L’omicidio di Brian Thompson: l’ombra oscura di una logica insana che consacra il profitto infinito a legge dell’esistenza

Ho appreso solo di recente il movente dell’omicidio di Brian Thompson, amministratore delegato di un’impresa sanitaria. Pur condannando senza esitazione un gesto così drammatico, mi ha lasciato sgomento venire a sapere che l’assassino ha motivato il suo gesto insano per non aver ottenuto, dall’azienda di Thompson, un farmaco salvavita.

Quindi l’omicidio non rappresenta solo un episodio di ordinaria violenza, ma è piuttosto l’epilogo drammatico di un sistema che, pur di mantenere alti margini di profitto, giunge a sfruttare la sofferenza umana.

L’uomo accusato del delitto, strozzato dai debiti e dall’incertezza del futuro, pare abbia individuato proprio in Thompson, e nel rifiuto di un trattamento medico essenziale da parte della sua azienda, il responsabile della propria disperazione. Ecco dunque che la tragedia di singoli diviene simbolo di un malessere globale.

Non si tratta soltanto di un caso circoscritto agli Stati Uniti: rispecchia, in verità, un atteggiamento tristemente diffuso su scala internazionale, frutto di un certo “spirito globalista” in cui il mercato e il tornaconto economico hanno la precedenza sui bisogni reali delle persone.

In America, l’assistenza sanitaria somiglia più a un commercio spietato che a un servizio volto al bene comune: i malati finiscono schedati come cifre di profitto su tabelle contabili. Nel contempo, realtà come Russia e Cina — spesso dipinte come minacce da chi sbandiera la propria “superiorità” in fatto di libertà concesse — continuano, con tutti i loro limiti, a considerare la sanità un patrimonio pubblico e non un’opportunità di guadagno. Il confronto, per quanto imperfetto, appare lampante e ci pone interrogativi che non possiamo eludere.

Colpisce poi l’ipocrisia di chi, negli Stati Uniti, reagisce al delitto blindando ancora di più i propri dirigenti, come se la proliferazione di misure di sicurezza potesse risolvere la malattia intrinseca di un sistema basato sul profitto illimitato.

Lungi dal porsi domande sull’origine di tale disperazione, si rafforzano le roccaforti del potere, quasi si volesse reprimere la domanda di significato e di giustizia che emerge dalle periferie umane.

Eccoci davanti a un meccanismo d’estorsione, ammantato di buone intenzioni e slogan: “business as usual”, mentre i deboli, gli umili, restano imbrigliati in un sistema che nega loro cure essenziali e prospettive di riscatto. Non è un mercato libero, bensì un mercato dominato dalla libertà di pochi a danno di tanti.

Come se non bastasse, la smisurata ambizione del cosiddetto “Impero” di imporsi come egemone politico ed economico si riflette sulle politiche interne. Basti pensare alle immense risorse destinate a guerre interminabili, mentre si trascura la costruzione di una sanità davvero accessibile.

Quanto è stridente il contrasto: si sarebbero potute creare solide reti di protezione sociale, a tutela delle fasce più fragili, e invece si moltiplica la disperazione — sia dei cittadini che vedono negata la propria dignità, sia di chi, privo di speranza, cerca un capro espiatorio.

La morte di Brian Thompson, tragedia innegabile, non è che la punta di un iceberg. L’ingiustizia profonda sta in un apparato economico che genera tanto i carnefici quanto le vittime, costringendoli a recitare ruoli tragicamente intrecciati.

E ora la domanda che ci tocca nel profondo — e che io mi sento di rivolgere a tutti — è questa: fino a che punto può spingersi una società che misconosce il valore infinito della persona, elevando il profitto a idolo supremo? Può reggersi un mondo in cui l’uomo vale meno dei rendiconti trimestrali?

Ecco, allora, che ci ritroviamo a ripetere che il fine ultimo non può essere il guadagno, ma il bene della persona nella sua interezza: solo una concezione della vita come dono, come relazione con il Mistero che ci chiama all’esistenza, può rimettere il rapporto economico al suo posto, al servizio dell’uomo. Altrimenti, rimaniamo schiavi di una logica disumana, che partorisce violenza e distrugge la speranza. E la morte, in questo contesto, non è che l’ombra di un sistema che ha smarrito il significato profondo dell’esistenza.

Se vogliamo ricostruire, dobbiamo partire da questa domanda inesauribile: qual è la natura e il destino di ogni essere umano? Senza una risposta carica di verità e di bene, ripeteremo infinite volte lo stesso tragico copione.

Sembra comunque che stiamo andando addirittura oltre: si fa sempre più strada in Europa l’idea che, per far riprendere l’economia e ricominciare a crescere, si debba dar corso a una guerra totale, in cui le popolazioni siano completamente coinvolte, come è stato fatto in Medio Oriente.