L‘articolo di Francesco Riccardi su Avvenire intitolato “L’Eucaristia e la patatina. Spot in tripla versione, una blasfema” tratta di una controversa campagna pubblicitaria della Amica Chips. Questa campagna si è distinta per aver utilizzato un messaggio fortemente ‘provocatorio’ che, in una delle sue versioni distribuite sui media, sostituisce le ostie consacrate con patatine fritte durante una scena di Messa, con suore e un sacerdote presenti. La reazione scaturita da tale spot ha portato a proteste e alla richiesta di sospensione dello stesso da parte dell’Aiart, un’associazione di telespettatori di ispirazione cattolica, in quanto ritenuto offensivo verso la sensibilità religiosa di milioni di cattolici.
Tuttavia lo spot è attualmente distribuito e visibile da milioni di persone in tutti i canali TV e dire che quella richiesta di sospensione avrà un seguito, è una chimera. E’ comunque un gesto fattivo che bisogna fare, come sempre liberi dall’esito e pregando che la vita sia restituita come senso al suo Creatore.
L’azienda fa spallucce e dice “forte ironia”
L’agenzia di pubblicità responsabile ha difeso la campagna come un’espressione di “forte ironia”, ma questa spiegazione è del tutto incoerente, giacché associare aspetti sacri della fede cristiana a un prodotto commerciale in modo così discutibile non si vede come possa essere assimilato all’ironia. Inutile dire che l’ironia stessa deve avere dei limiti qualora tocchi aspetti della vita spirituale delle persone ed ambiti in cui la serietà è d’obbligo, almeno se non si considera che la vita e la morte possa essere sminuita in ogni momento con l’ironia. Se l’ironia non è ammessa per gli omosessuali, la fede islamica o l’olocausto , non si capisce perchè solo verso la fede cristiani e, in questo caso, il centro della vita cristiana, questa ironia deve essere ammessa.
Per questo tipo di pubblicità quindi occorre esaminare profondamente le implicazioni non solo sul piano estetico o commerciale, ma soprattutto su quello etico e spirituale.
La profanazione del sacro
E’ accaduto un fatto nuovo: dopo aver mirato ai suoi ministri, alla famiglia, alla nascita e ad altri pilastri della vita cristiana, ora assistiamo a una campagna pubblicitaria che osa ridimensionare l’Eucaristia, il sacramento al cuore della fede cristiana, trasformandolo in un banale mezzo di divertimento pubblicitario. L’uso di immagini sacre in contesti profani denota non solo una mancanza di rispetto per i simboli religiosi, ma anche una profonda incomprensione del loro significato e del loro valore per i fedeli. Affermare che questa modalità pubblicitaria manifesti una totale indifferenza, se non un vero e proprio disprezzo, per la dimensione spirituale dell’esistenza, trasformando tutto in mero consumismo, è sottovalutare la gravità del gesto. È evidente che questo genere di pubblicità opera a un livello più subdolo, veicolando pensieri e sentimenti che, quasi senza che ci si renda conto, si insinuano e cristallizzano nella mente delle persone. Questo avviene in particolare in un contesto già ampiamente minato da un’attitudine decostruzionista, perpetrata attraverso l’educazione, i media e l’arte in tutte le sue forme.
L’erosione del senso del sacro
Se riflettiamo sull’impatto di tali campagne pubblicitarie sulla collettività, ci troviamo in un’era dove il concetto di sacralità è già messo a dura prova dai venti della secolarizzazione e dal relativismo dilagante. In questo contesto, iniziative pubblicitarie di questa natura contribuiscono a un’ulteriore erosione della capacità collettiva di percepire e onorare ciò che è sacro. La riduzione di elementi cruciali della pratica religiosa, quali l’Eucaristia, a mere tattiche commerciali, non solo allontana dalla possibilità di vivere esperienze religiose autentiche, ma degrada il sacro al livello di un comune prodotto di consumo. Tale associazione tra un sacramento e un prodotto commerciale rischia di imprimere nelle menti, soprattutto quelle dei giovani e degli adulti, un legame indelebile, analogo a come certe melodie classiche sono oggi riconosciute più che altro per il loro utilizzo in spot pubblicitari. In questo modo, le patatine potrebbero venire associate al sacramento, riducendo quest’ultimo, nell’immaginario collettivo, a un mero simbolo svuotato del suo significato originario e trasformato in un feticcio.
La sfida educativa
Molti cristiani vedranno in questo ennesimo episodio di irriverenza una sfida educativa, ovvero essi evidenzieranno la necessità di un’educazione che non solo insegni il rispetto per il sacro, ma anche formi individui capaci di discernere tra il valore intrinseco delle pratiche religiose e il loro abuso in contesti inappropriati. Una parte notevole del mondo cattolico ritiene che educare al rispetto del sacro significa anche riconoscere la relazione della nostra vita e del nostro destino con il divino, una dimensione che non può e non deve essere manipolata per fini commerciali.
Per molti cristiani, da tempo immemore, l’idea di affidarsi a una cosiddetta ‘battaglia culturale’ per il rinnovamento della fede è sembrata una strategia valida. Tuttavia, personalmente ritengo che questa prospettiva sia divenuta, più che altro, una dolce utopia, considerando le modeste risorse a disposizione del mondo cattolico di fronte all’ingente e sbilanciato potere esercitato dalle forze avverse. Pertanto, interpretare questa controversia pubblicitaria solamente come un caso isolato di cattivo gusto, piuttosto che come l’indicazione di una crisi culturale più estesa che richiede un’analisi profonda e una risposta consapevole, politica quanto spirituale, volta al ristabilimento del senso del sacro nella sfera pubblica e privata, è un errore. Una tale azione dovrebbe andare di pari passo con la cosiddetta battaglia culturale. Eppure, questa sembra essere un’impresa che nessuno, né lo stato – intrinsecamente coinvolto in tali strategie di manipolazione – né la Chiesa – che pare aver perso la propria identità in un’ossessione per l’umanesimo, distogliendo lo sguardo dal fulcro della vita cristiana, ovvero Cristo stesso – è disposto a intraprendere.
È fondamentale riconoscere che le proteste e le battaglie culturali spesso appaiono come mere illusioni, in un’epoca in cui i meccanismi di potere si avvalgono di strumenti sofisticati per manipolare il consenso collettivo e orientare le masse. Questi strumenti sono utilizzati per imporre stili di vita e convinzioni modellate ad arte dai cosiddetti nuovi intellettuali, paladini dei “nuovi diritti”, che sembrano guidare l’umanità verso un percorso di degenerazione. Inoltre, le élite progressiste, che teoricamente dovrebbero esercitare un ruolo di custodia valorizzando gli aspetti positivi della società, finiscono per essere parte del problema, adottando strategie manipolative analoghe a quelle utilizzate nella pubblicità delle patatine che prendono il posto dell’Eucaristia, in un gesto che si pretende essere ironico.
Questo scenario rispecchia una profonda ironia, in cui le stesse istituzioni che dovrebbero proteggere i valori della società si trasformano in promotori di un’agenda che mina quegli stessi valori. Il problema si estende agli strumenti di cui dispone la società civile per affrontare tali sfide, e al ruolo delle istituzioni e dell’Unione Europea, vista come l’epitome di uno spirito che anima queste campagne pubblicitarie. Queste ultime rivelano un desiderio incessante di liberazione da ogni vincolo tradizionale. Una volta abbattute tutte le barriere, ciò che resta è l’Eucaristia stessa, per il semplice motivo che l’obiettivo ultimo da attaccare è l’Eucaristia stessa, eliminato l’ultimo velo di riservatezza o di decenza che soli rimanevano per astenersi nell’usarla impropriamente.
Aderire all’Iniziativa di IAP
Al di là di queste mie considerazioni, ecco comunque il link con la possibilità di scrivere all’organismo di controllo della pubblicità per protestare per quanto accaduto. Esorto ad utilizzare l’opportunità che questi amici hanno reso possibile: https://www.iap.it/le-attivita/per-i-cittadini/segnalare-pubblicita-ingannevole/