Categories: Attualità

Mercoledì delle ceneri

Come forse sapete, sono un grande appassionato di T.S. Eliot, il poeta.
C’è una poesia che leggo una volta l’anno, in questo giorno. Si intitola Mercoledì delle Ceneri, Ash Wednesday.
La traduzione italiana che ho non mi ha mai soddisfatto. Così, con notevole incoscienza, vi presento la mia versione. Spero non vi dispiaccia troppo.

I

Perch’i’ no spero di tornar giammai
Perch’i’ no spero
Perch’i’ no spero di tornar
a desiderare questo dono d’uomo e quel fine d’uomo
io non mi sforzo più di sforzarmi verso cose così
(Perché l’aquila invecchiata distende le ali?)
Perché dovrei piangere
Il potere svanito del regno usuale?

Perch’i’ no spero di saper giammai
la gloria malata dell’ora positiva
Perch’i’ no penso
Perch’i’ so che non potrò sapere
il solo verace potere transitorio
Perch’i’ no posso bere
Là, dove alberi fioriscono, e sorgenti sgorgano, che niente v’è giammai.

Perché so che tempo è sempre tempo
e luogo sempre e solo luogo
e ciò che è attuale è attuale solo per un tempo
e solo per un luogo
Gioisco che le cose siano come sono e
rinuncio al volto benedetto
e rinuncio la voce
Perch’i’ no spero di tornar giammai
e quindi gioisco, dovendo costruire qualcosa
di cui gioire.

E prego Dio di avere pietà di noi
E prego ch’i’ possa dimenticare
Queste materie che troppo tra me discuto
Che troppo spiego
Perch’i’ no spero di tornar giammai
Lascia che queste parole rispondano
Per ciò ch’è fatto, che più non sarà fatto
Possa il giudizio non esser troppo pesante su di noi

Perché queste ali non sono più ali su cui volare
Ma solamente ale per battere l’aria
L’aria che ora è del tutto rada e arida
Più rada e più secca della volontà
Insegnaci ad avere cura e non curarci
Insegnaci a sedere fermi.

Prega per noi peccatori ora e nell’ora della nostra morte
Prega per noi ora e nell’ora della nostra morte

II

Signora, tre leopardi bianchi sedevano sotto un ginepro
Nel fresco del giorno, avendo mangiato a sazietà
Delle mie gambe mio cuore mio fegato e ciò che era contenuto
Nella vuota boccia del mio cranio. E Dio disse
Potranno queste ossa rivivere? Potranno queste
Ossa rivivere? E ciò che era stato contenuto
Nelle ossa (che erano già aride) disse stridendo:
Per la bontà di questa Signora
E per la sua amabilità, e per il fatto
che onora la Vergine in meditazione,
Noi splendiamo con brillantezza. E io che sono qui smembrato
Offro le mie azioni all’oblio, e il mio amore
alla posterità del deserto e al frutto della zucca.
E’ questo che raccoglie
Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le parti indigestibili
Che i leopardi rifiutano. La Signora è ritirata
in una veste bianca, in contemplazione, in una veste bianca.
Lasciate che la bianchezza delle ossa espii a dimenticanza.
Non c’è vita in loro. Come io sono dimenticato
E vorrei essere dimenticato, così vorrei dimenticare
così consacrato, concentrato allo scopo. E Dio disse
Profetizza al vento, al vento solamente perché solo
Il vento ascolterà. E le ossa cantarono stridendo
Col ritornello della cavalletta, dicendo

Signora dei silenzi
Calma e affannata
Lacerata e più intera
Rosa di memoria
Rosa di dimenticanza
Consumata e che dai vita
Ansiosa fonte di riposo
La singola Rosa
E’ ora il Giardino
Dove tutti gli amori finiscono
Tormento terminato
Di amore insoddisfatto
Il tormento più grande
Di amore soddisfatto
Fine del senza fine
Viaggio senza arrivo
Conclusione di tutto ciò
Che non si può concludere
Linguaggio senza parola e
Parola di nessun linguaggio
Grazia alla Madre
Per il Giardino
Dove tutto l’amore finisce.

Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e scintillanti
Siamo contente di essere disperse, facemmo poco bene una all’altra,
Sotto un albero nel fresco del giorno, con la benedizione della sabbia,
Dimenticandoci di noi e tra di noi, unite
Nella quiete del deserto. Questa è il paese che voi
vi spartirete tirando in sorte. E né divisione né unità
Importano. Questo è il paese. Abbiamo la nostra eredità.

III

Alla prima rampa della seconda scala
Mi voltai e vidi in basso
la stessa forma avvinta alla ringhiera
Sotto il vapore nell’aria fetida
lottare col diavolo delle scale che veste
il volto ingannevole di speranza e disperazione.

Alla seconda rampa della seconda scala
li lasciai avvinghiati, voltati in basso,
Non c’erano più volti e la scala era buia,
Umida, scheggiata, come la bocca bavosa di un vecchio, oltre riparo,
O la gola dentata di uno squalo antico.

Alla prima rampa della terza scala
C’era una finestra a fessure panciuta come il frutto del fico
E oltre i fiori di biancospino e una scena di pascolo
La figura dalle ampie spalle vestita in blu e verde
Incantava maggio con un antico flauto.
Dolce è chioma mossa, bruna chioma sulla bocca mossa,
Lillà e chioma bruna;
Distrazione, musica del flauto, gradi e gradini della mente sulla terza scala,
svanendo, svanendo; forza oltre speranza e disperazione
arrampicandosi sulla terza scala.

Signore, non sono degno
Signore, non sono degno
Ma dì solo una parola.

IV

Chi camminava tra viola e viola
Chi camminava attraverso
Le varie fila di verde diverso
Procedendo in bianco e azzurro, di Maria il colore,
Di piccole cose parlando
in ignoranza e conoscenza dell’eterno dolore
Chi si muoveva tra gli altri mentre camminavano
Chi fece quindi forti le fontane e le sorgenti rinfrescando

Fece fredda la roccia arida e fece solida la sabbia
Nell’azzurro della speronella, azzurro del colore di Maria
Sovegna vos

Qui sono gli anni che camminano attraverso, portando
via i violini e i flauti, confortando
Uno che si muove nel tempo tra il sonno e la veglia, vestendo

Luce bianca piegata, su di lei drapeggiata, piegata.
I nuovi anni camminano, riparando
attraverso una nube brillante di lacrime, gli anni, riparando
Con un nuovo verso la rima antica. Redimi
Il tempo. Redimi
La visione non letta nel sogno più alto
Mentre unicorni ingioiellati trascinano il carro dorato.

La sorella silenziosa velata in bianco e azzurro
Tra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino,
Il cui flauto è senza fiato, chinò la testa e fece un cenno ma non disse parola

Ma la fontana sorse su e l’uccello cantò giù
Redimi il tempo, redimi il sogno
La promessa della parola non udita, non detta

Fino a che il vento scuota mille sussurri dal tasso

E dopo questo nostro esilio

V
Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa
Se la non udita,  non detta
Parola è non detta, non udita;
E’ ancora la parola non detta, la Parola non udita,
La Parola senza una parola, la Parola dentro
Il mondo e per il mondo;
E la luce rifulse nelle tenebre e
Contro la Parola il mondo disancorato ancora roteava
Attorno al centro della Parola silenziosa.

Popolo mio, che cosa ti ho fatto.

Dove potremo trovare la parola, dove la parola
risuonerà? Non qui, non c’è silenzio bastante
Non sul mare o sulle isole, non
Sul continente, nel deserto o nelle terre piovose
Per coloro che camminano nelle tenebre
Sia nel tempo del giorno che nel tempo della notte
Il giusto tempo e il giusto luogo non sono qui
Nessun luogo di grazia per coloro che evitano la faccia
Nessun tempo per esultare per chi cammina tra il rumore e va la voce a negare.

La sorella velata pregherà per
Coloro che camminano nelle tenebre, chi Ti ha scelto e Ti si oppone,
Coloro che sono lacerati dal laccio tra stagione e stagione, tempo e tempo, tra
Ora e ora, parola e parola, potere e potere, coloro che attendono
Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata
Per i bambini alle porte
Chi via non andrà e pregare non potrà:
Prega per coloro che scelsero e si oppongono.

Popolo mio, cosa ti ho fatto.

La sorella velata pregherà tra i sottili
alberi di tasso per coloro che lei offendono
E sono terrorizzati e arrendere non si possono
E affermano davanti al mondo e negano tra le rocce
Nell’ultimo deserto tra le ultime azzurre rocce
Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
Dell’aridità, sputando dalla bocca il seme di mela avvizzito

Popolo mio.

VI

Perch’i’ no spero di tornar giammai
Perch’i’ no spero
Perch’i’ no spero di tornar

Oscillando tra il proftto e la perdita
In questo breve transito dove il sogno incrocia
Il crepuscolo dai sogni incrociato tra nascita e morte
(Benedicimi padre) sebbene io non voglia volere queste cose
Dall’ampia finestra verso la riva di granito
Le bianche vele ancora volano verso il mare, verso il mare volando
Ali non spezzate

E il cuore perduto s’irrigidisce e gioisce
Nel perduto lillà e le voci perdute del mare
E lo spirito debole si sbriga a ribellarsi
Per la verga d’oro piegata e l’odore del mare perduto
Si sbriga a ritrovare
Il grido della quaglia e il piviere roteante
E l’occhio cieco crea
Le forme vuote tra le porte d’avorio
E l’odore rinnova il sapore salato della terra sabbiosa

Questo è il tempo  di tensione tra morire e la nascita
Il luogo di solitudine dove tre sogni si incrociano
Tra rocce azzurre
Ma quando le voci scosse dall’albero di tasso vagano via
Fa’ che l’altro tasso sia scosso e risponda.

Sorella benedetta, madre santa, spirito della fontana, spirito del giardino,
Non lasciare che che ci prendiamo in giro con falsità
Insegnaci ad avere cura e non curarci
Insegnaci a sedere fermi
Persino tra queste rocce,
In sua voluntade è nostra pace
E persino tra queste rocce
Sorella, madre
E spirito del fiume, spirito del mare,
Non permettere che io sia separato

E il mio grido giunga sino a Te.


Berlicche

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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