Gli USA e i suoi alleati negli anni hanno adottato la nuova dottrina della ''responsability to protect'' in base alla quale hanno reso legale sovvertire qualsiasi paese che non segua il proprio modello di civiltà e democrazia.
Il punto di vista di alcuni studiosi e le conseguenze disastrose nei paesi 'beneficiati' dall'ingerenza umanitaria.
Patrizio Ricci
Esiste solo un punto di vista, una sola lettura delle situazioni. La scala dell'autorevolezza non è data dalla realtà oggettiva ma è quella imposta e diffusa dagli Stati Uniti, dalle Nazioni Unite; cioè da quegli organismi 'sovranazionali' che si prendono carico della 'sicurezza globale'.
In sostanza, secondo tale mentalità di 'governo globale' i diritti e la sicurezza globale verrebbero prima del valore del singolo uomo e delle comunità nazionali. Ma attenzione: gli interessi delle potenze mondiali che incarnano i 'diritti umanitari' vengono prima della pace; è la pace che deve conciliarsi con gli interessi economici e la sicurezza nazionale e non viceversa.
Lo tengano bene in mente i governi di tutto il pianeta: bisogna essere in armonia con il 'lego'. I sovrani dispotici sono giudicati non in quanto tali ma se in armonia con il 'lego': solo se in armonia o funzionali con tali progetti non avverrà alcuna 'ingerenza umanitaria' sui propri affari interni.
Una simile mentalità è indice che qualcosa evidentemente non funziona. Emblematico è il modo con cui la situazione siriana è descritta dal ''Global Center to Responsability to protect'' (questa organizzazione rispecchia il punto di vista maggiormente condiviso da parte della 'Comunità Internazionale' essendo supportata da tutti i governi occidentali, da 'figure di spicco della comunità dei diritti umani', nonché da International Crisis Group, Human Rights Watch, Oxfam International, Refugees International, e WFM-Institute for Global Policy):
"La guerra civile in corso in Siria vede le popolazioni affrontare le atrocità di massa commesse dalle forze di sicurezza dello Stato e le milizie affiliate".
Non è spesa una parola di condanna sulle milizie islamiste che imperversano nel paese e che costituiscono l'80% delle forze 'ribelli'. Il giudizio è netto: la responsabilità grava totalmente sul governo siriano. E' l'opinione del circolo che conta, e poco importa se la situazione reale è del tutto rovesciata (l'aggressione è subita dalla Siria ad opera delle milizie fondamentaliste eterodirette).
Simili 'insindacabili giudizi' rimangono immutati anche davanti a evidenze di segno opposto. La radice è profonda e deriva da una concezione dell'uomo e dei diritti in mutamento, diritti che hanno una loro casistica ben definita e che derivano da una visione dell'esistenza umana lontana dalla fede di Cristo (da cui sono pur nati tutti i 'valori' europei…). E' una visione della vita e dell'uomo nichilista a e relativista sottomessa al 'progresso economico' infinito. E' un argomento che accende il dibattito e divide i paesi occidentali al loro interno ma all'esterno dominano e prendono le decisioni i centri di potere che innalzano i loro principi assoluti:
"L'ideologia occidentale della humanitarian intervention, con la sua pretesa di diffondere nel mondo intero i valori occidentali – e tali sono i valori sottesi alla dottrina dei diritti umani e della democrazia -, coincide in realtà con una strategia generale di promozione di "interessi vitali" dei singoli Stati "umanitari" – o di alleanze fra Stati -, presentati come interessi della comunità internazionale…"
(Danilo Zolo, giurista).
Così inteso, l'intervento umanitario è subdolo e non è sincero:
"Può accadere che l'emergenza umanitaria sia pura invenzione di una potenza che si propone di interferire nella 'domestic jurisdiction' di un altro Stato per ragioni politiche e/o economiche. Oppure può accadere che una guerra civile di ridotte dimensioni venga gonfiata di proposito da parte di una grande potenza per giustificare l'aggressione contro un paese militarmente debole che essa ha deciso di occupare per ragioni strategiche." (Danilo Zolo).
Le conseguenze di questa 'ricetta' sono sotto gli occhi di tutti: Iraq, in Libia ed in Siria ne sono la testimonianza vivente. In questi paesi ha portato solo morte e distruzione.
Pur di realizzare i propri piani si può impunemente usare l'inganno e la menzogna: la guerra contro Saddam si è basata su inesistenti armi di distruzione di massa. I suoi esiti non possono essere presi alla leggera ed essere considerati 'un disguido': è un'aggressione ad uno stato sovrano che ha causato al popolo iracheno da 700.000 ad un milione e 400 mila morti (Opinion Research Survey)
Ebbene sono passati anni e nessuno ha chiesto scusa a quelle vittime. Gli esiti e le divisioni generati da quella guerra sono ancora in atto ma l'occidente non si domanda cosa non ha funzionato, quali errori ha fatto: ha sempre pronta la stessa agenda di 6 punti (vedi nota a margine..).
Che dire? E' evidente che le cose così non vanno… Dice C. Schmitt, giurista e filosofo politico tedesco (Cfr., Begriff des Politischen, München-Leipzig, Duncker & Humblot, 1963):
"Chi cerca di vestire il suo attacco militare con panni umanitari è un impostore: in realtà egli cerca di consacrare la propria guerra come "guerra giusta" e di degradare moralmente il proprio avversario, di isolarlo come nemico dell'umanità e di essergli ostile sino all'estrema disumanità".
Anche il prof. Thomas Franck (docente presso la New York University in diritto internazionale) è diffidente nei confronti di una apologia indiscriminata dell'uso della forza per finalità umanitarie. Infatti, Franck in "Interpretation and change in the law of humanitarian intervention"sostiene con saggezza che bisogna discriminare fra interventi umanitari "genuini" ed interventi umanitari insinceri e opportunistici.
Ed a proposito di opportunismi ed inganni ''umanitari'', il conflitto siriano-iracheno ne è infarcito: – proprio l'Arabia Saudita (che ha finanziato e sostenuto Isis insieme a Qatar e Turchia) è nella coalizione e per non meglio precisati motivi ed è l'unico stato che ha il privilegio di volare sui cieli della Siria insieme agli USA; – i bombardamenti sono focalizzati su Kobane , nel Kurdistan siriano, con l'intenzione evidente di staccare la regione dall'autorità siriana; in Siria i target dei caccia americani sono scelti accuratamente per nuocere ad Isis ma anche al governo siriano: i raid sono compiuti su raffinerie siriane, infrastrutture, granai. L' intento è fin troppo palese: il governo siriano non ritornerà più in possesso di risorse vitali.
Intanto i pozzi estrattivi in mano allo Stato del Levante continuano fruttare ogni giorno al Califfato un milione di euro. I jadisti provenienti dall'estero continuano ad affluire a migliaia attraverso la Turchia (dove sono curati e riforniti).
Sono alcuni esempi di ciò che viene taciuto. E l'Italia? Nel nostro paese il dibattito su queste cose è inesistente: il governo italiano si è sempre accodato alle decisioni di altri con la sola preoccupazione di non dispiacere alle alleanze da cui dipendiamo totalmente.
… continuiamo così a costruire un mondo migliore? Auguri alle future generazioni.
Una sola speranza: proseguiamo come cercatori consolati dalla presenza del Mistero. E' quanto basta e che si fa strada tra l'indifferenza, l'imbecillità, la paura. Nella condizione umana che è una sfida per la gloria di Dio nell'uomo.
NOTA A MARGINE:
Il copione seguito dagli USA in questo tipo di interventi è sempre lo stesso:
1) si alimenta segretamente il malcontento (si utilizzano una pluralità di mezzi: Ong, diplomatici, si acuisce la depressione economica del paese grazie all'influenza sulla finanza internazionale e sull'FMI, e altri metodi );
2) una volta che tutto è pronto, si fa esplodere la piazza in maniera violenta confidando nella repressione;
3) si ingigantisce la partecipazione popolare alle manifestazioni di protesta e si esagerano il numero degli incidenti e le vittime;
4) si indirizzano i principali mass media in mano a poche lobbyes per costruire una opinione pubblica favorevole all'intervento;
5) si dispone una copertura giuridica internazionale per bypassare le costituzioni dei paesi democratici;
6) si forma una coalizione simbolica con il meccanismo delle alleanze e con allettanti promesse di partecipazione alla ricostruzione.