Il mito (falso) dei Greci spreconi non è utile a nessuno.

DI MARSHALL AUERBACK Counter Punch

Fonte: The Myth of Greek Profligacy (Counter Punch è una newsletter pubblicata negli Stati Uniti , si occupa di politica. Nel 2003 The Observer ha descritto il sito web CounterPunch come “una delle fonti politiche più popolari  in America, con un seguito appassionato specialmente a  Washington”.)

traduzione effettuata da : “comedonchisciotte.org” 24.10.2011

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monastero bizantino delle Meteore, in Tessaglia. Wikipedia common

Nel corso della storia i greci sono stati grandi creatori di miti. E il resto del mondo? Non tanto, visto che la messe di commenti espressi su questa nazione non ha valore. Leggendo la stampa ci si fa l’idea di una manica di mediterranei scrocconi e svogliati che godono uno dei più alti standard di vita in Europa, mentre i parsimoniosi tedeschi pagano il conto. Questa è propaganda senza senso, progettata per giustificare l’adempimento continuo e collettivo di manovre per rimediare alle colpe dei padri e dei nonni. Come se la Grecia fosse l’unica ad aver falsificato i bilanci nell’Unione Europea! Il cuore del problema sta nell’antiquato sistema fiscale che finanzia lo stato, che si traduce in un costante passivo di bilancio pari al 10% del PIL. Il 20% della popolazione che i redditi più alti in pratica non paga le tasse, perché è il prodotto di un accordo corrotto realizzato durante i giorni della Giunta fra i militari e i maggiori plutocrati greci. Non c’è da stupirsi che ci sia una crisi fiscale.

Quindi non è un problema di sprechi da parte dei greci o di uno stato sociale troppo generoso, e per questo i tipici rimedi sullo stile FMI sono destinati a fallire, come fanno tuttora. Infatti, data l’austerity senza tregua imposta ad Atene (che ha avuto solo l’effetto di affossare ulteriormente l’economia e quindi di esacerbare il vero problema che gli ellenici stanno provando a eliminare), i greci si stanno davvero avvicinando al punto in cui dovranno solo dichiarare il default e rimandare il problema a quelli che hanno imposto l’austerity. Non potrà certo essere peggio dei supplizi che stanno affrontando oggi.

In realtà i greci hanno uno dei redditi pro capite più bassi d’Europa (21.000 euro), molto inferiore alla media dell’Eurozona a 12 (27.600) o della Germania (29.400). Inoltre gli ammortizzatori sociali in Grecia sembrano essere molto generosi rispetto agli standard statunitensi, ma sono davvero modesti rapportati al resto d’Europa. In media, tra il 1998 e il 2007 la Grecia ha speso solo 3530,47 euro pro capite per i sussidi di protezione sociale, poco meno della Spagna e circa 700 euro in più del Portogallo, che ha i livelli più bassi dell’Eurozona. Al contrario, Germania e Francia hanno speso più del doppio rispetto ai greci, mentre i dodici stati originari dell’Eurozona hanno una media di 6251,78 euro. Addirittura l’Irlanda, che è una delle economie di stampo più neoliberista della zona Euro, ha speso di più per la protezione sociale rispetto ai presunti spreconi della Grecia.

Si potrebbe pensare che, se lo stato sociale greco è stato così generoso e inefficiente come descritto di solito, allora i costi amministrativi dovrebbero essere maggiori rispetto a quelli di governi morigerati come Germania e Francia. Ma ovviamente non è stato così, in basi ai dati di Eurostat. Anche la spesa per le pensioni, che è il principale obiettivo dei neoliberisti, è minore degli altri paesi europei.
Inoltre, se si guarda il totale della spesa sociale di alcuni paesi dell’Eurozona in rapporto al PIL per il 2005 (in base alle statistiche dell’OCSE), la spesa della Grecia era inferiore a tutti i paesi dell’Euro tranne l’Irlanda, ed era più bassa della media OCSE. Da notare che nonostante tutti i commenti sui pensionamenti anticipati in Grecia, la spesa per i programmi di anzianità era in linea con le spese di Germania e Francia.

In realtà, la Grecia ha una delle distribuzioni del reddito più inique d’Europa e un alto livello di povertà, come dimostrano i dati. Di nuovo i fatti non sono coerenti con l’immagine dipinta dai media di un welfare troppo generoso, a meno che non si faccia un raffronto con la situazione negli Stati Uniti.

Naturalmente questi fatti non contano. Il mito prevalente è quello che risulta dalla descrizione di John Authers sul Financial Times, “un paese che ha sperperato troppo“, con pochi dati a supporto di questa affermazione. Il paese, comunque, è davvero bloccato: non possono svalutare, non possono riuscire a pagare ai prezzi correnti e nessuno li vorrà finanzierà. Quindi devono uscire e svalutare oppure abbassare i prezzi interni. Un pesante default, anche se inevitabile, è solo un passaggio.

A peggiorare il problema, i guadagni delle esportazioni sembrano affrontare il loro problema strutturale – che vengono costantemente superati dalle spese per le importazioni – e ciò significa che il debito che finanza il passivo di bilancio è sempre più in mani straniere. Il debito viene approvato dalle leggi greche, ma ora è emesso in Euro e la Grecia non può stampare la moneta. In questo senso, ironicamente, la crisi fiscale è una conseguenza del successo greco, avvenuto dopo una lunga preparazione, per l’ingresso nell’Unione Europea, dopo cui ha rinunciato alla propria moneta.

Il punto è che, se questa analisi sulla fonte del problema è corretta, allora è improbabile che la politica tipica di austerity del FMI sia di aiuto. Se il problema non è il livello dei salari o la dimensione dello stato sociale, allora spingere i salari verso il basso e ridurre la spesa pubblica non servirà a molto. Dopo tutto la Grecia è ancora una democrazia e, osservando gli scontri sempre più frequenti che avvengono nel paese, è difficile se la Grecia (o qualsiasi altro paese dell’Eurozona in condizioni simili) taglierà davvero le spese e aumenterà abbastanza le tasse per fare la differenza. Questo è stato sancito implicitamente dalla “Troika” – Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea – nel corso del summit dell’Unione Europea avvenuto ieri e non c’è dubbio che ciò farà parte delle delibere per la ristrutturazione del debito greco che verranno decise il 26 ottobre.

Nella prima pagina del documento non solo c’è l’ammissione piuttosto palese e sfacciata che il consolidamento fiscale espansivo ha dimostrato di essere una contraddizione in termini – almeno in Grecia -, ma c’è anche un serio problema di incompatibilità politica, almeno per il medio termine, con le iniziative per attuare una svalutazione interna, con cui si cerca di diminuire gli stipendi per migliorare le prospettive commerciali quando si è legati a un vincolo di cambio fisso.

Anche se non sono andati oltre al fatto di riconoscere che le loro richieste e le loro imposizioni stanno scatenando un’implosione dell’economia greca a causa dell’inflazione del debito (senza considerare la rottura di qualsiasi parvenza di contratto sociale, così come la frantumazione del tessuto sociale: dopo tutto, questa è l’oppressiva “riforma” neoliberista progettata nell’Eurozona per eliminare ogni traccia di democrazia sociale e del lavoro organizzato), si tratta comunque di un’enorme concessione della Troika.

Ammettere che il consolidamento fiscale espansivo non funziona e che proseguire con la svalutazione interna aggraverà la situazione – oltre al fatto che la Grecia non riuscirà a raggiungere gli obbiettivi di bilancio -, è un grosso passo in avanti per comprendere la situazione. Non è un qualcosa che gli economisti neoliberisti e fondamentalisti delle organizzazioni della Troika sono spesso disposti a concedere. Non è quello che le strutture per gli incentivi, formali e informali, li incoraggiano a fare.

E allora perché continuare su questa strada? Diciamoci la verità: tutto ciò ha poco a che vedere con la Grecia (anche se il mito prevalente dei media continua a diffondere l’immagine di un paese pigro, improduttivo, pieno di spendaccioni e di scrocconi), quanto il punire i paesi potenzialmente recalcitranti dal punto di vista fiscale. Alla Grecia è toccata la sorte del capro espiatorio, per far sì che alla fine imponga il discusso “haircut” e ristrutturi il suo debito, e che anche gli altri paesi periferici – soprattutto l’Italia – non abbiano altre idee e che seguano lo stesso percorso. Questa è la strategia per prevenire quello che è eufemisticamente chiamato “effetto contagio”. In realtà è anche chiamato principio di colpa collettiva, che distrugge il sostentamento di tredici milioni di persone per ragioni politiche. Data la loro storia, i tedeschi per primi dovrebbero capire questo fenomeno.

Se il pacchetto di politiche di austerità dovesse proseguire, ci saranno ricadute sulle nazioni che esportano in Grecia. Di sicuro la Grecia è un piccolo mercato in Europa, ma i suoi problemi fiscali non sono unici. Quando anche economie più grandi come Spagna e Italia adotteranno i tagli, tutto il continente potrà subire un collasso fiscale, anche la Germania, la cui flessione economica è diventata evidente nei mesi scorsi. Per di più, le esportazioni verso i paesi limitrofi saranno colpite dalla riduzione della domanda. Infine, se l’austerity riuscirà ad abbassare i salari e i prezzi in una nazione, porterà a un’inflazione competitiva aggravando solo il problema, mentre questo paese cercherà di trarne vantaggio per promuovere le sue esportazioni. Da notare che il maggiore esportatore netto, la Germania, sembra non riconoscere che la propria insistenza sull’austerità fiscale da imporre ai paesi vicini gli farà perdere la gallina dalle uova d’oro.

Ad Angela Merkel piace dire che non è possibile una vera unione economica se una parte dell’unione (la Grecia) lavora meno ore e si prende più ferie di un’altra (la Germania). Quello che avrebbe dovuto dire è che una vera unione economica non è possibile se le plutocrazie che governano di TUTTI i paesi (non solo gli armatori miliardari greci, che probabilmente hanno già spostato i loro soldi offshore, ma anche i ricchi banchieri che non hanno subito conseguenze per le loro pratiche finanziarie fraudolente) evitano sistematicamente di pagare la loro fetta dei costi della spesa pubblica, aspettando che sia l’Unione o costringendo l’altro 80% della popolazione a farlo.

La Grecia non è speciale, ma è solo un caso esemplare di ciò che accade quando viene imposto il risanamento delle finanze pubbliche nei paesi che hanno un forte debito privato in rapporto al PIL, dove si vorrebbe risparmiare molto e dove ci sono continui deficit delle partite correnti. Sarebbe invece necessario ridistribuire la domanda verso quelle nazioni che hanno un deficit commerciale; ad esempio, facendo spendere gli Euro alle nazioni che hanno un attivo commerciale, investendo direttamente nei paesi in deficit. La Germania lo fece con la Germania Est. Questo meccanismo potrebbe essere istituito molto velocemente sotto l’egida della Banca Europea degli Investimenti. Si potrebbero facilmente istituire degli incentivi efficaci per “riciclare” le eccedenze delle partite correnti tramite investimenti esteri diretti, flussi di partecipazione, aiuti esteri o acquisti di importazioni. Se venisse fatto, sarebbe un sistema per poter far diventare la Grecia e altri paesi abbastanza competitivi da garantire il proprio futuro attraverso maggiori esportazioni.

Il non abbracciare questa possibilità di crescita offrirà poche alternative ai greci se non quella di fallire, lasciando ai politici dell’eurozona un macello ancora più grande e costoso. Bisogna ammettere che ciò non risolverà totalmente i problemi della Grecia, quando invece potrebbero lasciare l’eurozona e reintrodurre la dracma. Si avrebbero così controlli sui capitali, e ci saranno persone che cercheranno di andarsene (dopo tutto, è un paese con molte imbarcazioni). Se andranno in default, l’intera eurozona affronterà il destino di Sansone. Come Sansone nei suoi ultimi giorni, accecato e picchiato dai filistei, la Grecia è ora indebolita, accecata e legata. Il default rappresenterebbe un ultimo e potente atto di coraggio con cui “abbattere il tempio” (in questo caso l’Eurozona) con le insolvenze e trascinerebbe giù tutti quanti. La creazione del mito alle spese dei Greci non è utile a nessuno, proprio perché ci sarà ovunque una situazione di default e un collasso dei redditi in stile sovietico, una prospettiva poco allettante per l’economia globale. Non è un finale interessante, ma è lo sbocco delle politiche crudeli, immorali e di auto-sopravvivenza della Troika. I Greci e la gran parte dei cittadini europei meritano di più.

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