Libia – Intervista a Mons. Martinelli, vicario apostolico a Tripoli

Libia – Intervista a Mons. Martinelli, vicario apostolico a Tripoli «Una guerra sbagliata, si poteva dialogare» Difficile ora ipotizzare come finirà
di Gregorio Schira

«La guerra non condurrà mai alla pace. E, come stiamo vedendo, questa guerra non sta portando a nessuna soluzione. Gheddafi non si piegherà. Come tutto il popolo libico, è molto orgoglioso della propria identità, della propria razza. Non cederà mai alle pressioni dell’Occidente». È quanto dichiara al GdP mons. Giovanni Innocenzo Martinelli – vicario apostolico di Tripoli, da quarant’anni in Libia – che sottolinea però di parlare a titolo personale e non a nome della Santa Sede.

Mons. Martinelli, non crede che – per come è evoluta la situazione – un intervento armato fosse l’unica soluzione?

Assolutamente no. Si poteva cercare una mediazione, ma il dialogo non è nemmeno stato tentato. L’Occidente ha avuto fretta di ricorrere alla guerra, non so per quale ragione. Non voglio avere pregiudizi, ma l’intervento dei cosiddetti alleati mi è sembrato affrettato e piuttosto interessato.
Dai contatti che ho avuto con il World Islamic Call Society (un’istituzione sponsorizzata dalla Libia e incaricata del dialogo interreligioso e della promozione dell’islam nel mondo), so che si stava trovando un canale possibile per il dialogo. Era stata individuata una persona che aveva un certo peso sia tra i rivoltosi sia tra le autorità, e che poteva giocare un ruolo importante nella mediazione. Ma l’Occidente voluto iniziare la guerra, e ora non riesco a immaginare come possa andare a finire.

Vista da fuori, però, la situazione stava precipitando. Il numero di vittime cresceva vertiginosamente, e i terribili attacchi delle milizie di Gheddafi stavano polverizzando le conquiste dei ribelli. In qualche modo bisognava intervenire.
In parte è vero, ma in parte ciò che avete saputo in Occidente è stato ingrandito dai mass media. È chiaro che si sarebbe dovuto intervenire prima che la situazione precipitasse. La mancanza del Governo libico è stata quella di non aver ascoltato la crisi generazionale di questi tempi. Gheddafi doveva ascoltare i giovani che reclamavano più diritti.
Bisogna anche sottolineare, però, che se la reazione del colonnello è stata così forte c’è un motivo. Se è vero che la rivolta è nata spontaneamente, è altresì vero che a un certo punto vi è stata tra le fila dei ribelli un’infiltrazione di al Qaida.

Al Qaida? Aveva quindi ragione Gheddafi?
Quello che Gheddafi ha detto è vero. Dalle notizie che ho potuto raccogliere, ho motivo di credere che a un certo punto la rivolta è stata effettivamente strumentalizzata dal network di bin Laden. È questo che ha dato il via all’atroce repressione del colonnello.

Chi avrebbe dovuto, o potuto, intervenire?
Di certo non l’Occidente. Ci sono organismi nella società araba che avrebbero potuto giocare un ruolo importante, e che forse sono ancora in tempo per farlo. Ci sono personalità africane, sia all’interno che all’esterno della Lega araba o dell’Unione africana (di cui Gheddafi è anche stato presidente) che hanno una forte influenza sul raìs. Perché non cercare un mediatore tra questi, se veramente si voleva la pace?
Anche l’Italia era in gioco, e avrebbe potuto dare un’importante contributo alla pace, perché negli ultimi anni aveva acquisito una certa amicizia con la Libia e con Gheddafi.
Non so dire, vista l’attuale situazione, se la strada del dialogo è ancora percorribile. Ma perché non tentare?

Come finirà questa triste vicenda? Che fine farà Gheddafi?
A questa domanda è impossibile rispondere. Ciò che posso dire è che il leader libico è disposto a resistere fino alla fine. Per questo non vedo una soluzione alla guerra. Da quattro giorni, ogni sera e ogni notte veniamo bombardati. Ma fin dove si vuole arrivare? Fino a che punto gli alleati hanno il diritto di farlo? Che cosa ci si aspetta, che Gheddafi se ne vada? Non accadrà mai.