“Mentono … e sanno che mentono … e sanno che noi sappiamo che mentono … Eppure continuano a mentire sempre più forte”
è la frase, scritta da Naguib Mahfouz, che Michel Raimbaud mette in evidenza nel suo libro “Les guerres de Syrie”.
Mondialisation, 03 ottobre 2019
Non è un caso che il primo capitolo del libro ‘Le guerre di Siria’ di Michel Raimbaud, ex ambasciatore, ex presidente dell’OFPRA, professore di scienze politiche e scrittore, si intitoli – riprendendo la famosa frase di Catone il vecchio “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta) – “Delenda est Syria”: una vecchia ossessione “. Un vecchio accanimento senza dubbio perchè Catone, che era solito pronunciare questa formula ogni volta che iniziava o terminava un discorso davanti al Senato romano, qualunque fosse l’argomento, aveva anche partecipato alla guerra contro la Siria, al tempo guidata dal re Antioco III° il Grande! Quest’ultimo ebbe l’audacia di ricevere il fuggitivo Annibale nella sua corte e di aiutarlo ad armarsi contro Roma, allora unica potenza egemonica emergente.
Perché tanta implacabilità?
Vedendo in questa colonia fenicia una certa emanazione dell’antica Siria, Michel Raimbaud ricorda che dopo oltre due millenni la Siria di oggi sembra essere la Cartagine di questa Roma dei tempi moderni che è l’America, la vecchia ossessione è ancora lì (pagina 26). Riattivata dall’indipendenza, nel dopoguerra, è ancora più rilevante dopo gli anni ’90 che hanno visto l’ascesa degli Hezbollah in Libano con il sostegno attivo della Siria. Questo supporto ha permesso a questo movimento di costringere l’occupante israeliano a ritirarsi, nel 2000, dai territori libanesi che deteneva dal 1978. Un importante punto di svolta geopolitico e una prima negli annali del conflitto arabo-israeliano. Dalla guerra del giugno 1967, Israele non era mai stato costretto a lasciare un territorio arabo occupato senza contropartita, o più esattamente senza capitolazione, come nel caso dei fallaci accordi di pace del 1979 risultanti dai negoziati di Camp David con l’Egitto di Sadat o dal trattato di pace del Wadi Araba del 1994 con la Giordania, o infine gli accordi di Oslo tra Israele e l’Olp nel 1993.
Questo mercato degli inganni ha solo portato a una maggiore occupazione e annessione di territori palestinesi senza che il fantomatico Stato palestinese promesso – in cambio del riconoscimento dello Stato di Israele – vedesse la luce del giorno! La Siria, da parte sua, ha rifiutato categoricamente questi colloqui e contrattazioni sotto la guida degli Stati Uniti, optando per negoziati multilaterali con all’ordine del giorno: pace, pace dovunque, contro la restituzione di tutti i territori arabi occupati in Palestina, Siria e Libano. Ossia, il diritto internazionale contro strategia del fatto compiuto. Il rifiuto dell’establishment sionista di ritirarsi da tutti i territori arabi occupati ha solo rafforzato la determinazione della resistenza libanese, sostenuta dall’Iran ma soprattutto dalla Siria, di liberare il sud libanese occupato. Ciò che fu fatto nel 2000. Una sconfitta israeliana da una parte e una vittoria del nascente asse di resistenza dall’altra. Questo ritiro senza gloria dell’esercito israeliano fu sentito come un’umiliazione dai generali israeliani.
Nel 2006, l’esercito israeliano, apertamente sostenuto dagli Stati Uniti, dai paesi occidentali e dai loro ausiliari arabi (Arabia Saudita, Egitto, Giordania) voleva cancellare questa umiliazione puntando alla distruzione di Hezbollah, primo passo per indebolire la Siria che non aveva lesinato sui mezzi per aiutare la resistenza irachena contro l’occupazione americana della Mesopotamia nel 2003. Fu a sue spese. A parte la distruzione delle infrastrutture civili libanesi, Israele ha dovuto ritirarsi vergognosamente, rassegnandosi ad accettare uno status quo con Hezbollah e non attraversare più il confine terrestre del Libano, anche se una piccola parte del paese dei Cedri, le fattorie di Chaba’a, restò occupato. La parte dei vinti non si limitò al solo Israele, ma si estese all’Arabia Saudita, alla Giordania e all’Egitto che avevano scommesso sulla sconfitta di Hezbollah, preludio alla caduta della Siria, poi dell’Iran, nei dossier dei neoconservatori americani.
Dopo il fallimento del vertice chiamato ‘ultima chanche’ che aveva riunito a Ginevra il presidente Hafez al-Assad, già gravemente ammalato, e il presidente americano Bill Clinton nel marzo 2000, gli Stati Uniti avevano disperato di riportare la Siria all’ovile. Il presidente siriano non aveva ceduto sull’integrità del territorio siriano. Senza il ritiro israeliano da tutto il territorio siriano occupato e una soluzione del conflitto palestinese in conformità con il diritto internazionale, nessuna pace. La Siria non voleva cadere nella trappola di un accordo quadro, come nel caso di Oslo, in cui ogni clausola doveva essere oggetto di infinite discussioni e colloqui bizantini. Anche se gli Stati Uniti avevano promesso alla Siria la bellezza di $ 40 miliardi in cambio della firma di un accordo quadro.
D’ora in poi, la Siria viene nuovamente designata come nemica da sconfiggere.
“Da un quarto di secolo”, scrive Michel Raimbaud, “questo amabile paese figura in primo piano nella lista dell’Asse del Male (nelle parole dell’ineffabile Debeliou, imperatore dei bigotti e capo progettista di massacri seriali). Uno Stato canaglia, uno Stato paria, uno Stato “preoccupante” (a scelta), viene accostato all’Iran, all’Iraq di Saddam, alla Libia di Gheddafi, a Cuba, alla Corea del Nord, all’ex Unione Sovietica e la Russia di oggi, la Cina di sempre. “
Per i neoconservatori è necessario “dissanguare lentamente la Siria”
L’autore cita un articolo premonitore, pubblicato nel febbraio 2000, un mese prima del vertice Clinton-Assad, firmato dal neoconservatore David Wurmser. Quest’ultimo chiede inequivocabilmente di non dare tregua alla Siria, di intrappolarla in un conflitto in cui “sanguinerà lentamente fino alla morte”! Tutto un programma …
‘Le guerre di Siria’ dà al lettore un’analisi storica e geopolitica senza precedenti per la sua chiarezza, la sua profondità geostrategica e il suo spirito di sintesi e dialettica, spiegando senza mezzi termini le vere ragioni dell’accanimento occidentale in generale e degli Stati Uniti in particolare contro questo paese chiave. È in linea con il suo precedente libro geopolitico, “Tempesta sul Grande Medio Oriente”, pubblicato nel 2015, ristampato nel 2017, tradotto in arabo con la prefazione di Richard Labévière. Attraverso la guerra contro la Siria, iniziata nel febbraio-marzo 2011, sulla scia delle mal soprannominate primavere arabe, made in USA, come dimostra il nostro amico Ahmed Bensaada nella sua magistrale indagine “Arabesque$” sul ruolo degli Stati Uniti nelle rivolte arabe (la prima edizione risale al 2011, una seconda edizione ampliata è stata pubblicata a Bruxelles e Algeri nel 2016), Michel Raimbaud rivela una moltitudine di guerre, almeno quindici: una guerra dell’Impero contro gli Stati recalcitranti; una guerra al servizio di Israele; una guerra per il controllo delle vie energetiche; una guerra contro la Russia, la tradizionale alleata (di Damasco ndt), che ha ritrovato, grazie alla resilienza di Damasco, la sua grandezza e il suo ruolo di protagonista nella scena internazionale; una guerra contro l’Iran, l’altro Stato paria, e contro la resistenza libanese, che, grazie in particolare alla Siria, ha somministrato una umiliante sconfitta all’occupante israeliano; una guerra mediatica senza precedenti nella storia e, ultimo ma non meno importante, una guerra contro l’internazionale jihadista sostenuta dalla Turchia, dalle monarchie del Golfo e dall’Occidente, senza tuttavia nascondere la guerra civile stessa.
Autopsia di un “complotto confessato”.
Con prefazione dello scrittore Philippe de Saint Robert, un gollista che fu al centro dell’elaborazione della politica araba della Francia sotto de Gaulle e Pompidou, oggi svanita, il libro è composto da 15 capitoli, densi, ricchi, didattici, e spiega le radici di queste guerre, addita i loro attori, analizza i loro metodi operativi e analizza, alla fine, le vere ragioni della sconfitta di questa vasta impresa criminale. Si va dalla “vecchia ossessione” di distruzione della Siria che ha guidato i passi dei suoi numerosi nemici, allo svolgersi della guerra stessa, alla creazione di un’opposizione esterna, al progetto che i neoconservatori stanno alimentando per l’asservimento della Siria, alla guerra dei media, alla strumentalizzazione del terrorismo per abbattere un potere secolare, alla genesi dell’asse di resistenza e, infine, alla guerra per la pace, la riconciliazione e la ricostruzione.
In tutti i capitoli, l’autore che aborrisce le principali tesi dei media mainstream che si sono distinti nell’arte di mascherare la realtà e di prendere i desideri dei loro sponsor per la realtà, chiama le cose con il loro nome.
È uno dei rari geopolitologi che non si sono lasciati intimidire dai media, dagli esperti, dai politologi da operetta che, in una unanimità che non sopporta alcuna contraddizione, avevano profetizzato troppo rapidamente per lo Stato siriano un crollo certo e imminente. Ebbene, sono stati miseramente smentiti. La Siria, dopo nove anni di guerra che è durata più a lungo delle due grandi guerre mondiali messe insieme, è certamente ancora sanguinante, martirizzata, distrutta, assediata, ma ancora in piedi. Senza aspettare la liberazione delle ultime parti ancora occupate del suo territorio dagli Stati Uniti e dai loro ausiliari europei, la Turchia e i suoi burattini, daechisti e qaidisti, sta già iniziando a lavorare.
Ad Aleppo, Homs, Palmyra e ovunque siano stati spazzati via i parassiti terroristi, sono iniziati i cantieri di ricostruzione, senza attendere la revoca delle sanzioni occidentali, che sono criminali oltre che essere controproducenti. Il popolo siriano, che ha stupito il mondo per la sua capacità di resilienza, senza dubbio lo sorprenderà maggiormente per la sua capacità di ricostruirsi e ricostruire il suo paese contando prima di tutto su se stesso ma anche sui suoi alleati (Russia, Cina, Iran …). Vale la pena ricordare che la Siria, sin dalla sua indipendenza, si è costruita e sviluppata senza l’aiuto dell’Occidente, perfino malgrado esso… La diga dell’Eufrate, i principali progetti di ristrutturazione sono stati completati contando innanzitutto sulle capacità e sul dinamismo del popolo siriano stesso con il sostegno dei suoi veri amici dei paesi orientali e dei non allineati.
Questo libro, afferma Michel Raimbaud “fornirà alcune idee, forse rispondendo alle domande di coloro che vorrebbero capire. È anche dedicato agli ‘spiriti forti’ a cui “non la si fa”, agli scettici che dopo tutto questo tempo ‘non si pronunciano’ tra “il massacratore” e “l’opposizione pacifica” che ha preso le armi in Siria, alle “anime belle” normalmente incredule quando si evoca di fronte a loro l’attivismo delle nostre “grandi democrazie”. “Speriamo”, scrive ancora, “che sarà in grado di aumentare la cultura dei fruitori del dibattito televisivo, di alimentare le informazioni degli intervistati del micro-marciapiede. Sarà utile ai manichini tentati dal riciclaggio, agli intellettuali bloccati nel loro schema “rivoluzionario”, ai produttori di notizie rinchiuse nella loro menzogna, a coloro che avranno la memoria che vacilla e fingono di non ricordare molto bene. ”
Il merito di questo libro non si limita all’informazione e all’analisi, alle confutazioni, che mettono le cose in chiaro sulla realtà della guerra contro la Siria. L’immensa qualità di questo libro risiede nel coraggio del suo autore, che attraverso i suoi scritti precedenti e in particolare il suo libro di riferimento sulle questioni geopolitiche di questo conflitto (Tempesta sul Grande Medio Oriente), è stato in grado di opporsi alla follia politico-mediatica e alla cecità collettiva riguardo alla Siria. Dallo scoppio della guerra mondiale contro la Siria nel febbraio-marzo 2011, poche persone stavano scommettendo un copeco sulla possibilità che lo Stato siriano emergesse vittorioso. Noi facevamo parte della redazione di Africa-Asia, questa minoranza che aveva scelto con lucidità, argomentazioni a sostegno, di smentire tutte le “Cassandre”. Michel Raimbaud era uno di questi.
Proprio come il nostro amico Richard Labévière, uno dei pochi geopolitici francesi ad aver analizzato a fondo i dettagli della “guerra globale” contro la Siria, in particolare dal punto di vista della lotta contro il terrorismo, e che ha pagato un pesante tributo per il suo impegno per la verità, che aveva messo in guardia in una famosa cronaca pubblicata nel numero di febbraio 2015 di Afrique-Asie con il titolo premonitore: “Terrorismo e diplomazia: diritti contro il muro suonando il clacson”. Fondatore e capo-redattore del quotidiano online Proche et MoyenOrient, è anche uno specialista in relazioni internazionali e in particolare della Siria a cui ha dedicato molti libri, tra cui Le Grand Retournement. Baghdad-Beirut, dove descrive il travisamento della diplomazia francese e il suo cieco allineamento con i neoconservatori americani e annuncia, premonitore (il libro è stato pubblicato nel 2006), la futura guerra globale contro la Siria.
Come non menzionare anche i rari harakiri di chi aveva osato opporsi al linciaggio isterico sulla Siria, come nel caso di Frederic Pichon, autore di “Siria, perché l’Occidente aveva torto”, o Bruno Guigue, che aveva dedicato innumerevoli analisi per stigmatizzare le menzogne e la truffa intellettuale di coloro che si erano costituiti come “siriologhi” (leggi in www.afrique-asie.frla sua analisi “Disinformazione: le migliori perle dei ciarlatani della Rivoluzione siriana, settembre 2016).
“Le guerre di Siria” appare nel momento in cui l’esito vittorioso, ma così doloroso, del conflitto non è più in dubbio. Le edizioni Glyphe, che hanno avuto il coraggio di pubblicarlo, testimoniano la propria nobiltà di editori, che non esitano a rischiare a costo di offendere i detentori del pensiero unico. Rischiano al servizio della verità e della libertà di espressione; in breve: al servizio della democrazia.
Un libro indispensabile, magistrale. Da leggere e far leggere assolutamente. * Le guerre di Siria , di Michel Raimbaud, prefazione di Philippe de Saint Robert, edizioni Glyphe, Parigi 2019.