Il piano segreto della Turchia nella terra di curdi, siriani e terroristi. (Sussidiario)
Il progetto degli Usa, di Israele, dei paesi del Golfo e della Turchia di spartirsi il paese può dirsi fallito. Ma la politica turca nell’area è fonte di ambiguità e pericolo.
di Patrizio Ricci
Il progetto degli Stati Uniti, di Israele, dei paesi del Golfo e della Turchia di spartirsi la Siria è fallito. L’esercito siriano con l’aiuto della Russia e dell’Iran ha riconquistato ormai quasi tutto il paese. La conseguenza è che tutti gli attori regionali sono per una fine rapida della guerra: recentemente anche il re saudita Salman bin Abdulaziz ha suggellatola rinuncia a continuare ad appoggiare i terroristi, ivi compresa la precondizione dell’uscita di scena di Assad.
Tuttavia, mentre le potenze regionali arabe si stanno riposizionando, Washington e Tel Aviv persistono nella propria dissennata opera di destabilizzazione, attuato anche attraverso il tentativo di stabilire un proprio protettorato curdo al nord della Siria.
La prevalenza di tali dinamiche sull’esigenza della guerra al terrorismo l’abbiamo vista chiaramente, perché la preoccupazione di ostacolare l’esercito siriano è stata più forte di quella di espellere dal paese l’Isis. Ciò è avvenuto molto frequentemente, ne sono testimoni un centinaio di raid aerei israeliani contro installazioni siriane e il chiaro favoreggiamento degli Stati Uniti ai terroristi, come recentemente ad Hama e Deir Ez Zor.
In questo contesto caotico è stata risolutiva la decisione della Russia, dell’Iran e della Turchia di istituire i negoziati di Astana. La creazione delle zone di de-escalation ha consentito da un lato la cessazione dei combattimenti in molte aree e il sollievo alla popolazione stremata; dall’altra la possibilità per l’esercito siriano di distogliere da quelle zone le forze necessarie a combattere l’Isis.
E’ proprio per effetto di tali accordi che nei giorni scorsi la Turchia ha cominciato a dislocare le proprie forze armate nella provincia di Idlib, ossia nel territorio controllato dal gruppo terroristico ex-al Nusra affiliato ad Al Qaeda, Hayat Tahrir Al Sham (Hts). Il convoglio militare di Ankara venerdì ha attraversato il confine di Bab el-Hawa, e si è diretto poi a nord-ovest, verso l’enclave di Afrin detenuta dai curdi dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg).
Non è un mistero che per Ankara è prioritario contenere le ambizioni indipendentistiche curde. In questo senso, il presidente Erdogan nell’annunciare l’operazione militare in terra siriana, ha chiarito il compito primario della missione: “Ypg è un’organizzazione terroristica che vuole creare un corridoio terrorista da Afrin al Mediterraneo”, ha detto. Ed ha aggiunto: “Non lo permetteremo e siamo costretti a distruggere questo corridoio. Non vogliamo impadronirci di questi territori, ma garantiremo la sicurezza delle nostre frontiere”. In sostanza, come ha detto l’agenzia di stampa turca Anadolu, la presenza dell’esercito turco a Idlib servirebbe sostanzialmente come un “muro di sicurezza” per fermare i curdi. Tuttavia, nonostante gli interessi turchi in funzione anti-curda, l’accordo Mosca-Teheran-Ankara si concentra principalmente sulla creazione di zone di de-escalation per diminuire qualsiasi rischio di conflitto tra l’esercito siriano e i gruppi alleati ad al-Qaeda in Idlib. Che tale compito già dall’inizio si preannunci arduo, lo testimonia il fatto — non esaltante — che le forze turche sono entrate nell’area scortate dal gruppo terrorista Hts.
Indubbiamente la reale utilità di “forze di garanzia” in forte soggezione rispetto alle forze ospitanti lascia molto perplessi. Però è anche vero che Ankara, tra i paesi garanti, proprio per la sua contiguità con queste organizzazioni, è la più idonea ad avere qualche chance di successo nel trovare una qualche soluzione senza ulteriori patimenti per la popolazione. Inoltre, non è da trascurare che la Turchia ha l’indubbio vantaggio che all’interno della provincia di Idlib può contare sulle proprie “forze proxy” appartenenti al Free Syrian Army, che stipendia ed equipaggia direttamente e quindi soggette alla propria influenza.
E’ plausibile che la road map sarà quella di limitare l’influenza di Hts in modo graduale, soprattutto agendo sulla popolazione e cercando di farne diminuirne il supporto. I turchi in fondo ora faranno le stesse cose che, fin dall’inizio del conflitto, hanno fatto distruttivamente: “scavare” di anno in anno il confine siriano impadronendosene, soprattutto economicamente ed amministrativamente. In varie località è da tempo possibile vedere una grande quantità di servizi locali gestiti da Ankara (poste, aziende elettriche, telefoniche etc.).
Insomma, ora i turchi non hanno bisogno di affrettarsi, sanno che possono contare sulla popolazione turkmena, saranno lì per sempre e le basi le hanno già piantate. Saranno i jihadisti di Hts a farli rinunciare? Molto difficile: ora, il vantaggio non è solo riuscire a condurre in porto le proprie ambizioni nell’area, ma essere invitati a farlo.
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