Gli schieramenti in lotta in Ucraina, per quanto in apparenza eterogenei, rappresentano in maniera piuttosto chiara e diretta la divisione sociopolitica del Paese, che corrisponde ad una divisione tra la parte settentrionale e occidentale e la parte meridionale e orientale dell’Ucraina. Questa linea di faglia geografica e politica risponde a sua volta a precise motivazioni storiche ed etnoculturali.
In estrema sintesi,
l’Ucraina può essere divisa in tre parti. Le regioni occidentali (Galizia e Volinia), annesse nel 1939, sono abitate da Ucraini di religione greco-cattolica, influenzati dalla plurisecolare dominazione polacca. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questa regione è stata l’epicentro di guerriglieri nazionalisti che, con il sostegno tedesco, hanno combattuto ferocemente contro l’URSS, compiendo crimini contro Polacchi ed Ebrei. Si tratta di regioni agricole piuttosto povere, con un più alto tasso di crescita demografica, e un forte sentimento antirusso e filoeuropeo.
Le regioni meridionali e orientali, lungo la costa del Mar Nero e il bacino del Don, sono abitate in gran parte da Russi migrati in queste regioni (la cosiddetta “Nuova Russia”) tra il 1750 e il 1850, dopo la sconfitta dei Tartari e dei Turchi che controllavano l’area. Dal punto di vista religioso, predomina la Chiesa Russa Ortodossa fedele al Patriarcato di Mosca. La Crimea, poi, è stata aggiunta dall’ucraino Kruscev nel 1954, pur non essendo mai stata parte dell’Ucraina. Essa contiene la base navale russa di Sebastopoli, sede della Flotta del Mar Nero. In generale, queste regioni sono in forte calo demografico, ma conservano il nerbo dell’industria (cantieristica, mineraria, siderurgica), del Paese.
L’Ucraina centrale, sulle due sponde del fiume Dnepr, è la culla della nazione ucraina e della cultura slavo-orientale, fin dai tempi del Granducato di Kiev. Nel tardo Medioevo fu inglobata dal Granducato di Lituania. Solo nel Settecento fu annesso dalla Russia zarista. In quest’ambito si formò un nazionalismo ucraino in lotta contro la dominazione russa, mentre la politica sovietica, fino ai primi anni ’30, favorì l’identità nazionale ucraina in tutto il Paese. Al momento, resta una regione mista, abitata prevalentemente da Ucraini di religione ortodossa, fedeli all’autoctono Patriarcato di Kiev, con la presenza di una minoranza russa, e un orientamento politico intermedio rispetto alle altre due regioni.
Il Governo appena deposto, presieduto da Serhiy Arbuzov (dopo le recenti dimissioni di Mykola Azarov), era in carica dal 2010 e sosteneva il Presidente Viktor Yanukovych. Esso era composto dal Partito delle Regioni (185 seggi), che ha la sua base elettorale nelle regioni russofone orientali. In particolare, Yanukovych e la sua cerchia di fedelissimi (tra cui Arbuzov), provenienti dalla città di Donetsk, importante centro minerario del bacino del Don, hanno applicato uno spoil system selvaggio, arrivando a controllare le principali posizioni politiche ed economiche del Paese. Inoltre, ha sempre sostenuto il mantenimento di strette relazioni con la Federazione Russa, sia pure con alcune aperture in campo economico a favore dell’Unione Europea.
Durante le proteste, ha ricevuto l’appoggio di gruppi militanti filogovernativi come i Titushky (teppisti provenienti dalle regioni orientali) e i Cosacchi del Don, così come da due partiti d’opposizione, il Partito Comunista Ucraino (32 seggi) e il Blocco Russo, le cui posizioni sono ancora più estreme rispetto al governo.
Dall’altra parte, ci sono tre partiti principali, schierati contro il governo, ciascuno espressione precisa di determinati interessi. La maggior parte del loro sostegno elettorale viene proprio dalle regioni occidentali e centrali. Il grosso dell’opposizione parlamentare è rappresentato dall’Unione Pan-Ucraina “Patria” (101 seggi), di orientamento liberale ed europeista, guidata da Yulia Timoshenko. È la coalizione più votata nella parte centro-occidentale del Paese, ed è osservatore del PPE.
L’Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma (40 seggi), guidata dall’ex-pugile Vitali Klitschko, ha posizioni giustizialiste ed europeiste, ed ha la sua roccaforte elettorale a Kiev. È osservatore del PPE nonché in ottime relazioni con la CDU, visto anche che il suo leader è cittadino tedesco. Questi due gruppi sono i principali referenti dei Paesi occidentali che sostengono la rivolta, in chiave antirussa, ossia principalmente Polonia, Germania e Stati Uniti.
Il terzo è l’Unione Pan-Ucraina “Libertà” (37 seggi), ossia Svoboda, un partito nazionalista anti-russo radicato nell’area occidentale del Paese, in particolare a Leopoli. È stato più volte accusato di razzismo, xenofobia, antisemitismo e fascismo, anche per il suo richiamo ai nazionalisti ucraini degli anni ’40-’50. A loro vanno aggiunti altri gruppi nazionalisti, anche più radicali. Il loro progetto esplicito è quello di cavalcare la rivolta per instaurare un regime nazionalista che cacci dal Paese la minoranza russa e stabilisca un’Ucraina forte, indipendente sia dall’Occidente sia dalla Russia.
La maggior parte della popolazione che protesta si oppone alla gestione clientelare del governo ed è attratta dall’idea che un ingresso nella UE possa portare ad un miglioramento sensibile delle condizioni di vita. Le forze politiche europeiste fanno leva proprio su questo malcontento, per inglobare l’Ucraina nella sfera economica tedesca e nell’ombrello militare atlantico, seguendo un copione già visto nel resto dell’Europa Orientale. I nazionalisti sono una minoranza, ma compensano con la loro aggressività e la loro organizzazione, forte di armi comprate dall’estero o razziate nelle stazioni di polizia. In ogni caso, la loro opera di destabilizzazione resta funzionale agli interessi occidentali.
Dall’altra parte, i sostenitori del governo sono scesi in piazza perché temono di rimanere marginalizzati dal punto di vista politico e culturale e di perdere l’appoggio finanziario ed energetico russo, mentre dubitano che l’Europa possa effettivamente migliorare le condizioni del Paese. Queste sono le contraddizioni e le problematiche in atto oggi in Ucraina, e di cui non si può non tenere conto.