[ad_1]Le dimissioni del primo ministro sunnita libanese e il suo discorso televisivo anti-persiano non hanno provocato in Libano lo scontro sperato. Ancora peggio, l’avversario di sempre di Saad Hariri, lo sciita Sayyed Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, si è concesso il lusso di prendere le difese del primo ministro, svelando che era prigioniero a Riad e denunciando l’ingerenza saudita nella vita politica libanese. Nel giro di poche ore la comunità religiosa di Hariri ha iniziato a preoccuparsi della sorte del proprio capo. Il presidente della repubblica, il cristiano Michel Aoun, ne ha denunciato il «rapimento» e si è rifiutato di prendere atto delle sue dimissioni forzate finché il primo ministro non gliele presenterà di persona. Mentre alcuni leader del suo partito, Movimento del Futuro, assicuravano che Hariri era in libertà e in buona salute, i libanesi hanno fatto blocco per chiedere la sua liberazione. Tutti hanno capito che il breve viaggio di Saad Hariri negli Emirati e le sue rare apparizioni pubbliche altro non erano che fumo negli occhi, dal momento che la sua famiglia era trattenuta in ostaggio all’hotel Ritz-Carlton di Riad, insieme a centinaia di personalità pubbliche arrestate. Così come tutti hanno capito che, rifiutando per il momento le dimissioni del primo ministro, Michel Aoun ha agito da uomo di Stato, tenendosi stretto l’unico strumento di pressione per ottenere, eventualmente, la sua liberazione.
La Francia è la potenza colonizzatrice storica che ha occupato il Libano fino alla seconda guerra mondiale. Per lungo tempo vi ha fatto il bello e il cattivo tempo. Oggi lo utilizza come succursale in Medio Oriente e paradiso fiscale. In tutti gli scandali politico-finanziari francesi degli ultimi trent’anni vi sono implicate personalità libanesi.
Agendo da protettore del Libano, il presidente Emmanuel Macron ha sostenuto la necessità che il primo ministro fosse lasciato libero di rientrare a Beirut. Una coincidenza temporale ha voluto che Macron si sia recato ad Abu Dhabi il 9 novembre per inaugurare il Louvre di Sabbia. Il presidente non poteva certo esimersi dall’agire. In quanto successore di “Jacques Chirac, l’arabo”, “Nicolas Sarkozy, il qataro” e “François Hollande, il saudita”, durante la campagna elettorale il presidente Macron non ha esitato a dire tutto il male possibile di Doha e Riad. Benché non avesse mai manifestato simpatia per le monarchie del Golfo, si è ritrovato giocoforza vicino agli Emirati.
L’Eliseo ha tentato perciò di organizzare una tappa di Emmanuel Macron a Riad per ottenere il rimpatrio di Hariri. Re Salman si è però rifiutato di ricevere il piccolo francese.
Dal punto di vista del Consiglio di Cooperazione del Golfo (ossia di tutti gli Stati arabi della regione), negli ultimi sette anni la Francia si è dimostrata un alleato affidabile contro Libia e Siria. Ha preso parte militarmente – pubblicamente o in segreto – a tutti i colpi bassi contro questi due Paesi e fornito copertura diplomatica e retorica lenitiva a queste aggressioni. Tuttavia, ora che la Libia è in preda al caos e la Siria è, a dispetto di tutti, sul punto di vincere la guerra, la Francia si trova, di fatto, smarrita e inerte. Il nuovo inquilino dell’Eliseo, Macron, non sa nulla di questa regione; un giorno esprime riconoscenza alla Repubblica siriana, il giorno successivo ne insulta il presidente, democraticamente eletto. In aggiunta, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno preso molto male le esortazioni del presidente Macron a una de-escalation con il Qatar. Sapendo quanto costano loro gli sforzi appena intrapresi per rompere con gli jihadisti, per Arabia ed Emirati Arabi Uniti il sostegno di Doha ai terroristi è inaccettabile.
L’inaugurazione del Louvre di Sabbia doveva essere l’occasione di un discorso retorico sulla cultura che unisce tutti, show incluso nel pacchetto da un miliardo di dollari concordato tra i due Stati. Adempiuto alla formalità, il presidente Macron si è informato dal suo ospite, lo sceicco Mohammed Bin Zayed, su quanto stava accadendo nella vicina Arabia Saudita e sulla sorte di Saad Hariri.
A differenza dei beduini d’Arabia Saudita e Qatar, il popolo degli Emirati è un popolo di pescatori. I primi vissero per secoli unicamente nel deserto, i secondi percorsero i mari. Per questa loro peculiarità, i colonizzatori britannici annessero gli Emirati all’Impero delle Indie, assoggettandoli quindi all’autorità di Delhi, invece che direttamente a quella di Londra. Gli Emirati Arabi Uniti ora hanno investito i proventi del petrolio nell’acquisto di una sessantina di porti in venticinque Paesi (tra cui Marsiglia in Francia, Rotterdam in Olanda, Londra e Southampton nel Regno Unito). Cosa che permette ai servizi segreti emiratensi di fare entrare e uscire da questi Paesi ciò che vogliono, a dispetto dei controlli doganali locali, servizio che vendono anche ad altri Stati. Grazie alle sanzioni statunitensi contro Teheran, il porto di Dubai è diventato, di fatto, la porta dell’Iran e gli Emirati incassano profitti enormi per violare l’embargo USA. Per questa ragione Abu Dhabi ha un interesse economico vitale ad alimentare la disputa arabo-persiana. Da parte loro, gli Emirati rivendicano le isole di Tonb e di Bu-Mussa, ritenendole “occupate” dall’Iran.
Non è un segreto per nessuno che lo sceicco Mohammed Bin Zayed abbia un forte ascendente sul principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman (MBS). Sicché, davanti al presidente Macron, Bin Zayed ha telefonato a MBS per organizzargli un incontro.
Sulla via del rientro in Francia, il presidente francese (39 anni) ha fatto quindi scalo a Riad. All’aeroporto è stato accolto da MBS (32 anni) ed è stato suo ospite a cena.
Nella notte tra il 4 e il 5 novembre, MBS aveva posto fine al governo collegiale della dinastia Saud, sostituendolo con il potere personale del padre, re Salman. Per far questo ha dovuto arrestare o assassinare tutti i leader degli altri clan della famiglia reale, nonché i predicatori e gli imam loro devoti. In totale circa 2.400 personalità. Spin doctor israeliani fanno passare questa purga di Palazzo per operazione anticorruzione.
Contrariamente alle proprie aspettative, il presidente francese è andato a Riad inutilmente. Non ha potuto portare con sé il primo ministro libanese, tutt’ora in carica, non l’ha nemmeno incontrato. E, fatto ben più grave, MBS, dicendosi consapevole dei pesanti obblighi che lo aspettavano a Parigi, lo ha riaccompagnato all’aereo.
Il comportamento saudita è talmente grossolano che i lettori potrebbero non cogliere la gravità dell’offesa recata a Emmanuel Macron: il presidente francese non è stato ricevuto dal suo omologo, il re d’Arabia Saudita, sebbene costui in quei giorni abbia accordato un gran numero di udienze a personalità di secondo rango.
Questa villania, caratteristica dei modi della diplomazia araba, non è imputabile al solo MBS, bensì anche allo sceicco Mohammed Bin Zayed, che ben sapeva cosa che stava facendo quando ha spedito il giovane francese a farsi umiliare a Riad.
Conclusione: non adattandosi all’inversione di rotta dell’Arabia Saudita, seguita al discorso contro il terrorismo di Donald Trump di maggio scorso a Riad, e volendo mantenere i piedi in due scarpe, la Francia è l’artefice della propria messa al bando nella regione. Gli Emirati apprezzano il Louvre e le corvette della Marina francese, ma non prendono più sul serio i francesi. I Sauditi non hanno dimenticato le parole del candidato Macron contro di loro e nemmeno quelle del presidente Macron a favore del Qatar, attuale sponsor dei Fratelli Mussulmani. Hanno voluto far capire a Macron che non deve immischiarsi né nei problemi del Golfo né nella successione al trono dei Saud, tanto meno nella disputa con l’Iran, e, soprattutto, non deve occuparsi dei conflitti che ruotano attorno al Libano.
La Francia è diventata straniera in Medio Oriente.
Traduzione
Rachele Marmetti
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