L’eutanasia della stampa cattolica

Fino a non molti anni fa l’anomalia era “Famiglia Cristiana”, le cui oscillazioni su molti temi sapevano di clamorose sbandate, ma oggi è l’intera stampa cattolica, almeno in Italia, ad essere irriconoscibile: l’”Osservatore Romano” da poco ha inaugurato un magazine dedicato alle donne imbarcando firme, da Daria Bignardi a Melania Gaia Mazzucco, che stanno all’ortodossia come Fedez alla lirica, “Avvenire” – testata con redattori e collaboratori che pure, tutt’ora, stimo – ha fatto contro le nozze gay («L’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik»: I. Scalfarotto, “Repubblica”, 16.10.2014) una opposizione tutto fuorché pugnace ed ora, dulcis in fundo, “Civiltà Cattolica” si schiera per il sì al referendum di ottobre. Mai avrei immaginato, per restare cattolico, di rivalutare l’anticlericalismo.

Che succede? Cosa porta fior di testate e giornali d’ispirazione cattolica ad una coordinata e sempre più lampante genuflessione culturale nei confronti del potere e del Pensiero Unico? Da lettore, anzi da estimatore di ognuno di questi giornali ho il dovere di chiedermelo anche perché immagino la mia incredulità ampiamente condivisa. Posso sbagliarmi, ma la sensazione – benché ogni redazione sia per molti versi un mondo a sé – è che la stampa cattolica rifletta oggi la crisi di un cattolicesimo mondanizzato fino al punto di essere, oramai, la parodia di se stesso. E’ un problema che non nasce affatto oggi e che già il grandissimo Augusto Del Noce (1910–1989) fotografava alla perfezione allorquando sosteneva che «la prima condizione perché l’eclissi abbia termine e il cattolicesimo esca dalla sua crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione: che non è di adeguarsi al mondo, ma, al contrario, di contestarlo».

Ecco: sembra proprio che la stampa d’ispirazione cattolica – riflettendo così sulle proprie pagine l’eclissi di un cattolicesimo cronicamente intimidito – anziché contestarlo, proponendo con costanza un punto di vista diverso, abbia preso «ad adeguarsi al mondo», a replicarne le istanze in una sorta di duplicazione culturale, se così si può dire, suicida sotto ogni punto di vista; da quello strettamente editoriale – perché dovrei comprare Avvenire o abbonarmi a Civiltà Cattolica quando posso già leggermi caute interviste a qualche prelato anche sul Corriere, sulle cui colonne scrive lo scrittore cattolico forse più letto al mondo, Messori, e quando su Repubblica posso trovarmi, di tanto in tanto, editoriali firmati dal teologo Vito Mancuso o Joaquín Navarro-Valls, già direttore della Sala Stampa della Santa Sede? – a quello religioso: che ne è di una fede ben mimetizzata o perfino insonorizzata? Cui prodest? Al quieto vivere, forse: sai che gran premio.

Ora, non intendo certo generalizzare né discutere la professionalità di giornalisti alcuni dei quali conosco e stimo, ma ammetto che non solo è difficile farsi passare il timore che sia in corso una sorta di eutanasia della stampa cattolica, ma questo timore assume sempre più il gusto amaro della certezza. Non posso quindi che augurarmi un’inversione di tendenza editoriale volta alla riscoperta di una sana contestazione cattolica del mondo, che nulla – meglio precisarlo – abbia a vedere con qualsivoglia forma di aggressività contro le persone ma che, tuttavia, sappia riproporre verità morali scomode e prendersi gioco del politicamente corretto, se possibile, con ironia. Sogno troppo grande? Qualcuno penserà lo sia. Ma siccome, confesso, una stampa cattolica del tutto omologata a quella laicista, per me che tengo alla lettura mattutina dei quotidiani – la preghiera del mattino del laico, la chiamava Hegel (1770-1831) -, sarebbe un incubo, opto, finché possibile, per il sogno.

Giuliano Guzzo

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