fonte di Angela PELLICCIARI – totuus tuus
Un regno che poco o nulla conosceva del resto d’Italia compie l’unificazione del Paese. Pagando un tributo determinante alle potenze dell’epoca, massoniche e nemiche del Papato. Nasce così la legislazione anticristiana.
* * *
Per comprendere un fenomeno storico (come per qualsiasi altro tipo di realtà) bisogna partire da domande ben poste. A proposito di Risorgimento una buona domanda è: come mai è assurto a campione di italianità uno Stato periferico a cavallo delle Alpi, non paragonabile per storia ed importanza culturale allo Stato della Chiesa, al Regno delle Due Sicilie o al più piccolo Granducato di Toscana? Come mai l’unificazione italiana è partita proprio dal Regno di Sardegna nel cui Parlamento si parlava, spesso, in francese?
La risposta è inequivocabile: perché i Savoia hanno pagato un prezzo che gli altri sovrani non erano disposti a pagare. Perché hanno unificato l’Italia combattendo la profonda identità culturale, religiosa, artistica ed anche economica della nazione. In una parola: hanno accettato di passare sopra agli interessi più vitali della popolazione che, dopo l’unità, è stata trasformata in un popolo di mendicanti costretti ad emigrare. Cosa inaudita nella nazione che da più di due millenni era il Bel Paese. Ricco, bello, colto, civile, solidale, ospitale.
Gli unici alleati che i Savoia hanno trovato per diventare re di un territorio prestigioso come l’Italia (a parte un esiguo numero di rivoluzionari provenienti dagli altri Stati della penisola) sono stati quanto di meno italiano si potesse immaginare: gli Stati protestanti e massonici che all’epoca dominavano il mondo. Per avere il loro sostegno politico, militare ed economico, i sovrani sardi hanno dovuto dare prova di essere omologati al credo religioso e culturale dei propri sponsor, mettendo in atto una seria persecuzione anticattolica.
La persecuzione degli ordini religiosi
Succede così che nel 1848, non appena Carlo Alberto concede lo Statuto, Parlamento e governo subalpino tolgono la libertà ai gesuiti e agli ordini definiti “gesuitanti”.
L’8 giugno 1848 il deputato Cesare Leopoldo Bixio presenta un progetto di legge per «provvedere alla interna quiete dello Stato» spronando i colleghi a «prendere d’esempio dagli uomini semplici, ma previdenti: i villici quando uccidono le vespe ardono e distruggono il vespaio perché non tornino».
Chi sono la vespe? Quali gli alveari? La risposta è semplice e inequivocabile: le vespe sono i gesuiti, gli alveari da bruciare «le chiese e le case dell’ordine in varie città».
Il 1848 si chiude imponendo ai gesuiti – rei del crimine di chiamarsi tali – il domicilio coatto e facendo passare ad altri usi gli splendidi collegi che dirigono: le scuole dell’ordine diventano caserme, ospedali, manicomi.
Qualche anno dopo è la volta degli ordini contemplativi (monache di clausura) e mendicanti (primi fra tutti francescani e domenicani). La follia rivoluzionaria del 1848 è passata e il governo spaccia la soppressione di ordini religiosi secolari, tutelati dallo Statuto, per una semplice questione di buona amministrazione.
* * *
Le “ragioni” di Rattazzi
Analizziamo in dettaglio le motivazioni proposte in Parlamento:
a) gli ordini mendicanti e contemplativi sono inutili, quindi dannosi. Così si esprime Urbano Rattazzi, che ha anche competenza sul culto come ministro della giustizia in Piemonte. Il Regno sardo, che si definisce liberale, decide di azzerare una cospicua realtà sociale, religiosa, culturale ed economica, perché la definisce inutile quindi dannosa.
Il totalitarismo liberale, fenomeno d’élite, anticipa, non ci sono dubbi, il totalitarismo di massa del Novecento.
b) È ancora Rattazzi ad offrire una seconda buona ragione per togliere la personalità giuridica agli ordini religiosi della Chiesa di Stato: il guardasigilli ritiene che la Chiesa sia ingiusta e che lo Stato debba rimediare a tanta ingiustizia. Lasciamo la parola a Rattazzi: è «impossibile negare la necessità d’una più equa ripartizione dei beni ecclesiastici. Mentre si veggono benefizi con una rendita di oltre 100.000 lire», ce ne sono altri «la cui rendita non arriva nemmeno alle 500 lire. È forse giusto, è forse consenta neo ai principii della religione che esista questa disparità fra i membri del clero? No certamente». Il progetto, conclude il ministro, «intende ad introdurre la più equa ripartizione dei beni ecclesiastici». In buona sostanza Rattazzi sostiene la necessità di fare uguaglianza: bisogna togliere a chi ha di più per dare a chi ha di meno. Chi avrebbe potuto immaginare una vena leninista così spiccata in un ministro liberale? Quando Pio IX – fin dal 1846, all’epoca della sua prima enciclica – ammonisce i liberali del pericolo comunista, è un buon profeta: sconvolgendo i diritti della proprietà privata (e della più sacra tra le proprietà private, quella della Chiesa, ovvero i “beni dei poveri”), i liberali smantellano le basi stesse di un ordinato vivere civile.
c) Ritenendo insufficiente l’equazione inutile=nocivo stabilita da Rattazzi, Cavour scientificamente dimostra in Parlamento che gli ordini religiosi sono dannosi ed è per questo che vanno aboliti. Dannosi a che cosa? AI progresso, è la risposta. Monache, francescani e domenicani si oppongono al progresso in tutti i campi: in quello sociale come in quello scientifico, artistico, culturale, agricolo e industriale. Cavour che, secondo le proprie abitudini, non arretra di fronte a niente, arriva a sostenere che le corporazioni sono dannose allo stesso progresso religioso: «le riforme che noi vi proponiamo debbono riuscire altresì vantaggiose ai veri interessi della religione e della Chiesa». Il Primo ministro del regno sardo pensa di poter giudicare delle realtà ecclesiali meglio del Papa. Come a suo tempo avevano fatto i vari Lutero, Enrico VIII, Calvino e, qualche decennio prima di Cavour, i giacobini e Napoleone.
d) La motivazione principale, l’asse portante dal punto di vista propagandistico, che permette alla persecuzione di snodarsi lungo la sua china inarrestabile fino a rendere il papa prigioniero in Vaticano, non è esposta né da Rattazzi né da Cavour, ma dal deputato Carlo Cadorna.
* * *
Separare per eliminare
È infatti Cadorna ad introdurre in Parlamento il principio del separatismo: “libera Chiesa in libero Stato”. Con quale artificio il deputato può giustificare un attacco frontale alla Chiesa di Stato in nome della sua libertà? Con l’eterno trucco dei rivoluzionari: cambiando il significato delle parole. Seguiamo l’argomentazione del deputato: il potere spirituale e quello temporale esistono per volontà di Dio. Ma che cosa si deve intendere quando si parla di potere spirituale? «La società ecclesiastica – è la riposta di Cadorna – agisce sulla parte interiore dell’uomo, sull’anima; essa domina i pensieri, le aspirazioni, le credenze». Detto in parole povere, al Parlamento subalpino fa comodo confondere il potere spirituale con il potere divino. La Chiesa – sostiene Cadorna – «è spirituale nel suo scopo, e noi non sapremmo invero comprendere troppo agevolmente quale nesso possa esistere tra l’oggetto spirituale, cioè l’anima umana sulla quale la Chiesa può unicamente agire, e gli oggetti materiali i quali hanno inabilità naturale di esercitare sull’anima un’azione di qualsivoglia natura». Le conseguenze di questa inedita definizione di potere spirituale sono ovvie: la Chiesa si occupa di ciò che, come l’anima, è immateriale; di ciò che non si vede. Lo Stato, al contrario, si occupa di tutto il resto; di tutto quello che si vede. E così, con gran candore, il cattolico Cadorna può sostenere che i beni della Chiesa «non divengono spirituali per ciò solo che sono destinati al culto».
È grazie ad una simile definizione di potere spirituale che il Regno sardo prima, quello italiano poi, mettono le mani sulle proprietà di tutti gli ordini religiosi, privati della personalità giuridica, e si impadroniscono dello Stato più antico e prestigioso dell’Occidente, l’unico Stato al mondo non frutto di conquista: lo Stato della Chiesa. Se monaci e frati non possono possedere nemmeno i conventi in cui abitano (con relativi oggetti sacri, libri, archivi, quadri, statue), in nome di cosa il Papa può giustificare il possesso di un intero Stato?
* * *
Quando il Piemonte entrò nel “giro che conta”
Con l’attacco alla Chiesa del 1855, il governo sardo dimostra alle grandi potenze di voler fare sul serio nella volontà di annientare la Chiesa di Stato. Grazie alla legge contro i conventi, unita a qualche migliaio di morti (i giovani mandati a combattere in Crimea), Cavour può partecipare al Congresso di Parigi del 1856 e aggiungere all’ordine del giorno dell’agenda internazionale la questione italiana. Lo fa, incredibile a dirsi, come questione morale: gli italiani dell’Italia meridionale e centrale gemono sotto il malgoverno pontificio e borbonico. Gemono sotto governi assoluti, anni luce lontani dal bravo Piemonte che è costituzionale e liberale. Gli italiani vanno aiutati e Vittorio Emanuele Il è pronto a fari o liberandoli con il proprio esercito. Il principio del “non intervento”, sanzionato sempre a Parigi, fa il resto: nessuno può intervenire a difendere l’Italia cattolica ed i suoi legittimi governanti. Nessuno meno coloro che, come Napoleone III, intervengono per attaccarla e spartirsene il bottino.
Fra il 1861 , data di nascita del nuovo Regno d’Italia di cui ci apprestiamo a celebrare il centocinquantenario, e il 1873, i governi liberali estendono a tutte le regioni italiane la legislazione sarda e sopprimono uno dopo l’altro tutti gli ordini religiosi espropriandone tutti i beni. 57.492 fra uomini e donne, tanti sono i membri degli ordini soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Più di cento le diocesi italiane lasciate senza vescovo. Qualche anno dopo è la volta delle ventiquattromilacentosessantasei opere pie. Il gigantesco ladrocinio che accompagna il Risorgimento avviene, colmo dei colmi, in nome della Chiesa cattolica. Come è potuto accadere? Per la contraddizion che noI consente: i liberali non possono apertamente dichiarare il proprio odio anticattolico perché ufficialmente vincolati al rispetto della Costituzione. E lo Statuto definisce la Chiesa cattolica «unica religione dello Stato».