[ad_1]2018 – Odissea in Piddinia
Tobias Piller è il corrispondente dall’Italia per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Sulle pagine del prestigioso quotidiano di Francoforte non perde occasione per raccontare ai tedeschi quanto la situazione italiana sia ormai irrecuperabile e il collasso del Belpaese alle porte. Per Piller, e probabilmente per molti lettori della FAZ, l’Italia resta un paese caotico ed inefficiente, un paradiso di bellezza abitato da un popolo incapace di pensare al futuro. Il giornalista si lancia poi in una profezia funesta: il 2018 sarà l’anno del collasso generale! Grazie Claudio per l’ottima traduzione. Da FAZ.net
All’Italia mancano gli strumenti per un nuovo slancio. La perenne campagna elettorale e una montagna di problemi quotidiani tengono il Paese paralizzato. Il prossimo anno si fa dura
Non è trascorsa nemmeno una settimana nella quale sui giornali italiani non siano comparse brutte notizie: banche stremate, immigrati straziati, caos politico. Il presente di questo superbo Paese è tutt’altro che roseo. Ma la nota più negativa è che l’Italia ha tutte la carte in regola per diventare l’epicentro della crisi europea nel 2018. Fra tutti i Paesi che hanno preso parte al recente G20 l’Italia è quello con le peggiori previsioni di crescita. Anche per questo il debito pubblico è il più elevato di tutti dopo quello giapponese. Eppure questi paragoni internazionali, in particolare quelli che consegnano risultati tanto amari per l’Italia, non interessano la politica romana.
A Roma ruota tutto attorno alle manovre politiche che al momento permettono ai loro protagonisti di restare tranquilli ai loro posti, l’attenzione ricade sugli spettatori nelle innumerevoli discussioni televisive o sul favore riscosso tra gli utenti internet. La stessa crisi dei migranti – con 80.000 sbarchi registrati dall’inizio dell’anno – non partorisce alcuna discussione approfondita in merito alle possibili soluzioni, bensì solo le declamazioni più incisive possibili per le telecamere: “Le ragioni di queste decisioni perverse, in seguito alle quali tutti i migranti sbarcano in Italia, vanno ricercate in oscuri accordi stipulati dal governo Renzi” dice Renato Brunetta, capogruppo del partito di Silvio Berlusconi. Il grande ammiratore della Le-Pen e leader della Lega Matteo Salvini è invece assai più coinciso: “L’Italia sta diventando un immenso campo profughi”.
Solo il 40% dell’acqua piovana
Ci sono parecchi problemi da risolvere intorno alla questione del flusso migratorio. Per anni infatti l’Italia si è abituata a dirottare i nuovi arrivati in direzione Austria e Germania. Adesso invece i profughi, una volta sbarcati, vengono registrati e devono rimanere in Italia. Però 5300 sindaci su 8000 non vogliono alcun centro d’accoglienza sul loro territorio. Perciò gran parte dei 4,5 miliardi di euro destinati all’alloggiamento dei migranti finiscono a delle cooperative non sempre limpidissime, alcune delle quali hanno come unico obiettivo quello di intascarsi il denaro. Questi problemi sono noti da tempo ma l’Italia resta ancora lontana dal poter garantire controlli efficaci e capillari. Molto più semplice lamentarsi continuamente del disinteresse dell’Europa, dal momento che Austria, Germania e gli Stati dell’Europa dell’Est non vogliono farsi carico dei migranti.
Lo stato di emergenza riguardante l’accoglienza e l’assistenza dei migranti è solo uno dei grandi problemi del Paese: vi si aggiungono altre questioni della vita di tutti i giorni. L’agenda quotidiana viene puntualmente scossa da nuovi scandali e spesso le criticità sono rappresentate da problemi ben noti. In questo momento l’Italia sta registrando un’ondata di calore straordinaria e si viene a scoprire – solo adesso – che nel 2017 le piogge ammontano solamente al 40% della media abituale. Il raccolto di riso nella Pianura Padana è minacciato, mentre una gran parte di quello del mais è già andato perduto. I Presidenti di diverse Regioni intendono proclamare lo stato di calamità in modo da ricevere degli indennizzi dallo Stato. Investimenti di lunga durata finalizzati al risparmio idrico nell’agricoltura? Quelli possono pure attendere…
Problemi abituali con l’aggiunta di qualche sgradita sorpresa
Quest’anno però l’emergenza idrica colpisce anche i cittadini che finora ne erano stati risparmiati. Che nelle zone interne della Sicilia città di anche 100.000 abitanti in estate abbiano accesso all’acqua solo ogni due o tre giorni rientra nella normalità. Ora però l’acqua viene razionata anche nell’hinterland napoletano e alcuni paesini vengono riforniti solo grazie alle autobotti. Le notizie riguardanti la penuria idrica sono anche in questo caso accompagnate dai dati circa la perdita d’acqua causata dalle condutture malfunzionanti: a Roma, secondo le statistiche, tali perdite ammontano al 43% dell’acqua trasportata, a Palermo al 45% e a Firenze al 46% (poco meno del 40% la media nazionale). Il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti tuona: “Non è più tollerabile che ogni anno per alcune città il periodo di siccità si tramuti in un problema di approvvigionamento idrico”.
A queste emergenze “abituali” si aggiungono altre sgradite sorprese come gli incendi che d’estate colpiscono le aree boschive. Si presume che alcuni di questi vengano appiccati dai forestali “stagionali” che in questo modo hanno la possibilità di prolungare il loro periodo lavorativo (e con ciò anche i loro stipendi). Quest’anno però è emerso che intere zone siano sprovviste di velivoli antincendio. I media riferiscono che, in seguito all’accorpamento dei forestali nel Corpo dei Carabinieri, la questione circa la capacità operativa dei mezzi antincendio sia stata notevolmente trascurata.
Cumuli di macerie nei paesi degli Appennini
La lista delle emergenze e dei disguidi nazionali prosegue senza sosta. A Roma il deposito dei rifiuti è stato chiuso; in mancanza di inceneritori però una gran parte dei rifiuti viene portata all’estero con i treni. A Napoli un edificio di quattro piani è crollato. Il ponte autostradale crollato a maggio nei pressi di Ancona è solo uno dei tre casi analoghi di cedimento verificatisi in sei mesi. Sempre a Roma uno sciopero di 24 ore indetto da due minuscole sigle sindacali ha paralizzato l’intera città: la motivazione era quella di opporsi a qualunque ipotetica proposta di privatizzazione delle linee dei bus e di rivendicare il “diritto allo sciopero”. A Roma ci sono a stento due linee e mezzo di metropolitana per una copertura di 44 km, un paio di tram obsoleti e bus consumati, senza i quali però il traffico va in tilt. Inoltre resta ancora un mistero il motivo per cui un terzo dei bus cittadini sia bloccato in deposito per manutenzione, mentre i meccanici delle officine dei bus il pomeriggio lavorano altrove. Da una parte non si trova il denaro per acquistare i pezzi di ricambio, dall’altra però si incoraggia l’acquisto delle ruote dei bus in modo da alimentare i fondi neri. Si è scoperto che un sindacalista operava da intermediario e grazie ai prezzi gonfiati riusciva a mettere da parte fino a 7 milioni di euro, ufficialmente per la mensa ma certamente anche per affari privati.
Se l’organizzazione quotidiana risulta così difficoltosa, non sorprende certo che le conseguenze dei terremoti verificatisi ad agosto e ottobre 2016 non siano ancora state superate. Nei paesini degli Appennini ci sono ancora cumuli di macerie. Di recente il sindaco del Comune di Visso ha dichiarato che se non verranno intraprese delle contromisure nessuno dei vecchi abitanti tornerà in paese.
Le emergenze a lungo termine cadono nel dimenticatoio
È possibile far peggiorare ancor di più questo stato d’emergenza? Sì, è possibile; e le cause sono molteplici. In Italia i politici si sentono impotenti dal momento che nessuno può prendere una decisione senza prima aver consultato tutte le autorità competenti in materia. Quando qualcuno alla fine osa intraprendere un’azione, corre il rischio di violare una delle 100.000 disposizioni in vigore, di finire a processo (per un indefinito numero di anni…) per via di una quisquilia e magari di dover anche pagare un risarcimento di parecchie migliaia di euro. C’è poi anche un conflitto di potere tra i diversi livelli decisionali ma soprattutto ci sono le prassi imposte dal clientelismo politico, secondo le quali ogni occasione è buona per ricompensare i propri raccomandati con posti di lavoro, incarichi e denaro. E quando sussiste il pericolo che un avversario riesca a mettere le mani su un incarico – e sulle relative prebende – si passa al contrattacco cercando di bloccare tutto nella speranza di propizi incroci politici.
A parte questi bassi istinti, progetti a lungo termine miranti a risolvere gli annosi problemi italiani rappresentano un’ardua impresa. Molto più appetibile impiegare le risorse a disposizione in provvedimenti come “il bonus aggiornamento docenti” o “il bonus cultura ai 18enni” (in entrambi i casi del valore di 500 Euro), oppure promettere la quattordicesima per le pensioni più basse, 400 Euro mensili di sussidio per i nuclei familiari più poveri e un bonus (al cui finanziamento si provvederà solo in un secondo momento) per le pensioni minime future dei giovani italiani. In prossimità del referendum del dicembre scorso Matteo Renzi aveva annunciato un “bonus mamma” di 800 Euro una tantum, senza però prestare attenzione alle norme di attuazione. Mancano invece i fondi necessari per rinnovare anche nel 2018 le deduzioni fiscali in favore delle imprese, che nel 2017 avevano potuto usufruire di questa “misura-esca” in caso di investimenti.
Non si possono concepire le riforme come regali da elargire prima delle elezioni, anche perché misure analoghe verrebbero poi proposte anche dagli altri partiti politici. E, soprattutto, chi vuole investire a lungo termine, non si può illudere di poter raccogliere i frutti politici di tali decisioni, semplicemente perché i cambi di governo sono troppo frequenti.
Il debito pubblico è salito al 133%
Quando nel 2014 l’allora 39enne Matteo Renzi divenne Presidente del Consiglio, promise di affrontare tutte queste inefficienze. Diceva che non gli stava a cuore il potere, bensì il futuro dei propri figli. Promise tante riforme, ne portò a termine una sola – quella del mercato del lavoro (n.d.t abolizione dell’articolo 18) – per poi spostare l’attenzione sulla riforma elettorale e su quella costituzionale. Per riuscire in questo intento si avviò spedito sul percorso del populismo condito da regali elettorali e slogan antitedeschi. La sua smodata sete di potere ha finito per renderlo talmente insopportabile che per gli avversari di Renzi è stato fin troppo facile convincere gli italiani a rigettare le sue riforme in modo da porre fine alle ambizioni di quel politico sempre più detestato. Risultato: la politica e le tante riforme si sono oramai arenate.
Renzi però è nuovamente a capo del PD, tuttavia all’interno del partito è in corso un’accanita diatriba circa le possibili coalizioni. La destra avrebbe buone chance elettorali se non fosse spaccata tra moderati ed euroscettici. Da qualche parte, nella terra di nessuno, si trova Beppe Grillo, privo di qualsiasi programma concreto ma sempre prodigo di ricette populiste e pronto a scagliarsi contro gli sprechi, il Fiscal Compact e l’ondata di migranti. Per le prossime elezioni del 2018 ancora non c’è nemmeno una legge elettorale in grado quantomeno di garantire proporzioni simili tra Camera e Senato, poiché la proposta di legge è stata ogni volta rigettata dalla Corte Costituzionale in riferimento ad entrambe le Camere.
Se la politica italiana dovesse risultare pressoché incapace di agire proprio nel momento della prossima scadenza elettorale, ciò si rivelerebbe un errore fatale. Perché se da un lato il Paese può tirare avanti per altri due anni con i soliti problemi, dall’altro le condizioni economiche potrebbero generare nel 2018 un collasso definitivo del sistema generale. Il debito pubblico ammonta attualmente al 133% del PIL, cui andranno sommati gli oneri per il salvataggio bancario. Non va però dimenticato che nel 2018 il periodo degli interessi tenuti artificialmente bassi sarà finito. Se l’Italia – come quest’anno – andrà nuovamente a bussare ai mercati per farsi prestare 400 miliardi di Euro, ci si porrà la domanda se un Paese tanto problematico, zavorrato da ostacoli alla crescita e da una classe politica disfunzionale, sia poi tanto degno di credito. Questo quesito ancora non aleggia nei pensieri dei politici romani. Matteo Renzi ha appena lanciato il nuovo motto: “Siamo di fronte a dieci mesi di campagna elettorale”.
[1] Deposito di Malagrotta, chiuso ufficialmente il 1 ottobre 2013
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