In un momento storico in cui la solidarietà e il coraggio sono più necessari che mai, la lettera di un portuale di Genova, inviata al blog “luogo comune” in seguito ad una sua analisi sul movimento “no green pass” nei porti italiani, risuona con una potenza eccezionale.
Questa missiva, che l’autore ha chiesto di mantenere anonima, offre una prospettiva intima e diretta sulle dinamiche interne e le sfide affrontate dai lavoratori portuali durante il periodo turbolento dell’imposizione del green pass.
Raccontando la loro esperienza, il portuale di Genova ci porta nel cuore della lotta, mostrando come un piccolo gruppo di “pecore nere” sia riuscito a mobilitare un sostegno significativo, nonostante le difficoltà e le divisioni. La loro storia è un esempio di resistenza e di unità, dimostrando come la determinazione e la solidarietà possano creare un impatto profondo, anche di fronte a grandi sfide.
Questa lettera non è solo un racconto personale; è un simbolo di speranza e di lotta, un promemoria che, anche nei momenti più bui, ricorda la consapevolezza del bene da difendere:
Lettera di un portuale di Genova
In una recente puntata di “100 Giorni da Leone” avevo lamentato l’assenza di un supporto da parte dei portuali delle altre città ai loro colleghi di Trieste, durante il caldo autunno dell’imposizione del greenpass. Un portuale di Genova mi ha mandato questa lettera, pregandomi di omettere il suo nome, per ovvii motivi.
Caro Massimo, pochi giorni fa, sul canale di Rocchesso, ho ascoltato la tua analisi sul “fallimento” dei movimenti portuali “no green pass”, imputabile al mancato seguito, da parte di altri porti italiani, alle iniziative di lotta intraprese dai ragazzi del porto di Trieste.
Credo che sia interessante per te conoscere il resoconto di chi ha organizzato e vissuto quei giorni sulla propria pelle, lontano dai riflettori.
Tra i portuali di Genova, come immagino in molte altre realtà italiane, esisteva già da tempo un piccolo gruppo di pecore nere, tanto emarginate quanto agguerrite, sulla cui formazione anche i tuoi contenuti hanno avuto un ruolo importante.
Avvicinandoci alla data di imposizione del green pass sul lavoro, i fantasmi che segnalavamo da tempo presero corpo per centinaia di colleghi. In chat passammo da 7 membri a 100 nel corso di una settimana. Organizzammo assemblee con delegazioni di altre aziende del porto, creando un piccolo fronte.
Producemmo una prima azione legale (diffida) nei confronti dei terminalisti che avessero richiesto il lasciapassare, attraverso l’assistenza della cara amica avv. Linda Corrias. Ciò avveniva circa una settimana prima che al porto di Trieste cominciasse la protesta.
Eravamo tutti sul piede di guerra, e non appena giunta la scadenza del 15 ottobre ci riversammo davanti ai varchi del porto di Genova, forti anche di alcune centinaia di liberi cittadini.
Nei giorni successivi, il blocco del varco Etiopia si trasformò in una meravigliosa esperienza di lotta, condivisione e solidarietà per migliaia di persone provenienti da tutto il nord Italia, consentendo la nascita e l’estensione di una rete umana capillare sul territorio che, successivamente, avrebbe consentito l’apertura della stagione dei festival come “Umanità in Festa” ed altri, di cui sei stato graditissimo ospite.
In quei fatidici giorni, tutto accadeva molto velocemente. Comparivano gruppi e personaggi di diversa natura, dal prof. Scardovelli agli anarchici, da ragazzi di “estrema desta” a Sara Cunial, dai gatekeepers della controiformazione ai sindacalisti di base.
Siamo riusciti a mantenere tutto sotto controllo, facendo ricorso alle nostre relazioni personali con i vari ambienti cittadini ed attraverso un costante colloquio con i responsabili delle forze dell’ ordine.
Nel frattempo, eravamo in contatto con diversi porti italiani, Trieste innanzitutto, ma anche Ancona, Civitavecchia, Marsiglia, dove aspicavamo un estensione della protesta. Diventó virale il motto: “Trieste chiama, Genova risponde..!!” Rieccheggiavano ovunque cori e striscioni.
Assistemmo ad episodi di umanità cristallina, dove camionisti e pattuglie di polizia solidarizzavano con noi al presidio, tra un caffè ed una fetta di focaccia. Ci fu anche un evento di quelli che cambiano in un attimo la percezione del mondo, e segnano per sempre le coscienze di chi vi assiste.
Ad un tratto, tra il cordone di poliziotti e lo schieramento dei manifestanti avviene un mezzo miracolo. Una ragazza riconosce il proprio cugino tra gli agenti antisommossa e gli corre inconto con le lacrime agli occhi. Lui la vede uscire dalla folla e, visibilmente emozionato, rompe le righe, si toglie il casco e la accoglie in un abbraccio d’ amore e fraternità assoluti. Sembrava che Harry Potter avesse pronunciato l’incantesimo “Especto Patronum.!!” evocando la luce a dissolvere le schiere di spiriti malvagi.
Tutti noi avvertimmo che la potenza di quel gesto era in grado di polverizzare in un attimo ogni stratificazione egoistica ed ogni tentativo di renderci individui isolati e pavidi. Per qualche attimo é stata visibile “la vera bomba atomica” in nostro possesso, contro ogni volontà distopica e divisiva, imposta dal sistema antiumano.
Alla notizia dell’attacco ai manifestanti di Trieste, la nostra preoccupazione corse alla moltitudine di anziani, donne e bambini che stazionavano al nostro presidio e di cui sentivamo forte la responsabilità. Ma gli sguardi e i responsabili delle forze dell’ordine erano cambiati.
Sapevamo che da lì a poco sarebbe potuto accadere quanto era appena accaduto a Trieste, e non potevamo permetterlo.
Da una parte, cercavamo di evitare gesti inconsulti da parte di chi sentiva montare la rabbia per le notizie che arrivavano dal veneto, dall’altra preparavamo logisticamente un’area privata e “sicura”, nelle vicinanze, per trasferire tutte le attrezzature e le vettovaglie donateci dai manifestanti, e predisporre un eventuale ripiego.
Già in questa fase cominciarono a nascere le prime divergenze tra le varie anime della protesta, un fatale anticipo di ciò che si verificó in seguito, per l’intero ambiente a livello nazionale. Forse, tra le realtà più “ruspanti”, i nodi vengono al pettine più rapidamente che altrove.
Il presidio si concluse comunque senza sostanziali incidenti. Solo uno sparuto gruppetto di irriducibili e borderline vennero rimossi, senza tanti complimenti, dai carabinieri antisommossa del turno montante quel mattino. Alle loro spalle giacevono i resti dell’ accampamento dove avevano trascorso l’ultima notte di riscossa.
L’esperienza di alcuni di noi, maturata dai tragici eventi del G8, ci fece evitare il ritrovarci con la testa fra le mani, a piangere per le violenze subite, senza aver dato alcun valore aggiunto al sostanziale successo ottenuto fino a quel momento.
Operativamente, credo che la nostra sia risultata un’involontaria quanto azzeccata azione di “guerriglia”. Il massimo raggiungibile senza perdite, in termini di feriti, fermati o denunciati.
Le manifestazioni andarono riducendosi, mentre una nuova onda di consapevolezza ed entusiasmo diede origine a una nuova stagione di feste ed eventi, dove nutrire la nostra Umanità e cementare la nostra determinazione.
Il nostro obbiettivo era quello di risvegliare più persone possibile rispetto a ciò che stava accadendo e, realisticamente, non credo fosse possibile ottenere molto di più.
D’altronde entrambi sappiamo qual è il vero campo di battaglia. Nessuna rivoluzione definitiva può avvenire altrove.
Mi auguro solo di vivere abbastanza per assistere ad un inversione di marcia sostanziale nella società. Nel frattempo continuo a procedere in direzione ostinata e contraria, cercando di portare il mio piccolo contributo quotidiano.
Spero che questa mia lettera non sia stata solo una perdita di tempo per te. Sarei il primo a rammaricarmene.
Un calorosissimo abbraccio
Segue firma
fonte: https://luogocomune.net/17-politica-italiana/6381-trieste-chiama,-gli-altri-non-rispondono