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Libia: Quei ribelli, poco "nobili"

Fonte: http://landdestroyer.blogspot.com/2011/07/libyas-not-so-noble-rebels.html

I ribelli della Libia sono lontani dall’essere motivati da aspirazioni democratiche. Le loro lagnanze si poggiano su divisioni etniche, non politiche. I “sostenitori di Gheddafi” è un eufemismo usato dai media globalisti per descrivere le tribù africane e generalmente scure di carnagione che formano la gran parte della demografia della Libia Occidentale e che devono subire il peso maggiore delle atrocità dei ribelli appoggiati dalla NATO.

Confermando quanto l’esperto di geopolitica Webster Tarpley sta ripetendo da mesi sulle realtà che stanno alle spalle delle rivolte libiche, spesso ritratte come una ribellione “a favore della democrazia” dai media di regime, gli ultimi resoconti ci parlano dei ribelli libici che, ancora una volta, prendono di mira le tribù etniche rivali all’interno delle città catturate con pestaggi, saccheggi, vandalismi e molto di peggio (anche se convenientemente omesso dalle notizie mainstream). Non si tratta di aspirazioni “democratiche”, ma di un conflitto che è separato da linee etniche, perpetuato dal prima coperto e ora aperto supporto militare degli USA e del Regno Unito alle tribù da tempo lungo tempo favorite e coltivate dagli Occidentali della Libia Occidentale che risiedono attorno a Benghazi.

La CNN ha riferito, in “Gruppi per i diritti umani riportano che i ribelli libici hanno saccheggiato e picchiato civili,” che Human Rights Watch finanziata da Soros ha ricevuto informazioni secondo cui “i combattenti ribelli e i loro sostenitori hanno danneggiato le proprietà, bruciato case, saccheggiato ospedali, case e negozi e picchiato alcune persone che loro ritenevano aver supportato le forze di governo”. Mahmoud Jibril, il primo ministro ribelle de facto che di recente si è prostrato di fronte al Brookings Institute, dichiarando che il suo movimento era ispirato dalla globalizzazione, ha confermato queste ipotesi, ma ritiene che rappresentino solo “qualche incidente” e che i responsabili saranno “portati in tribunale”.
Una cosa comunque molto improbabile perché, se anche questi “pochi incidenti” sono stati evidenziati dai tendenziosi media internazionali, simili atrocità sono state rese note in modo continuo da quando le tribù di Benghazi hanno avviato la loro offensiva appoggiata dall’estero nel febbraio di quest’anno. In un articolo del New York Times dell’aprile 2011 intitolato “Gli armamenti inferiori dei ribelli esitano nella guerra in Libia“, una narrativa lamentevole parla di ribelli disarmati e dominati che sono stati costretti dalle circostanze a commettere orribili atrocità e crimini di guerra. Il New York Times parla di “tolleranza per almeno un piccolo numero di bambini soldato” e si lamenta della mancanza di controlli per “gli episodi di abusi o per la condotta assolutamente brutale”, invece della mancanza di principi etici o della illegittimità della loro causa finanziata dall’estero.

L’articolo del New York Times descrive l’utilizzo da parte dei ribelli dei razzi Grad spesso descritti come armamenti non selettivi e il cui uso da parte delle forze di Gheddafi è stato considerato un fattore scatenante dell’intervento della NATO. L’articolo ha anche menzionato l’utilizzo da parte dei ribelli delle mine terrestri, altro fattore citato dai criminali guerrafondai della NATO per il loro intervento nel Nord Africa.
L’articolo del New York Times sta cercando di scusare e di addolcire un torrente di articoli in uscita che indicano come i ribelli libici, che ammettono loro stessi di avere legami con Al-Qaeda, stiano macellando, decapitando e mutilando i prigionieri delle truppe governative e che sono palesemente colpevoli dell’utilizzo delle stesse armi e delle stesse tattiche per le quali la NATO ha senza alcun fondamento accusato Gheddafi, la giustificazione ufficiale usata dalla NATO per entrare in guerra. Allo stesso modo, il report di Human Rights Watch, finanziato da Soros, tanto citato ultimamente, alterna le scuse per i civili che sembrerebbero sostenere Gheddafi a interlocuzioni che ricordano ai lettori i presunti abusi di Gheddafi. In seconda battuta, il report è stato ancor più edulcorato dai media finanziati dalle corporation con le pittoresche parafrasi che generalmente accompagnano le notizie sulle presunte atrocità di Gheddafi.
Un recente articolo del Guardian, intitolato “I ribelli libici accusati di bruciare le case e di saccheggio“, con il sottotitolo “Human Rights Watch dice che i ribelli hanno depredato le strutture sanitarie e incendiato le case dei sostenitori di Gheddafi”, rappresenta un subdolo meccanismo retorico usata ancora una volta per edulcorare i crimini dei ribelli. All’interno dell’articolo il termine “case ritenute appartenenti ai sostenitori di Muammar Gheddafi” viene usato assieme alla frase finale, “le forze di Gheddafi nella zona sono state accusate di essersi rifugiate indiscriminatamente nelle zone abitate, lasciando sul terreno mine anti-uomo.”
Altri articoli, come quello del Wall Street JournalLe città libiche separate dai feudi tribali“, rappresentano la massima concessione dei media mainstream alla realtà e l’inizio della descrizione delle sottostanti tensioni etniche che servono da reali motivazioni, non certo le aspirazioni democratiche, che stanno dietro la violenza accesa e continuamente aizzata dalla leadership dei ribelli libici a Washington. Comunque, l’esperto di geopolitica Webster Tarpley aveva già evidenziato in aprile in un articolo intitolato “Al Qaeda: le impronte di un’insurrezione della CIA dalla Libia allo Yemen” lo storico sostegno britannico per i “monarchici e razzisti Harabi e per le tribù Obeidat del corridoio Benghazi-Darna-Tobruk”. Ha correttamente diagnosticato come le tensioni etniche fossero responsabili delle atrocità generalizzate che vengono ancora offuscate oggi dai media di regime, e ha predetto che le atrocità e il genocidio sono il destino dei villaggi e delle città catturate dai ribelli appoggiati dalla NATO.
Quello a cui assistiamo in Libia non è un popolo oppresso che aspiri alla globalizzazione e alla democrazia liberale , ma ancora un’altra divisione etnico-politica sfruttata dal potere globalista per dividere e distruggere la sovranità di una nazione indipendente. Se e quando Tripoli cadrà per le orde di globalisti e dei loro stupidi eserciti di sempliciotti e di mercenari, l’inconcepibile brutalità, la discriminazione e le atrocità saranno il destino dei loro rivali etnici. Mentre le giustificazioni retoriche della NATO per il loro criminale intervento militare si incentrano sulla protezione dei civili, stanno chiaramente e intenzionalmente agevolando l’individuazione dei civili allineati a Gheddafi non politicamente, ma etnicamente.

È essenziale comprendere chi stia davvero dietro a questi conflitti, tra cui le multinazionali che stabiliscono l’agenda dall’interno di non eletti think tank, i media posseduti dalle corporation che distorcono e giustificano queste agende al pubblico, e i politici delegittimati che realizzano questi ordini del giorno contro la volontà della popolazione che dicono di rappresentare. Per contrastare tutto questo, dobbiamo continuamente lavorare per informare altre persone della verità che viene offuscata dalle immense campagne di propaganda che accompagnano questi conflitti e impegnarci nel boicottare e sostituire interamente le multinazionali che promuovono e traggono vantaggio da questi conflitti. Se le difficoltà della Libia potrebbero sembrare un argomento insignificante ed estremamente lontano per la persona comune, una vittoria globalista in Libia è una vittoria contro tutti i popoli liberi e sovrani.

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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