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I libici come Sherlock Holmes, la NATO in campo contro l’Isis: Manchester è la nuova Pearl Harbor?

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Alla fine, è facile. Ce l’abbiamo davanti agli occhi la realtà delle cose, basta unire i puntini. Il problema è che qualcuno, pur dovendo ammetterla la realtà, fa di tutto affinché ci comportiamo come chi ha cominciato il gioco che ho usato come immagine di copertina: farci sbagliare, mischiando gli addendi di un’operazione che non è mai a somma zero per il potere.

Questa è un’agenzia ANSA di ieri alla 19.48, potete trovarla facilmente attraverso i motori di ricerca: “(ANSA) – BRUXELLES, 24 MAG – La Nato entrerà a far parte della Coalizione anti-Isis come membro a pieno titolo. La decisione è stata presa in una riunione del Consiglio Atlantico a livello di ambasciatori che si è tenuta nel pomeriggio, in cui anche Francia e Germania, che avevano espresso perplessità, hanno dato il consenso. Lo indicano fonti diplomatiche. La decisione sarà ufficializzata domani (oggi, ndr), al vertice informale. Il Segretario generale, Jens Stoltenberg, in mattinata ha escluso che la Nato possa avere ruoli di combattimento nella Coalizione”.

Sempre agenzia ANSA, sempre ieri ma alle 21.49: “(ANSA) – WASHINGTON, 24 MAG – Le forze armate Usa non sono riuscite a mantenere adeguatamente le tracce di centinaia di veicoli militari (humvee), di decine di migliaia di fucili e di altri pezzi di equipaggiamenti militare mandati in Iraq per armare l’esercito governativo, le milizie sciite e i peshmerga curdi, per un totale di oltre un miliardo di dollari.

Lo rivela un controllo governativo iracheno del 2016 ottenuto e diffuso da Amnesty International (Ai), scrive il Washington Post. Un audit del 2015 aveva evidenziato gli stessi problemi, compresa la quasi totale assenza di una registrazione da parte di Baghdad. Il materiale bellico era stato fornito nell’ambito dell’Iraq Train and Equip Fund, un programma per sostenere l’esercito iracheno a combattere l’Isis. Il timore è che parte delle forniture possa essere finite nelle mani sbagliate”.

E, infine, sempre agenzia ANSA ma questa mattina alle 09.08: “(ANSA) – WASGHINGTON, 25 MAG – La bufera del Russiagate fa crollare Trump nell’ultimo sondaggio di Fox news (21-23 maggio): il 40% del campione approva il lavoro del presidente Usa, mentre il 53% lo boccia. Un mese fa il rapporto era 45% a 48%. Il 44% inoltre ritiene che gli hackeraggi russi abbiano aiutato il tycoon ad arrivare alla Casa Bianca. Il 68% approva la nomina di un procuratore speciale per indagare sulle interferenze di Mosca nelle elezioni (29% è contro) e il 43% pensa che scoprirà un coordinamento della campagna di Trump con la Russia. Il 60% inoltre è convinto che Trump abbia licenziato il capo dell’Fbi, James Comey, perché l’indagine sul Russiagate stava danneggiando la presidenza (il 29% non lo pensa). Come se non bastasse, il 57% ritiene che la condivisione di informazioni segrete con i russi nello studio ovale sia frutto di cattivo giudizio”.

 

Vi serve altro per capire a cosa sia servita l’orribile strage di Manchester? Senza colpo ferire e senza più noiose titubanze, ecco che la NATO entra ufficialmente nella coalizione anti-ISIS.

Certo, per ora, come ha annunciato poco fa il segretario generale, Jens Stoltenberg, non ci sarà ruolo attivo di combattimento ma qualche prodromo di operatività salta fuori: “(ANSA) –

BRUXELLES, 25 MAG – La Nato avrà una nuova cellula di intelligence contro il terrorismo che sarà creata nel quartier generale di Bruxelles ed il cui scopo è quello di migliorare la condivisione di intelligence, comprese quelle sui foreign fighters. Inoltre sarà nominato un “coordinatore per supervisionare gli sforzi nella lotta contro il terrorismo” Lo ha annunciato il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, arrivando nella sede della Nato”. E poi, guarda per caso qual è la notizia precedente? “(ANSA) –

WASHINGTON, 25 MAG – Nel massacro di Manchester è stato usato l’esplosivo Tapt, lo stesso delle stragi di Parigi e Bruxelles. Lo afferma il deputato statunitense Mike McCaul, che presiede l’House Homeland Security Committee americano. “Non abbiamo a che fare con un lupo solitario, c’è un network di terroristi ispirati dall’Isis”.”

Accidenti, che notizia! Toccherà indagare insieme agli inquirenti francesi, adesso? Forse. Ma sicuramente in silenzio, senza brutte fughe di notizie stile Manchester: anche perché, casualmente, ieri Emmanuel Macron ha richiesto al Parlamento di prorogare lo stato di emergenza fino al 1 novembre, quindi ciò che scotta può essere secretato. Con timbro presidenziale.

Ci vorrà molto, a vostro modo di vedere, prima che la NATO debba intervenire ovunque l’Isis sia presente per contrastarlo con ruolo operativo e combat? Ci voleva qualcosa per cambiare la narrativa, per accelerare il processo: è arrivata la strage di Manchester con il suo carico emozionale devastante.

Ora la NATO combatterà, in prima fase con l’intelligence condivisa, l’Isis. E, guarda caso, l’Isis è un po’ ovunque, da poche settimane molto attivo anche nelle Filippine del Sud. Le stesse Filippine che vedevano un’offensiva jihadista in atto, con tanto di decapitazioni, mentre il presidente Rodrigo Duterte era a Mosca ospite di Vladimir Putin, non solo acquistare armi da utilizzare nella lotta al narcotraffico ma anche a prospettare un’alleanza a tre con Cina e, appunto, Russia.

Vogliamo poi parlare del fronte libico. Per mesi e mesi, la narrativa è stata quella di un Paese nel caos completo, bicefalo grazie ai due governi che lo amministrano e perennemente instabile a causa del potere delle varie tribù locali. Dalla Libia arrivavano solo notizie di disordine e inaffidabilità.

E poi, di colpo, ieri la Libia si trasforma nella Svizzera: decimata la famiglia di Salman Abedi, l’attentatore di Manchester, tutti arrestati. Di più, il fratello più piccolo, Hashem, si mette subito a cantare come un uccellino: durante l’interrogatorio ammette di far parte, insieme al fratello, dello Stato islamico e di essere stato in Gran Bretagna durante la fase di preparazione dell’attentato.

Di più, Hashem si è detto al corrente di tutti i dettagli dell’azione condotta da Daesh e di aver lasciato la Gran Bretagna lo scorso 16 aprile e da allora di essere sempre stato in contatto con il fratello. Una confessione piena, perfetta, inequivoca (mancava solo che si attribuisse la responsabilità per Ustica e l’omicidio di Kennedy) che va a confermare le varie tesi avanzate dalle autorità britanniche, dopo che quelle statunitensi e francesi ci hanno messo del loro – con strane fughe di notizie – per rafforzare la narrativa. Ha colpito Daesh, attraverso un 23enne che ha massacrato delle bambine alla fine di un concerto, siamo in guerra.

Nel frattempo: “(ANSA) – ROMA, 25 MAG – La polizia di Manchester ha interrotto con gli Usa la comunicazione delle informazioni sull’attentato di due giorni fa dopo la pubblicazione dei ‘leak’ sull’inchiesta da parte della stampa statunitense. Lo afferma la Bbc”. Magicamente, non solo la NATO entra nella coalizione anti-Isis ma, cosa più importante, il ritorno all’efficienza delle autorità libiche conferma che Daesh è presente nel Paese, quindi occorrerà intervenire. E cosa è accaduto in Libia non più tardi di 13 giorni fa? Decine di combattenti sono rimasti uccisi negli scontri ripresi nel Sud tra le forze del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’Est del Paese e alleato di Vladimir Putin e quelle di Misurata, fedeli al governo di Tripoli del premier Fayez al Sarraj.

Stando alle ricostruzioni fatte dai media libici, gli uomini di Misurata della Terza Forza, insieme alle Brigate di Difesa di Bengasi, hanno conquistato il controllo della base aerea Brak Al-Shati, situata 60 chilometri a nord di Sebha, al termine di violenti scontri con gli uomini dell’Operazione Dignità di Haftar.Il sindaco di Brak al-Shati ha riferito di almeno 74 morti al quotidiano libico Alwasat ma, stando al “Libya Herald”, sarebbero 130 i soldati di Haftar rimasti uccisi, alcuni dei queli giustiziati. Il presidente del parlamento di Tobruk, Aquilah Saleh, ha annunciato tre giorni di lutto per “commemorare le vittime del massacro di Brak al-Shati”.

Ecco cos’è la Libia davvero: un Paese in piena guerra civile destinato ora a diventare ufficialmente il prossimo proxy nella guerra per il nuovo equilibrio mediorientale. Non potendo sfidare apertamente l’egemonia russa in Siria, si aprono altri fronti. L’Iraq dove, con timing meraviglioso, Amnesty International ci fa capire che armi USA per 1 miliardo di dollari di controvalore sono finite probabilmente nelle mani sbagliate e che, di fatto, l’Isis potrebbe essere stato l’involontario beneficiario di quell’armamento. Casualmente, sta per cadere Mosul e con essa i suoi segreti, custoditi dai miliziani che ancora resistono e da chissà quali carte e documenti: meglio dire subito che, se si troveranno armi di fabbricazione USA, queste erano destinate ai curdi buoni. I quali, però, sono anche un po’ coglioni e se le sono fatte fottere. Servirà, a questo punto, sbloccare in fretta il carico di armamento pesante per l’YPG in Siria già decido da Donald Trump, con enorme scorno da parte della Turchia e per i miliziani curdo-iracheni. Ma roba grossa, armi serie: guardate,

sempre per coincidenza, un futuro Kurdistan unito a quale Paese si contrapporrebbe e farebbe da barriera. Che caso. E poi la Libia, dove la presenza radicata di Daesh è confermata dalla “rete” dell’attentatore di Manchester, l’assassino di bambine innocenti. Ieri, guarda caso, in contemporanea con le notizie che arrivavano da Tripoli, il sempre preciso e puntuale “New York Times” pubblicava le foto di particolari dell’ordigno usato, immagini scattate sul posto dell’attacco. Da chi? E la polizia britannica ha lasciato che un fotografo entrasse in una scena del crimine – oltretutto di terrorismo – per scattare fotografie di prove così sensibili? Le quali, ovviamente, non vengono pubblicate da giornali inglesi ma dal principale motore della campagna per il Russiagate, insieme al “Washington Post”.

Quanti puntini da unire, quante storie diverse – però – se si sbaglia a seguire la sequenza. Cosa che magari ho appena fatto anch’io. Ma non credo: a Manchester, l’Isis ha ammazzato bambine innocenti, spezzato il loro sogno di vita e di gioia. Ci sono le prove: le hanno gli americani, i francesi e ora anche i libici, tramutatisi in un batter d’occhio da ispettore Clouseau in Sherlock Holmes.

Le hanno i britannici, magari diverse da quelle della narrativa ma poco importa: la famiglia Abedi è il capro espiatorio perfetto, c’è anche la confessione (immagino ottenuta con la massima tutela dei diritti del fermato, come chiedono sempre i pallemosce al soldo di Soros quando Putin ferma Navalny o i suoi sodali) del fratellino piccolo, ottenuta nel tempo che si impiega per bere un caffè. Ora ci penserà la NATO a vendicare le bimbe di Manchester, ovunque si annidi l’Isis. Il fatto che questi proliferi sempre in aree sensibili geopoliticamente e ricche di petrolio, è l’ennesima casualità e coincidenza che non dobbiamo scambiare per indizio, altrimenti siamo complottisti.

Caso chiuso, Salman Abedi – il presunto kamikaze – è l’esecutore materiale dell’attentato ed è, di fatto, alla macchia. Ma c’è la sua “rete”, che prova il coinvolgimento di Daesh. Punto. Non importa che, stando alla versione ufficiale, il ragazzo sarebbe andato in Libia per imparare a fabbricare la bomba con viti e chiodi e poi sia tornato a casa per portare a termine il suo piano: non esiste un tutorial on-line, visto che il mondo sta denunciando i rischi legati all’arruolamento e all’addestramento su Internet? E se come tutta la stampa del mondo ci ha detto, Manchester è la patria del jihadismo britannico, non c’è nessuno in tutta la città in grado di confezionare quello che, alla fine, altro non è se non l’ordigno usato dal FIS per gli attentati in Francia negli anni Novanta?


Pur essendo attenzionato da tempo e affiliato all’Isis, tu e la tua famiglia, vai allegramente avanti e indietro dalla Libia (passando forse anche dalla Siria, come ha fatto notare ieri il ministro dell’Interno francese e, alla luce della notizia della NATO nella coalizione anti-Isis, abbiamo capito il perché), facendoti tracciare? Già, perché il ragazzo era conosciuto e controllato: come mai non è stato fermato al suo ritorno in Gran Bretagna? Forse perché serviva che colpisse, affinché la grande macchina del warfare globale – oltretutto con lo scudo NATO – potesse mettersi in moto? Ora, poi, ci sarà la cortina fumogena dello scontro fra intelligence, tanto per dare l’idea che non ci fosse comunità d’intenti: sicuramente la polizia di Manchester, persone per bene, è incazzata nera ma a Westminster e Whitehall stanno solo recitando la parte con gli USA. E la gente non capirà, non si ribellerà, non chiederà conto?


Pronta l’altra narrativa: la famiglia dell’attentatore, tutta coinvolta, era fuggita dalla Libia di Gheddafi ed era stata accolta, a braccia aperte, in Gran Bretagna come richiedenti asilo. Di cosa parlerà la gente, di queste mille coincidenze tutte a favore della dottrina neo-con o unicamente del rischio terrorismo connesso agli sbarchi in atto, a vostro modo di vedere? Salman Abedi avrà anche attivato il detonatore – e non ci credo – ma se volete giustizia per le ragazzine di Manchester che vi hanno fatto vedere in tutte le salse e per ci vi siete commossi, chiedete conto a chi oggi si trova al Vertice atlantico di Bruxelles. I burattinai di questa nuova Pearl Harbor, forse, sono lì. Tutti in fila, pronte a combattere l’Isis per noi. E per i nostri figli. Ho il vomito.

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Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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