"LE FORZE ESTERNE AL DI SOPRA DEL POPOLO E AL DI FUORI DELLO STATO" E IL PARTITO DI VETO.

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1. A gennaio di quest’anno che volge al termine, anticipammo un principio empirico di (pseudo)equilibrio politico, all’interno del sistema italiano: il principio  è che la maggioranza formatasi per la legge elettorale, specialmente se votata in prossimità delle elezioni – cioè dopo un’intera legislatura di prorogatio ad infinitum di un parlamento composto in base ad una legge elettorale dichiarata incostituzionale- avrebbe prefigurato la maggioranza “praticabile” per la prossima legislatura.
E, d’altra parte, sia la prorogatio ad infinitum, con inversione dello stesso meccanismo giustificativo dell’istituto della prorogatio, sia la precostituzione tattica della futura maggioranza, rispondono alla medesima esigenza sistemica: quella di garantire  una “saldatura” continuista per le forze politiche, apparentemente separate, che agiscono in nome dell’€uropa
2. Forze che dunque si muovono all’interno di quella condizione indicata da Calamandrei già nel 1950, prendendo atto della forte limitazione de facto della sovranità italiana, per cui non si poteva più affermare che la Repubblica realizzasse uno Stato democratico sovrano [cioè] quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato“.
Con il corollario, dimenticato troppo presto,  e proprio via via che, con la costruzione europea, il fenomeno si faceva più evidente,  per il quale “le forme di limitazione di sovranità conosciute e classificate dai giuristi non sono tutte le limitazioni che operano di fatto nella vita degli Stati: non soltanto perché nelle relazioni tra Stati (come nelle relazioni tra individui) si fanno sentire di fatto preminenze di ordine economico e militare, per le quali gli Stati economicamente più deboli debbono rassegnarsi a essere meno indipendenti di quelli economicamente più forti; ma anche perché i canali di penetrazione attraverso i quali le imposizioni riescono a infiltrarsi nell’interno di un ordinamento costituzionale apparentemente sovrano possono essere molto più complicati e molto meno classificabili di quelli previsti negli schemi dei giuristi.
Sicchè può avvenire che in uno Stato che si afferma indipendente gli organi che lo governano si trovino senza accorgersene, in virtù di questi segreti canali di permeazione, a esprimere non la volontà del proprio popolo, ma una volontà che vien dettata dall’esterno e di fronte alla quale il popolo cosiddetto sovrano si trova in realtà in condizione di sudditanza.”
3. D’altra parte, per altra via ma in termini pressocché sovrapponibili a quelli enunciati da Calamandrei, sempre all’inizio di quest’anno, avevamo così definito lo stato di avanzamento di questa situazione, appunto accentuata da oltre 35 anni di “vincolo esterno”
“In un paese capitalistico, come l’Italia, caratterizzato dall’adozione (contra Constitutonem, peraltro), del vincolo esterno da trattato, e quindi del principio supremo dell’economia di mercato fortemente aperta e competitiva, la struttura e l’orientamento del potere politico di vertice riflettono inevitabilmente la struttura sociologica dell’offerta
Questo semplice principio di costituzione materiale, – incontroverso anche sul piano formale una volta affermata acriticamente, NEI FATTI, la prevalenza incondizionata del diritto europeo-, determina inevitabilmente una situazione programmatica per cui, a seguito di investimenti esteri, la titolarità della proprietà di controllo dei mezzi di produzione spetta a soggetti in maggioranza non appartenenti a una certa comunità nazionale
Ed è questo che implica il trasferimento del potere di indirizzo politico effettivo (cioè sostanziale e non formale-istituzionale) al di fuori degli organi di indirizzo politico espressi dalla legalità e dalla sovranità formali regolate in Costituzione”.
4. La legge elettorale approvata non poteva che rispondere a questa situazione di de-sovranizzazione e alla finalità conservativa della stessa, al di là della praticabilità (dubbia) di altre alternative in una situazione guidata verso un tripolarismo, che risulta anch’esso in definitiva apparente, una volta accettata la definizione di carenza di sovranità e democrazia dataci da Calamandrei. 
La prospettiva descritta a gennaio, relativa all’orientamento prevalentemente pro-europeista degli allora tre “poli”(pp. 7-11) si è in realtà aggravata: anzitutto, perché non è poi nato alcun “polo sovranista”, e cioè un conglomerato significativo di forze che mettessero al primo posto il ritorno della volontà effettiva del popolo sovrano (art.1 Cost.) come motore dell’indirizzo politico nazionale (al posto della “volontà dettata da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato“). 
Ma anche, e soprattutto, perché quello che poteva definirsi il “polo incerto“, (o quasi comicamente “agnostico“), riguardo alla de-sovranizzazione della democrazia, ha invece preso una decisa posizione a favore dell’€uropa come soluzione – e non come causa- dei problemi italiani.
 
5. Il blocco reciproco dei tre poli, prevedibile allo stato dei sondaggi elettorali (forse non del tutto attendibili, ma non sotto questo profilo), produce un effetto apparente che anticipa il verificarsi, anche in Italia, del principale by-product del continuismo pro-europeista, che viene comunque concertato tra le principali forze politiche in apparente competizione: non solo, in tutta €uropa, – dalla Spagna alla Germania, passando per l’Olanda e per la Francia-, nessuna forza politica è più in grado di vincere il dopo-elezioni, ma, ormai, la stessa gramsciana “numerazione dei voti” (p.2.2.) indica la perdita di controllo del processo elettorale, “idraulicizzato”, basato sul suffragio universale; che si rivela perciò sempre più, (p.1.),  prevedibilmente antitetico al super-valore, ex parte mercatorum, della “governabilità“.
6. Nel “turno” italiano di questa situazione, registriamo questa prospettiva accreditata di scottante attualità:

“…lo scenario ritenuto più probabile è quello di una sua permanenza (ndr; del governo attuale) a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni, in regime di prorogatio, in caso di difficoltà a formare un nuovo esecutivo. Spagna e Germania docent. E l’ipotesi è rafforzata dal quadro politico con tre blocchi e da una legge elettorale che difficilmente consegnerà una maggioranza solida. Non a caso, scrive Repubblica, per Mattarella il punto fermo è che Gentiloni non dovrà dimettersi. Gli uffici della presidenza della Repubblica hanno già verificato che ci sono precedenti che lo consentono: il governo potrà mantenere la pienezza dei suoi poteri per il disbrigo degli affari correnti, con una interruzione solo “tecnica”. Davanti alle nuove Camere presenterà, inevitabilmente, dimissioni “formali”: un segno di rispetto nei confronti del nuovo Parlamento, ben diverso però da dimissioni motivate da una sfiducia”.

7. Di fronte a questa prospettiva che andava manifestandosi sempre più marcatamente, avevamo ipotizzato un rimedio “semplice-semplice”, che muoveva dal fenomeno (ormai comune a tutto l’Occidente) dell’astensionismo, connaturato all’affermarsi del neo-liberismo de-sovranizzante dell’ordine internazionale dei mercati: il veto astensionistico, inteso come strumento concreto di manifestazione dell’indirizzo politico che non si vuole, attuato mediante l’inoperatività delle elezioni in cui i voti validamente espressi siano inferiori al 50% del numero totale degli aventi diritto. 
Va da sè che per sortire utilmente i suoi effetti incentivanti sugli obiettivi e sui programmi politici dei partiti (p.5), questo sistema è tanto più efficace quanto prima sia adottato all’interno di una nuova legislatura (e cioè, come sempre nel caso delle “regole del gioco”, in quanto si eviti, per quanto possibile, di introdurlo a ridosso delle elezioni).
Ma non ci si può nascondere che una “rivoluzione” di questa portata, per quanto semplice e forse anche introducibile senza dover ricorrere a una norma di rango costituzionale (comunque in sè estremamente semplice), non sia realisticamente introducibile nel breve periodo: e comunque, in questa tornata delle elezioni politiche, semplicemente non c’è.
8. Rimane allora, nei termini di un recupero della condizione di “Stato democratico sovrano” quale definita da Calamandrei, un altro rimedio, del tutto residuale: quello di ricorrere non tanto allo (inesistente) astensionismo significativo (cioè al “veto astensionistico”), quanto all’attiva espressione del voto verso un qualunque partito “di veto”.  Cioè votare per qualunque partito che sia estraneo, in modo espresso e inequivoco, alla formazione, tacitamente concordata, dell’indirizzo politico che non si vuole (in quanto dettato da forze esterne e al di sopra della Repubblica democratica fondata sul lavoro) .

 Non Chiederci La Parola
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
.”

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