L’Italia a rischio downgrade “non-investment grade”

Moody’s che ha ventilato l’ipotesi di ulteriore declassamento del rating da Baa3 a Ba1, il tanto temuto non-investment grade:

La situazione economica e finanziaria italiana è molto delicata, ma non è qui che vogliamo ripercorrere tutti i decennali problemi del nostro sistema economico. Però vogliamo ugualmente fare il punto per capire in che direzione potremmo andare.

Da giorni si insegue un sinistro tam tam mediatico sul rating italiano. Come sapete Moody’s ha ventilato l’ipotesi di un nostro ulteriore declassamento, da Baa3 a Ba1, ovvero il tanto temuto non-investment grade. Cosa significherebbe per l’Italia scivolare in quella categoria? Il rischio è tutto nella definizione: non-investment, in altre parole agli investitori istituzionali sarebbe precluso l’investimento in titoli di Stato Italiani. E purtroppo nemmeno la BCE potrebbe più trattare i nostri titoli.

Per inciso, occorre dire che tra le principali agenzie di rating, soltanto Moody’s ha un outlook negativo sull’Italia. Fitch e S&P al momento hanno outlook stabili e rating più alti rispetto a Moody’s (attenzione però perché le scale usate dalle tre agenzie sono differenti).

Il 19 maggio prossimo venturo, Moody’s pubblicherà il nuovo report con la possibile revisione del rating sull’Italia. Dunque cosa è successo in questi giorni? Agenzie giornalistiche americane, molto informate, avrebbero messo gli occhi su un report interno di Moody’s che, in poche parole, anticipa quanto accadrà a maggio. Le motivazioni sono (ahinoi) sempre le stesse: crescita bassa, costo del debito alto e anzi, adesso ancora più alto. A queste si aggiunge però un nuovo aspetto: l’incapacità italiana di portare a compimento il PNRR.

In questo contesto estremamente complesso, potrebbe essersi inserito il viaggio di Giorgia Meloni a Londra, nella City. Al di là dell’agenda ufficiale, la finalità potrebbe essere stata una moral suasion sugli investitori internazionali, direttamente dal cuore nevralgico della principale piazza finanziaria. Le sfide (opportunità e minacce) sono tutte nel breve e medio periodo: PNRR, MES, scostamento di bilancio, piano di rientro del debito (nuovo Patto di stabilità). Dall’altra parte, perché secondo il nostro gruppo sono chiaramente oggetto di scambio, troviamo la crisi migratoria in corso (e il peggio potrebbe arrivare da qui all’inizio dell’estate, senza accordi economici rapidi con almeno la Tunisia) e la guerra in Ucraina. In particolare per quest’ultimo tema, non sfugge la particolare iperattività del nostro governo.

Per quanto riguarda le nuove regole del Patto di stabilità (che dovrebbero entrare in vigore dal primo gennaio 2024), l’Italia potrebbe dover rientrare dal proprio debito di una cifra tra gli 8 e i 15 miliardi di euro all’anno, per una durata di 7 anni o di 4. Qui la discriminante è tra i paesi con debiti più sostenibili e paesi fortemente indebitati. Nel nostro caso il piano di rientro non sarebbe su 4 bensì su 7 anni. Stiamo comunque parlando di complessivi circa 60 miliardi di euro (e già abbiamo una mezza idea di dove andranno a recuperare tali cifre, spoiler: no, non dagli armamenti).

Un’ultima nota a margine. Il giudizio “junk” di una sola agenzia di rating non è sufficiente a bloccare tutti gli investimenti, infatti è necessario che il giudizio “junk” sia unanime per tutte e tre le agenzie. Questo ulteriore “margine” potrebbe concedere ancora un po’ di tempo al governo Meloni per poter portare a termine gli interventi sul cuneo fiscale.

Sia come sia, l’Italia deve tornare a crescere, diversamente l’unico aggiustamento possibile sarà di natura finanziaria e a quel punto sì, seguiremo la strada già percorsa dalla Grecia.

@GeopoliticalCenterfb

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