Siria. La precarietà e la morte imposta dall’Unione Europea
Oggi la UE ha rinnovato le sanzioni alla Siria. Per rinnovarle non c’è stato nessun dibattito democratico. Per i vertici europei è una cosa di poco conto, non avviene nessun dibattito, i ministri degli esteri spesso non si riuniscono neanche materialmente. Non conosco la modalità usata questa volta per il rinnovo ma finora la caratteristica che l’ha contraddistinto è stato l’automatismo.
Per opporsi bisognerebbe essere eroici ma a proprio rischio e pericolo: l’UE pretende che ogni singolo paese membro dia un placet formale ad ogni sua decisione in politica estera altrimenti entrano in atto tacite ritorsioni o penalizzazioni.
Particolare attenzione presterei al fatto che il ministro degli esteri Mogherini giustifica falsamente le sanzioni dicendo che esse non toccano il popolo siriano ma “personalità del regime”.
Questa affermazione è del tutto falsa per due ragioni. La prima ragione è che – come potrete vedere nel breve testo esplicativo di seguito – le sanzioni portano nocumento anche direttamente alle attività economiche. Inoltre, anche le sanzioni agiscono come le ‘scatole cinesi’, perché comminando sanzioni – come è successo al ministro dell’energia – si infligge restrizioni anche a tutto ciò che il soggetto colpito sovrintende: per quando possa sembrare incredibile è così ma naturalmente questo funge allo scopo, serve a salvare l’apparenza.
Infine, vorrei far notare come frequentemente si parla di ‘regime ‘ siriano . Così facendo ogni qualvolta si parla di crisi siriana – prima di ragionarci sopra e di valutare gli avvenimenti – si infligge un dato giudizio preventivo instillato dalla semantica. In questo modo la creazione di una neo-lingua agisce subdolamente nei report giornalistici, articoli, interviste di leader europei, documenti. Se si cercano però le vere ragioni di queste accezioni negative, esse sono irreperibili e soprattutto sproporzionate, rispetto al trattamento riservato a stati di gran lunga più autoritari della Repubblica Siriana, come l’Arabia Saudita (che per ironia fa parte invece dei paesi democratici della colaizione occidentale). Quindi, riservare l’accezione ‘regime’ per indicare il governo siriano (multipartitico, con una Costituzione ed un parlamento) è cosa veramente ipocrita.
Le sanzioni contro un paese che lotta contro ISIS e al Qaeda
Le prime sanzioni contro la Siria risalgono al 9 maggio 2011; il 23 settembre 2011, Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea, presenta una nuova serie di sanzioni, di taglio prevalentemente economico: oltre all’embargo del petrolio, anche il divieto alle aziende europee di qualsiasi intervento nell’industria petrolifera siriana (pur se finalizzato al ripristino della funzionalità degli impianti colpite da atti bellici o terroristici); il divieto di costituire joint-ventures con aziende siriane; il divieto di fornire alla Banca centrale siriana banconote e monete prodotte nell’UE; il congelamento dei beni di 18 entità bancarie e commerciali siriane aventi sede in paesi dell’Unione Europea; il divieto di fornire coperture assicurative per contratti stipulati con aziende siriane.
Nell’aprile 2012 le sanzioni conoscono un ulteriore inasprimento con il divieto di esportare in Siria prodotti e tecnologie “dual use”, inseriti – cioè – nel famigerato Regolamento N. 1334/2000 del Consiglio dell’Unione Europea che dovrebbe elencare prodotti e tecnologie utilizzabili per costruire manufatti sia ad uso civile che militare. In realtà l’inserimento in questo Regolamento di componenti quali, ad esempio, alcuni tipi di circuiti elettronici (oggi comunemente inseriti nella stragrande maggioranza delle apparecchiature) impedisce di fatto (anche per il lunghissimo iter burocratico che dovrebbero seguire le aziende) l’esportazione in Siria di ricambi per alcune produzioni, quali quelle farmaceutiche o alimentari.
Ma vediamo da vicino gli effetti delle sanzioni che – secondo la Ashton avrebbero dovuto “aiutare il popolo siriano a realizzare le sue legittime aspirazioni”. Uno degli studi più approfonditi è “The syrian catastrophe: socioeconomic monitoring report first quarterly report (january – march 2013) prodotto dal Syrian Centre for Policy Research (una struttura accademica che, tra l’altro, non può certo dirsi “Pro-Assad”).
Qualche dato da questo documento.
L’economia siriana, sostanzialmente in ascesa fino ai primi mesi del 2011, (l’ultimo decennio registrava un tasso medio di crescita del PIL del 4,45% all’anno), già nella seconda metà di quell’anno (anche, per l’instabilità dovuta agli scontri militari tra bande di “ribelli” ed esercito regolare) conosce una contrazione del 3,7% ; nel gennaio 2012 la contrazione, rispetto all’anno precedente sale al 18,8 per cento, nel dicembre la contrazione arriva all’81% con un tasso di disoccupazione al 35% (contro il 10,6 pre crisi), mentre sono 3 milioni coloro che non hanno più un reddito.
Bloccate le esportazioni di petrolio da parte dello stato siriano (ma non da parte dei “ribelli”) e con le aziende impossibilitate a rifornirsi di pezzi di ricambio, quello che era uno dei paesi più floridi del Medio Oriente precipita in un abisso di miseria.
Tutto questo è accaduto solo nei primi tre anni dall’inizio della costituzione di un coordinamento di stati che subdolamente , prendendo il nome di ‘amici della Siria’ hanno inflitto al popolo siriano la guerra, la fame e la disperazione. *
Successivamente di anno in anno le sanzioni sono state progressivamente aumentate. Qui è l’elenco aggiornato al 2015: in questo documento a pagina 65, l’elenco del Consiglio Europeo delle sanzioni alla Siria.
Vale la pena ricordare che in occasione del rinnovo del 2016, ci fu una grande mobilitazione dei vescovi siriani che trovarono appoggio anche da alcuni partiti di opposizione nel Parlamento italiano (a fine 2015 sono state presentate due mozioni da parte della Lega e del M5S). In parlamento fu ascoltato anche il vescovo Tobji (QUI il video) che ebbe unanimità di consensi ma purtroppo (ed inaspettatamente) senza conseguenze politiche. All’appello dei vescovi siriani, lanciato anche sotto forma di petizione lanciata su Change Org, si unì anche il premio Nobel Mairead Maguire .
Questi tentativi sono stati tutti vani, nessun effetto, non fu permesso alcun dibattito parlamentare. In sede europea non si reputò necessaria neanche la benché minima discussione tra i ministri degli esteri. Sì, l’embargo che ha causato più morti della guerra e che colpisce soprattutto la popolazione civile non è stato oggetto di nessuna valutazione, di nessuna discussione.
Nel 2017 ulteriori sanzioni sono state aggiunte ai danni della Siria. In quell’occasione nella città di Bruxelles, il patriarca siro-cattolico Ignatius Joseph III Younan lanciò un vibrante appello affinché l’Unione Europea mettesse fine alle sanzioni contro la Siria che colpiscono soprattutto il popolo siriano. L’occasione fu un incontro organizzato da Aiuto alla Chiesa che Soffre e dalla Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea. Il presule fece fatto appello ai politici europei ed ai mezzi di comunicazione per dare voce alla sofferenza del popolo siriano: “Vi prego di farvi portavoce di questo messaggio presso i vostri governi: a pagare le conseguenze delle sanzioni non è la classe politica, ma la povera gente!”.
Nel rinnovo del sanzioni per l’anno 2018 sono state aggiunti 240 persone e 67 enti, tra i quali la banca centrale, la compagnia petrolifera statale e i ministeri dell’interno e della difesa. I nomi dei ministri compaiono tra quelli ai quali sono stati congelati i beni e ai quali non sarà permesso di avere rapporti con le istituzioni europee.
(QUI tutto il comunicato su TPI)
Le sanzioni non servono il fine che dicono di perseguire: portano conseguenze atroci nella vita dei più deboli ed indifesi. La mancanza di merci in entrata, il gasolio, le sementi, i farmaci, i pezzi di ricambio per quel che rimane dell’industria, precludono anche la possibilità di un’economia di sussistenza ed hanno consegnato milioni di persone alla dipendenza degli aiuti umanitari.
In definitiva, le privazioni derivanti dalle sanzioni, lungi dal realizzare il proposito dell’occidente di indebolire l’apparato militare governativo (che è l’unico che insieme alla Russia lotta contro i terroristi), si sommano alle privazioni della guerra in corso da 8 anni che gravano innanzitutto sulla società civile.
A fronte di questa realtà ampiamente testimoniata, la risposta del potere alle giuste istanze di interruzione delle sanzioni, è stata di norma il fastidio. Né la Ue, né i governi nazionali ritengono ormai di dover dare alcuna risposta alle numerose interrogazioni parlamentari ed iniziative portate dalla società civile ed all’evidenza. L’atteggiamento di noncuranza ed il disprezzo per gli effetti che le sanzioni hanno sul popolo siriano, erano già molto chiari, quando i ministri degli esteri della UE dal 2012, sono chiamati a discutere il rinnovo delle stesse. Da allora, i responsabili della UE optano per il rinnovo automatico, esprimendo il proprio consenso senza alcuna discussione. In particolare in occasione del rinnovo delle sanzioni nel 2016, i ministri degli esteri non si sono neanche incontrati ritenendo la posta elettronica un metodo del tutto sufficiente per rinnovare un simile provvedimento .
Con estrema noncuranza e disprezzo per i popoli europei, ancora una volta oggi queste sanzioni – che equivalgono ad uno stato di assedio e di guerra – sono state reiterate dimostrando una chiara sospensione della democrazia.
Quello che più avvilisce e che nessuno risponde agli uomini, nessuno più si cura di rispondere alle domande vere, come quelle del vescovo Kazen di Aleppo: http://it.radiovaticana.va/news/2015/03/04/siria_potenze_straniere_ci_pianificano_dallesterno/1126930 . Perchè? Perchè egli non fa parte della ‘filiera’.
patrizio ricci @vietatoparlare