Non è la prima volta che leggiamo tale cenno sui media mainstream, ma stavolta ci ha colpito più di altre. Ma andiamo per ordine e iniziamo dall’inizio. Il 10 aprile del 2010 l’aereo che trasportava il presidente della Polonia Lech Kaczyński si schianta in territorio russo, presso la città di Smolensk.
Era diretto in una base aerea limitrofa dove il presidente avrebbe celebrato con suoi omologhi russi il 70° anniversario della strage di Katyn, un massacro di massa di civili e militari polacchi avvenuto durante la seconda guerra mondiale ad opera dei sovietici.
Forse non è stato un incidente, adombrarono allora i giornali mainstream, con articoli che individuavano nei russi gli assassini del presidente polacco. Articoli che tracciavano scenari oscuri, dettagliando le modalità e i motivi per i quali Putin e la sua cricca sarebbero stati interessati a far fuori il presidente del Paese confinante.
Ovviamente i russi denunciarono quella ricostruzione complottista, che tra l’altro strideva con la realtà. Infatti, sarebbe stato da sciocchi per i russi assassinare un ospite in casa propria, così da ostendere a tutto il mondo la propria colpevolezza. Né c’era motivo, dal momento che quella illustre visita rappresentava un piccolo segnale di distensione tra Polonia e Russia in controtendenza con l’atavico antagonismo.
Un gesto di distensione anelato da Mosca desiderosa di mostrare all’Occidente un volto moderato, diverso da quello mostrato dall’informazione corrente.
Ma al di là delle motivazioni logiche, resta che su quell’incidente non è mai stata fatta del tutto chiarezza. Ad oggi la spiegazione ufficiale, sia per parte occidentale che russa, è che è stato un incidente.
Ma quegli articoli colpevolizzanti che individuavano una mano russa, e di Putin in particolare, dietro quell’incidente sono rimasti come una nefasta aura che ancora gravita su quel disastro aereo.
Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. E il gemello di Lech, Jaroslaw Kaczyński, è diventato leader del partito che oggi governa la Polonia.
Un partito di matrice nazionalista, che in patria ha ingaggiato un duello senza esclusione di colpi con le forze liberal che avevano governato il Paese in precedenza.
Forze che erano riuscite a far eleggere il proprio leader, Donald Tusk, a presidente del Consiglio europeo. Bene, ieri Tusk è stato riconfermato nella carica con voto quasi unanime: l’unico Paese a opporsi alla sua rielezione è stata proprio la Polonia, tanto che il suo rappresentante in Europa ha votato contro.
Come detto, dietro questa avversione ci sono motivazioni politiche. E però val la pena riportare sul punto quanto ha scritto un cronista del Corriere della Sera il 10 marzo: «Dalla Polonia il partito di governo di Jaroslaw Kaczyński, che sospetta addirittura un coinvolgimento di Tusk nella morte di suo fratello in un incidente aereo, ha denunciato il “diktat di Berlino”
».
Non interessa in questa sede soffermarsi sul diktat di Berlino, che riguarda appunto la rielezione necessitata di Tusk, quanto quel cenno sulla morte di Lech Kaczyński. Come detto non è la prima volta che leggiamo tale ipotesi, il che vuol dure che i sospetti di Jaroslaw su quell’incidente aereo sono più che noti al mondo dell’informazione.
Jaroslaw, sia per il grado di parentela con l’illustre vittima sia per la posizione che riveste in Polonia ha accesso a informazioni ignote a noi e a tanti giornalisti. E quel suo sospetto ha un valore altro dal semplice complottismo.
Non si vuole accusare nessuno e magari anche Jaroslaw si sbaglia (almeno ne sono convinti i leader della Ue che hanno messo Tusk su uno scranno di qualche importanza). Solo accennare al fatto che nessuno dei giornalisti mainstream né allora né mai ha mai riportato, almeno come ipotesi, la ricostruzione del fratello, che andava in tutt’altra direzione. Anche oggi, un cenno breve quanto elusivo (sarebbe materia da approfondire, eccome).
Al di là di quanto riportato successivamente, resta che tale aneddoto insegna tante cose su certo giornalismo che, prima di riflettere e informarsi, si prodiga a creare oscure ombre attorno a colpevoli di convenienza, nel caso specifico il Cremlino.
Tanti e influenti i nemici della Russia in Occidente e tanti i giornalisti che rimangono affascinati da tesi precostituite propalate in vario modo da tali ambiti.
È capitato per l’incidente dell’aereo presidenziale polacco, ma è capitato tante altre volte in questi anni. Con una reiterazione stucchevole.
Basti pensare, ad esempio, agli strali lanciati contro l’intervento russo in terra siriana, che invece ha evitato che il Paese cadesse sotto il dominio del Terrore (tante le fazioni jihdiste ivi scatenate in funzione anti-Assad consegnate al terrorismo di al Qaeda e dell’Isis).
Non si tratta di essere filo-russi o contro, si tratta di evitare certe leggerezze o, peggio, indebite strumentalizzazioni dell’informazione, che screditano certo giornalismo mainstream. Un discredito del quale poi tale giornalismo si duole non tanto per ricercare proprie mancanze, che pure ci sono (a meno di immaginarsi perfetti), quanto per lamentare l’allontanamento dei propri lettori e lanciare strali contro l’informazione cosiddetta alternativa alla quale i loro ex lettori hanno iniziato a prestare attenzione.
Va di moda oggi, sui giornali mainstream, accusare tale informazione, in particolare quella via web, di essere produttrice e propalatrice di fake-news, notizie false. Tale informazione menzognera sarebbe tra l’altro alla base del successo della Brexit e di Trump.
Al di là di discorsi più alti riguardo i due eventi indicati, per i quali è più che limitativo immaginare possano esser stati prodotti solo dall’attivismo di alcuni siti in quanto si tratta di processi di portata epocale, abbiamo mostrato come anche l’informazione mainstream può dare notizie false e/o tendenziose, per leggerezza o dolo. Capita.
La questione delle fake-news non può quindi ridursi a consegnare bollini di veridicità alla sola informazione mainstream, come troppo spesso si tende a immaginare nelle varie ipotesi avanzate per risolvere il problema. Ché di fake-news ne produce anch’essa e in abbondanza. Problema complesso, ci torneremo.
L’articolo Lech Kaczyński e le fake-news è pubblicato su piccole note.