella crudele spietatezza come un ‘déjà vu’. E’ sbalorditivo che in Palestina la storia si ripete ma non mutano le strategie: non mutano le strategie di Israele, non mutano le strategie dei leader palestinesi, non mutano le strategie europee e americane. La falsa pace, la tregua, i cessate il fuoco, le vittorie (nel sangue ) che ognuno giudica di aver conseguito sono sempre effimeri. Sono solo il frutto di sfiancamenti… Per questo, è evidente che senza veri cambiamenti e vera riconciliazione, la guerra ricomincerà ogni volta con più forza.
In fondo a tutto c’è un’evidenza: non si può essere ‘intelligenti’ contro il male e quindi pensare di risolvere le cose con l’astuzia e la scaltrezza. Il male è un fatto che snatura l’uomo: gli dice di avere un altro destino, variabile a secondo delle contingenze materiali e delle variabili sociali. Perciò il male avviene quando le scelte sono frutto di ambigue strategie egemoniche, messe in atto per conservare situazioni di privilegio fondate sull’ingiustizia l’ideologia ed il potere.
Non sarebbe ora di chiedersi tutti di governare alla luce del sole?
(nota: pubblicato su quotidiano on line “La Perfetta Letizia News 24”)