[ad_1]
I primi sondaggi in vista delle elezioni legislative francesi suggeriscono un Macron che non ottiene la maggioranza assoluta in Parlamento, e sarebbe costretto o ad allearsi con quello che resta dei socialisti (che come sta avvenendo ormai ovunque in Europa risulterebbero decimati) in un governo di coalizione, o a formare un governo di minoranza, come già successo due volte nella storia della Quinta Repubblica, o ad accettare di divenire un Presidente “azzoppato” dalla coabitazione. Questo articolo di Prospect ipotizza i diversi scenari spiegando i meccanismi del sistema politico francese e del singolare fenomeno della coabitazione.
Di Andrew Knapp, 8 maggio 2017
Senza una maggioranza parlamentare, il prossimo Presidente francese risulterà azzoppato
Emmanuel Macron sarà in grado di governare, o dovrà limitarsi a regnare? I poteri del Presidente, secondo quanto prevede la Costituzione della Quinta Repubblica – del 1958 – sono significativi, ma insufficienti a consentirgli di governare a suo piacimento. Per farlo, ha bisogno del sostegno di una maggioranza parlamentare, che Macron può ottenere, ma anche non ottenere, alle elezioni legislative, previste per l’11 e il 18 giugno.
La migliore guida ai poteri costituzionali del Presidente è l’esperienza di François Mitterrand nel 1986-1988 e 1993-1995 e di Jacques Chirac nel 1997-2002, quando hanno entrambi “coabitato” con maggioranze parlamentari ostili. In entrambi i casi, come la Costituzione prevede, il Presidente ha nominato il Primo Ministro, e gli altri Ministri su proposta del Primo Ministro. Però, dato che il Governo risponde al Parlamento, egli ha dovuto nominare un Primo Ministro designato dalla maggioranza all’opposizione e la Costituzione non dà al Presidente il diritto di licenziare il suo premier.
Secondo quanto prevede l’articolo 20 della Costituzione, è il Governo che “determina e conduce” la politica nazionale. L’apparato dei Comitati di gabinetto, e l’iter delle leggi in Parlamento sono gestiti dall’ufficio del Primo Ministro (Matignon – residenza ufficiale del Primo Ministro in Francia, NdvdE), non dall’Eliseo. In effetti, la politica interna della Francia risultava affidata a un Primo Ministro, a un Governo e a una maggioranza parlamentare in opposizione al Presidente. Il Presidente presiedeva le riunioni di Gabinetto, ma con una funzione meramente burocratica.
Essendo privo dei poteri di veto del suo omologo americano, il Presidente francese nella politica interna non ha altra funzione che di testimone critico. Mantiene un potere notevole solo negli affari esteri, in virtù del suo ruolo di Comandante in capo, Presidente del Consiglio di difesa nazionale, e garante dei trattati stretti dalla Francia, anche se in pratica è un potere condiviso con il Presidente del Consiglio in nome del principio della Francia che “parla con una sola voce”.
Dato che farebbe di Macron un Presidente azzoppato, la “coabitazione” è ovviamente il risultato cui aspirerebbero i Repubblicani, il partito conservatore francese. Il loro leader pro tempore, François Baroin, si è in effetti candidato come Primo Ministro, se il 18 giugno il suo partito dovesse vincere. Ma è una vittoria improbabile, tenuto conto che il candidato repubblicano François Fillon il 23 aprile è risultato vincitore in appena 52 dei 577 collegi elettorali. In più, i Repubblicani sono divisi al loro interno e devono ancora riprendersi dalla eliminazione di Fillon al primo turno.
In uno scenario più normale, la maggioranza parlamentare sostiene il Presidente, e in una certa misura deve la sua esistenza alla sua guida, come nel 1962-1986, 1995-97, e dal 2002. In queste condizioni il Presidente è effettivamente Capo dello Stato, Capo del Governo, leader non ufficiale della maggioranza parlamentare, e guida della politica nazionale. Sceglie il Primo Ministro e i Ministri tra i parlamentari, o tra esperti nelle diverse discipline, o tra i suoi consulenti, e può anche, in pratica, farli dimettere. Si trova in una posizione più forte rispetto al leader di una democrazia parlamentare, perché gode sia della certezza di restare in carica per cinque anni, sia del diritto illimitato di sciogliere l’Assemblea Nazionale, la camera bassa del Parlamento, e indire nuove elezioni, sia del potere di indire un referendum (teoricamente, su proposta del Governo), sia di ratificare i trattati internazionali.
Macron ha finora rifiutato di prendere in considerazione qualsiasi soluzione che non sia una maggioranza assoluta del suo partito En Marche!: a socialisti e conservatori che hanno mostrato interesse a offrirgli il loro sostegno è stato chiesto di lasciare prima il loro partito. Una maggioranza assoluta di En Marche! sarebbe particolarmente gradita al Presidente, dal momento che Macron stesso ha creato il suo partito. I suoi buoni risultati al ballottaggio – ben sei punti in più rispetto ai sondaggi usciti subito dopo il primo turno – potrebbero creare una dinamica che porti gli elettori a dargli la maggioranza.
E tuttavia, Macron il 23 aprile ha vinto in soli 230 collegi elettorali. Il primo sondaggio per le elezioni legislative, condotto da Opinion Way, suggerisce un terzo scenario, in cui En Marche! vince con la maggioranza relativa, ma non con quella assoluta. Stando a queste previsioni, En Marche! si aggiudicherebbe 249-286 seggi, i repubblicani 200-210, i socialisti, decimati, 28-43 seggi, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen 15-25 seggi, e l’estrema sinistra tra i sei e gli otto seggi. Questo costringerebbe Macron o a formare una coalizione, ovviamente con i rimasugli dei socialisti – cosa che decisamente preferirebbe evitare – o tentare un governo di minoranza. Una situazione simile si è presentata tra il 1958 e il 1962 e dal 1988 al 1993. In queste circostanze, il Presidente nomina liberamente il Presidente del consiglio e il Governo, che poi deve affrontare una continua battaglia per ottenere l’approvazione delle leggi, in genere appoggiandosi a maggioranze diverse sulle differenti questioni.
Alcune disposizioni costituzionali facilitano questa soluzione. Soprattutto, un Governo può essere rovesciato solo a maggioranza assoluta dei deputati dell’Assemblea Nazionale; le astensioni si contano come a favore del Governo. Inoltre, come prevede l’articolo 49-3, il Governo può porre la questione di fiducia su una proposta di legge, facendo sì che passi automaticamente a meno che sia votata la sfiducia al Governo – e mettendo così i deputati di fronte a una scelta: o approvare la legge o rischiare il seggio (un voto di sfiducia potrebbe portare a elezioni anticipate). Inoltre, come prevede l’articolo 44, il Governo può evitare che le leggi siano modificate a forza di emendamenti fino a essere stravolte, forzando un voto sulla sua versione preferita di una proposta di legge. E in base all’articolo 38 può chiedere l’autorizzazione del Parlamento a legiferare per decreto, per un periodo limitato e in aree specifiche.
Nel loro insieme, queste disposizioni hanno consentito a dei governi di minoranza di funzionare, nel 1958-1962 e 1988-1993. Ma nel primo periodo, sotto Charles de Gaulle, i parlamentari erano stati disciplinati dai pericoli della guerra d’Algeria, che aveva già rovesciato la Quarta Repubblica, mentre nel 1988 i socialisti di Mitterrand erano appena sotto la maggioranza, con 276 seggi sui 289 richiesti. Inoltre, dal 2008, il ricorso all’articolo 49-3 è consentito solo per le leggi finanziarie e per un solo disegno di legge di natura non finanziaria per legislatura. Questa limitazione potrebbe rendere la vita molto più difficile a un Primo Ministro di Macron, rispetto a quanto non sia stato per quelli nominati da De Gaulle o da Mitterrand.
Raramente i francesi sono stati così disgustati dai loro politici, e prolungate manovre di partito legate a un Parlamento tenuto in sospeso potrebbero solo aggravare la situazione. Per questo motivo per Macron è auspicabile la maggioranza assoluta, per il suo bene e per quello della Francia. Anche così, il suo lavoro sarà abbastanza duro. (convinti che il bene di Macron non coincida affatto con quello del popolo francese, ci dissociamo da queste conclusioni, ndt.)
[ad_2]