fonte: http://www.ilculturista.it/cultura/?cat=5
Lo Stato italiano ha speso, con la finanziaria 2009, 44 miliardi per l’istruzione pubblica. Andiamo a vedere che situazione si svilupperebbe se lo Stato decidesse di non occuparsi più di istruzione, e in che modo il
mercato reagirebbe a ciò. Innanzitutto si avrebbe una gran fioritura di scuole private, attratte dalla fetta di mercato che si aprirebbe. Scuole ovviamente a pagamento. In questa ottica lo Stato, lungi da intervenire direttamente nell’istruzione, si limiterebbe a pagare la retta della scuola privata agli studenti non abbienti (i fondi precedentemente utilizzati per la scuola pubblica sarebbero pienamente sufficienti). Il risultato sarebbe una forte competizione fra le scuole, che sarebbero votate all’efficienza. Ovviamente il gestore di una scuola, che ha interesse a che il servizio fornito sia efficiente, garantirebbe promozioni e incentivi agli insegnanti in base alla bravura e competenza, (a differenza dell’attuale scuola pubblica dove gli aumenti di stipendio sono in base all’anzianità), licenziando quelli non all’altezza. Il grande afflusso di denaro permetterebbe alle scuole di avere strutture all’avanguardia e di creare servizi aggiuntivi, come ad esempio centri sportivi. Per quanto riguarda la qualità delle scuole stesse, può essere valutata da società di auditing specializzate, e tale valutazione costituirà il criterio per l’assegnazione dei finanziamenti statali: gli istituti che non raggiungeranno determinati standard si vedranno tagliare i fondi. Un ulteriore incentivo. L’alternativa è quella di privatizzare la scuola dandola in concessione concorrente a società cooperative private, in modo che lo Stato possa subentrare (in questo caso sì) Qualora il privato decida di chiudere i battenti.
Ovviamente stiamo parlando di una riforma complessa, che comporterebbe anche una riforma della Costituzione: l’art. 33 stabilisce l’esistenza dell’istruzione pubblica e la mancanza di oneri per lo Stato riguardo quella privata. Si dovrebbe anche fronteggiare lo strapotere dei sindacati, e andare a cozzare contro la casta che da anni domina la scuola e la cultura in Italia: le scuole sono piene di ex-sessantottini che usano l’insegnamento per propagandare e imporre le loro idee. Proprio per salvaguardare il libero pensiero e impedire l’indottrinamento, la privatizzazione può essere un buon impulso. Ed è proprio sul piano del libero pensiero che spesso si impuntano gli apologeti dell’istruzione pubblica: ne è un esempio un discorso, citato ancora oggi, di Piero Calamandrei. Calamandrei immaginava uno scenario di finanziamento delle scuole private (orrore!) e vedeva in ciò un’avvisaglia di regime, perché a suo dire “La scuola di Stato è imparziale”. In realtà è evidente come la scuola pubblica sia sempre stata soggetta e manipolabile dal potere politico, infatti chi ha voluto inculcare delle determinate idee nelle masse (vedi fascismo) ha fatto fuori l’istruzione privata e utilizzato quella statale, perfettamente controllabile. La scuola pubblica costituisce un ottimo mezzo potenziale di persuasione ideologica; di questo non si è resa conto la sinistra che ha fatto sua l’idolatria dell’istruzione statale, nata durante il fascismo e persistente purtroppo in parte del centrodestra. Di fronte a questa problematica, un liberale non può rimanere indifferente, né può prendere una decisione ambigua che sostanzialmente non cambierebbe nulla. Per dare un impulso innovatore bisogna dichiararsi apertamente a favore dell’istruzione privata, e farlo in modo netto. Quando neanche i liberali o presunti tali credono nel mercato e nella concorrenza, non ci si può aspettare che cominci a crederci qualcun altro. Se vogliamo un futuro migliore per i nostri figli, la lotta contro l’intervento statale nell’istruzione è basilare per avere una società più liberale.