L’ex ministro Trenta, nota per aver ostacolato in tutti i modi Salvini con l’inazione (voluta per sua stessa ammissione e quindi non casuale) del suo ministero ora è alle prese con un privilegio che qualcuno ha contestato come indebito. Lei si giustifica (parafrasando) in questo modo: “ho mio marito Maggiore dell’esercito, in base allo status ricoperto, gli tocca un alloggio analogo e quindi lui ha rinunciato ed abbiamo preso questo“. Tuttavia la vicenda non quadra : l’assegnazione degli alloggi ha delle graduatorie e quelle di servizio sono assegnati per l’incarico svolto e destinati esclusivamente al personale militare. Ma anche se il marito avesse diritto ad un alloggio per il’incarico svolto, certamente non avrebbe potuto sceglierlo vicino al Ministero della Difesa. La ministra Trenta ha infatti riconosciuto che quell’alloggio gli è stato assegnato esclusivamente a motivo di valutazioni di sicurezza relative al suo incarico come capo del dicastero. Inoltre le spese di trasloco citate sembra tocchino solo “ove nello stesso presidio o circoscrizione (si) passi ad abitare un’immobile privato“. Certo, nessun reato – ci mancherebbe – e sta al suo ministero dare una parola definitiva sulla legittimità amministrativa della continuazione del beneficio. Tuttavia – a mio avviso – anche se l’appunto risultasse essere solo di merito, la risposta sicuramente stona con le peculiarità di cui dice di farsi bandiera con il suo partito.
@vietatoparlare
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Elisabetta Trenta e la casa a Roma, Di Maio: “Noi all’oscuro, chiarisca”. Lei: “Ho fatto risparmiare il ministero”
ROMA – Il M5s “non ne sapeva niente. E’ bene che Trenta chiarisca il prima possibile. Vedremo cosa ha da dire. Ovviamente lei non e’ piu’ ministra del M5s“. Cosi’ Luigi Di Maio commenta la notizia pubblicata dal Corriere della Sera, per cui la ex ministra Elisabetta Trenta risulta ancora beneficiaria di un alloggio messo a disposizione dall’amministrazione della Difesa quando lei era ministra.
LA REPLICA
“Da ministro ho chiesto l’alloggio di servizio perche’ piu’ vicino alla sede lavorativa, nonche’ per opportune esigenze di sicurezza e riservatezza. L’alloggio e’ stato assegnato ad aprile 2019, seguendo l’opportuna e necessaria procedura amministrativa, esitata con un provvedimento formale di assegnazione da parte del competente ufficio”. Cosi’ l’ex ministra Elisabetta Trenta, su facebook, replica al Corriere della Sera. “Quando ho lasciato l’incarico, avrei avuto, secondo regolamento, tre mesi di tempo per poter lasciare l’appartamento; termine ancora non scaduto (scadenza tre mesi dal giuramento del nuovo governo, vale a dire 5 dicembre 2019). Come e’ noto, mio marito e’ ufficiale dell’Esercito Italiano con il grado di maggiore e svolge attualmente un incarico di prima fascia, incarico per il quale e’ prevista l’assegnazione di un alloggio del medesimo livello di quello che era stato a me assegnato (infatti a me non era stato concesso un alloggio ASIR – cosiddetto di rappresentanza – ma un alloggio ASI di prima fascia). Pertanto, avendo mio marito richiesto un alloggio di servizio, per evitare ulteriori aggravi economici all’amministrazione (a cui competono le spese di trasloco, etc.), e’ stato riassegnato lo stesso precedentemente concesso a me, previa richiesta e secondo la medesima procedura di cui sopra”, aggiunge.
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Tra l’altro, il ministro Trenta – in un’altra dichiarazione resa al Corriere (link a seguito) – ha detto che comunque ha bisogno di un appartamento grande per motivi di “rappresentanza” dovuto a relazioni istituzionali intraprese nell’arco del suo mandato. Da notare anche che l’ex ministro ha già una casa a Roma (sfitta).
In proposito, trovo molto appropriata la risposta di un utente fb, che così replica:
Della serie quando la toppa è peggio del buco. La ex ministra Trenta, come tutti i miracolati, non si arrende a mollare l’osso ed ha giustificato il fatto che si sia tenuta l’appartamento di rappresentanza col fatto che lei adesso, visto il ruolo ricoperto, ha “delle relazioni importanti” e ha bisogno di una casa grande. Dio mio, che parvenu. Tipico atteggiamento di chi per tutta la vita ha vissuto con la rabbia del “vorrei ma non posso”, che magari denunciava privilegi e status altrui perché non vedeva l’ora di raggiungerli a sua volta. Un po’ come quelle femministe in sovrappeso e avanti negli anni che hanno sempre sputato veleno sulla “società patriarcale che vuole la donna oggetto”, sulla bellezza (altrui) e sull’apparenza, che alla prima occasione che viene data loro si addobbano con piume e paillettes.