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Potrebbe essere soltanto una dimostrazione muscolare. O, forse, qualcosa di decisamente più serio e da cui potrebbe essere difficile tornare indietro. Poco fa i Guardiani della rivoluzione iraniani hanno comunicato di aver sparato due missili balistici a medio raggio contro obiettivi ribelli siriani nella zona di Deir ez-Zor, l’enclave leale al governo di Damasco sotto accerchiamento di Isis e altre formazioni terroristiche, come reazione al recente attentato rivendicato dallo Stato islamico al Parlamento di Teheran e al mausoleo di Khomeini.
“Lo spargimento di sangue innocente non resterà senza risposta”, hanno scritto i pasdaran in un comunicato. Stando ai media, l’attacco avrebbe ucciso un gran numero di miliziani e inflitto pesanti perdite materiali. Ma, quasi in una partita di ping pong che nessuno voleva cominciare ma che, una volta partita, potrebbe andare fuori controllo dal fair play, in contemporanea l’esercito siriano ha confermato che aerei della coalizione a guida USA hanno abbattuto un suo velivolo SU-22 alla periferia di Raqqa. “Questo attacco arriva in un momento in cui l’esercito siriano e i suoi alleati stavano avanzando nella lotta contro i terroristi dell’Isis, i quali sono stati battuti in più di un modo nel deserto”, scrive il portavoce dell’esercito di Damasco.
Insomma, la guerra proxy tra i due schieramenti in campo – Siria, Iran e Russia da una parte, USA, sauditi e Israele dall’altra – sembra entrata nel vivo. Quantomeno, segna un precedente assoluto: l’intervento diretto dell’Iran dall’interno dei propri confini, essendo i missili partiti dalla provincia di Kermanshah e non solo attraverso l’esercito dispiegato in Siria o Hezbollah. Cosa potrà succedere da ora in avanti, appare difficile dirlo.
Manca la voce di Mosca, la quale in queste ore sta cercando di capire quanto Donald Trump starebbe davvero provando a depotenziare le nuove sanzioni votate dal Senato, prima che l’emendamento arrivi al voto della Camera dei Rappresentanti. La tensione, questo è certo, è destinata unicamente a salire. E una volta fatta partire la giostra, scendere senza farsi male appare complicato.
Il problema è che, chiunque sia a tirare il primo pugno diretto, a pagare sarà il mondo intero. Europa, ovviamente, non pervenuta. In compenso, ad oscurare il vergognoso dato dell’astensione al secondo turno delle legislative francesi (56% i cittadini aventi diritto che hanno disertato le urne), le quali hanno consegnato al partito di Emmanuel Macron la maggioranza assoluta, ci ha pensato un bell’assalto jihadista contro un resort frequentato da turisti occidentali a Bamako, in Mali (per ora si parla di 2 morti e presa di ostaggi). Guarda caso, zona di operatività delle forze speciali francesi anti-terrorismo, le quali sarebbero infatti in azione insieme a quelle maliane. Magari, toccherà mandarne qualcuno in più e aumentare anche le spese per la difesa, tanto lo stato di emergenza prorogato al 1 novembre, unito alla maggioranza all’Assemblea Nazionale, permettono a Emmanuel Macron di fare ciò che vuole. Et voilà.
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