Gli sponsor dell’ISIS oscurano la TV Al Manar
La televisione di Hezbollah viene espulsa dal satellite controllato dai sauditi, mentre la Turchia incarcera i giornalisti. La cosa riguarda la nostra libertà [Pino Cabras]
Ora tocca alla TV libanese Al Manar, subire un durissimo colpo che viene da chi protegge l’ISIS-Daesh. L’emittente di Hezbollah, il movimento di resistenza sciita che negli ultimi mesi ha inflitto numerose sconfitte sul campo ai miliziani di Daesh e di Al-Nusra, è stata oscurata dalla piattaforma satellitare della Lega Araba, Arabsat, che ha sede in Arabia Saudita e trasmette canali di venti paesi arabi. L’interruzione è avvenuta senza preavviso e senza spiegazioni, violando clamorosamente i contratti. Gli sponsor dell’ISIS giocano ormai a carte scoperte e non rispettano più nessuna regola, né contrattuale, né legale-costituzionale, né militare: non vogliono fra i piedi un giornalismo che li ostacoli. Si assiste a una vera accelerazione negli ultimi mesi (specie in Turchia, ma non solo): censure, interventi squadristici contro le redazioni, carcere per i direttori dei giornali, canali TV fatti chiudere a forza, centinaia di cronisti licenziati. Qualche giornalista muore in circostanze controverse, e sempre dopo minacce di morte.
Quasi nessuno in Occidente conosce la vicenda della giovane Serena Shim, dell’iraniana Press TV, morta un anno fa in uno strano incidente dopo essere stata accusata dai servizi di sicurezza turchi di essere una spia e minacciata di morte, a seguito di un suo servizio che denunciava la collusione del governo turco con l’ISIS. In particolare, aveva osato svelare il caso degli autocarri carichi di combattenti dell’ISIS che oltrepassano il confine tra Turchia e Siria, spesso con le insegne di organizzazioni non governative o dell’ONU.
In Occidente l’unico caso che sta iniziando a bucare l’indifferenza riguarda due giornalisti, Can Dündar, direttore del quotidiano di Istanbul Cumhuriyet, e il capo-redattore del suo ufficio di Ankara, Erdem Gül, entrambi in prigione dal 26 novembre. Anche per loro l’accusa è spionaggio e terrorismo. Avevano semplicemente pubblicato le prove che dimostravano che i servizi segreti turchi consegnano tante armi ai gruppi islamisti in Siria. Eppure, a parte qualche appello, la massa che diceva “Je suis Charlie Hebdo” ora non dice nulla. Così come difficilmente dirà qualcosa sul caso di Al Manar.
Perché dunque questa accelerazione? Il fatto è che l’intervento militare russo in Siria ha messo a nudo tutte le ipocrisie occidentali e mediorientali sulla questione ISIS: i suoi tanti sponsor non possono più nascondersi, e perciò reagiscono cercando di silenziare le testate che non controllano.
È in questo quadro che ora le petro-monarchie vogliono chiudere la bocca ad Al Manar. Ci aveva provato già Israele, nel 2006: durante l’invasione del Libano l’aviazione israeliana colpì ripetutamente con missili la sede della TV a Beirut. L’attacco del 16 luglio distrusse l’edificio di Al Manar, ma l’interruzione durò appena dieci secondi: la redazione si era preparata a trasmettere in emergenza da località sconosciute e gli israeliani non potevano far nulla per controllare la piattaforma satellitare ArabSat. Solo che ora ci pensano direttamente i piranhas di Riad.
Ai dirigenti sauditi non stavano piacendo i continui reportage di Al Manar dallo Yemen, il paese che da mesi subisce l’aggressione di Arabia Saudita, Qatar e altri paesi loro clienti e alleati: i continui bombardamenti hanno già causato migliaia di morti civili, centinaia di migliaia di sfollati, e dieci milioni di persone senza più acqua potabile (metà della popolazione yemenita). Si tratta di una catastrofe originata da veri e propri crimini di guerra, alimentati da un’enorme quantità di bombe che proviene anche dall’Italia. La redazione di Al Manar non solo mette in prima serata questa guerra orrenda, ma è capofila di una federazione di decine di canali mediorientali (anche dello Yemen) che stanno formando sul campo centinaia di videoreporter in grado di confezionare eccellenti servizi, spesso girati con un semplice telefonino.
Tuttavia, la quasi totalità dei cittadini occidentali non sa nulla di queste guerre né di questo giornalismo. I padroni della comunicazione europei, per esempio, nel 2012 cacciarono dalla piattaforma Eutelsat i canali satellitari iraniani, senza che i giornalisti e i politici europei trovassero nulla da obiettare. La Francia aveva proibito Al Manar già nel 2004, assimilando la redazione a un gruppo terroristico e accusandola di antisemitismo. Altri paesi europei seguirono.
Già prima ad Al Manar era stato precluso il sistema statunitense Intelsat.
Rimaneva Arabsat, attraverso cui Al Manar ha raggiunto ogni giorno un pubblico pan-arabo di decine di milioni di telespettatori, ponendosi come la più combattiva comunicazione anti-ISIS esistente. In un mondo normale sarebbero i primi alleati di chi volesse davvero estirpare Daesh. Invece l’Europa li ha censurati da tempo, mentre ora – improvvisamente – li censura il sistema di alleanze che copre l’ISIS.
Chi ha a cuore la libertà di parola deve capire ora la gravità di questo fatto, che ricade anche sull’Occidente. Negli ultimi dieci anni si erano formati nuovi equilibri nell’informazione globale. Vari paesi hanno proposto con forza una propria visione autonoma in contrasto al flusso informativo dominato dalle potenze anglosassoni. Le emittenti emergenti (la libanese Al Manar, l’iraniana Press TV, la russa RT, la venezuelana Telesur, ecc.) hanno partecipato con un punto di vista certo “di parte”. Ma per l’appunto grazie a questa parzialità, mostrano al mondo interessi “altri”, e conquistano un nuovo pubblico, ormai stufo dell’informazione prodotta dalla fabbrica dei media nostrana, al netto degli ingenui che pensano che la CNN e altri giganti mediatici siano “neutrali”.
Se queste voci “altre” non useranno un sistema autonomo di trasmissione, cioè se non trasmetteranno con propri satelliti, rimarranno sempre vulnerabili rispetto a chi combatte la guerra da un’altra parte della barricata e può decidere di spegnerli da un momento all’altro. Questo discorso vale anche per i canali russi, che sono già entrati nel mirino della NATO e dei suoi maggiordomi. Si parla ormai apertamente di misure per bloccare l’informazione proveniente da un mondo considerato nemico. Qui, nell’Occidente che presume ancora di essere il luogo del “libero” confronto delle idee.
Un imperdibile “manuale” sull’argomento lo ha scritto Roberto Quaglia, converrà padroneggiarlo.
Siamo appena agli inizi di una dittatura che usa la lotta all’ISIS per giustificare restrizioni alla libertà e censure, ma che poi usa queste restrizioni e censure a danno di chi combatte davvero l’ISIS. Sembra un paradosso, ma è il ritratto del doppiogiochismo che sta affossando le democrazie.
Basterebbe poco, con un certo clima di allarme bellico, per “erdoganizzare” e “saudizzare” anche il sistema europeo, che ormai è sempre più istituzionalmente pronto a questa pericolosa mutazione.
Dobbiamo capire da subito che il punto di vista altrui è la garanzia del punto di vista nostro. Difendere Al Manar ed esigere che la TV non sia oscurata è una questione che ci riguarda da vicino.
fonte: di Pino Cabras. – Megachip
di seguito, sullo stesso argomento, l’intervista di al Manar TV a Pino Cabras :
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