Mieli sull’ora di religione

Il 7 maggio 2002 durante il Convegno “ORA DI RELIGIONE E RIFORMA DELLA SCUOLA” (che ha visto la partecipazione a Milano di più di 500 insegnanti), il dottor Paolo Mieli (Direttore editoriale Rizzoli-Corriere della Sera) ha portato questa testimonianza a partire dalla propria esperienza. E queste considerazioni sono ancora oggi di scottante attualità.


«Io non sono cattolico, la mia famiglia è di origine ebraica e quando ero a scuola, trentacinque anni fa, ero esonerato dall’ora di religione. Quindi non frequentavo le lezioni di religione… Finché nel ginnasio della mia scuola, un liceo romano molto prestigioso, il Tasso, venne un sacerdote, ricordo il nome, si chiamava don Tarcisio, che incuriosito perché muovevo i miei primi passi nella politica, un giorno mi invitò a restare in classe all’ora di religione e chiacchierò con gli altri studenti, miei compagni di classe, e me, durante quest’ora. Da quel momento, per i successivi cinque anni (i due anni del ginnasio e i tre anni del liceo), io rimasi, per scelta, a tutte le lezioni di religione e questo dialogo, a volte puntuto a volte condotto in spirito di franchezza e onestà, non un dialogo compiacente, è stato un momento fondamentale della mia vita.


Io ero, appunto, un non credente che invitato a partecipare a quell’ora la sceglieva volontariamente, a differenza di tutte le altre ore di scuola. Le altre ore di scuola le facevo perché ero tenuto a farle, perché la famiglia mi obbligava a farle, perché dovevo crescere, dovevo diplomarmi, dovevo prendere la maturità e poi laurearmi. Quell’ora, invece, me la sceglievo, per cui nella storia della mia giovinezza l’ora di religione è l’ora della scelta, l’ora della libertà, l’ora del confronto, l’ora della crescita.


Quelli erano anni chiusi, molto chiusi, in Italia, e non credo che tutte le lezioni dell’ora di religione fossero come quelle che si svolgevano nella mia classe. Io credo che oggi le cose siano diverse da come erano, per tutti, allora. Ma credo che le ore di religione o tendono a diventare le ore più importanti o non sono


Parliamoci in spirito di sincerità. La verità è che per le altre lezioni si può insegnare senza essere testimoni. Questo, almeno, per quella che è la mia conoscenza della scuola. Certo, sarebbe meglio che ciò non fosse, ma può essere.
L’ora di religione può essere vera, può essere autentica, solo se è l’ora centrale nel panorama dell’insegnamento, dove si affrontano i temi della crescita, nella consapevolezza di che cos’è la religione cattolica nella storia d’Italia, da duemila anni a questa parte, quindi della storia che non comincia nel 1861, ma duemila anni fa. È il momento in cui, lasciando perdere la specificità delle altre discipline, il ragazzo che si fa uomo e cittadino, anche un ragazzo di origini ebraiche com’ero io, si confronta con lo spirito del popolo in cui vive.


In questi anni si discute spesso di affiancare ai modi di insegnamento della religione cattolica l’insegnamento della storia di altre religioni. È una teoria che mi lascia freddo. Perché se è fatta nello spirito di cui vi sto parlando, l’ora di religione è di sua natura un confronto con le altre religioni. Cioè: l’ora di religione non è un’ora di dogma, non è un insegnamento in cui si chieda a degli studenti di imparare a memoria qualcosa, come si fa in matematica, in storia, in letteratura italiana. L’ora di religione è il momento in cui il ragazzo che si fa uomo si cimenta con il suo spirito profondo, con le cose che non conosce di sé, della sua famiglia e del popolo in cui vive, e della storia di questo popolo, da duemila anni a questa parte.


Penso che l’ambizione degli insegnanti di religione debba essere quella di porsi non in un’ottica difensiva, ma in un’ottica super propositiva. Cioè di proiettare l’ora di religione verso una centralità nell’insegnamento. E penso che la battaglia degli insegnanti di religione possa essere vinta solo se si guarda molto lontano e si hanno dei progetti molto ambiziosi.»

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