A me è capitato, e capita ancora, ma credo anche ad alcuni di voi, di vedere seduti sull’altare, durante la celebrazione della messa, il sacerdote, il diacono e quattro o cinque chierichetti, tutti di spalle all’altissimo. O sarà capitato di sentire, intonate dal coro, canzonette dal contenuto banale o sentimentale, o di vedere, a me per fortuna solo su internet, sacerdoti che cantano canzoni di “rito sanremese” (link sotto) i cui autori sono stati i Ricchi e Poveri, o addirittura fare balli e danze, il tutto, ovviamente, durante la celebrazione della santa messa. Si percepisce che qualcosa non quadra, anche se non si riesce a spiegarselo. A me tutti questi eccessi sono diventati chiarissimi la prima volta che ho preso parte ad una messa in rito tridentino, “messa in latino”, come viene comunemente chiamata da noi fedeli. Un rito sempre più seguito, soprattutto dai giovani. E ciò non perché uno si faccia prendere da sentimenti di nostalgia o di natura “esotica”, ma semplicemente perché percepisce tale forma come un aiuto in più a rivolgersi verso l’Alto, piuttosto che un ripiegamento verso un noi, come, purtroppo, sembra avvenire in certe celebrazioni.
La messa secondo il rito tridentino fu istituita nel 2007 da Benedetto XVI con motu proprio, il Sommorum Pontificum. Le norme entrarono in vigore il 14 settembre 2007. Quest’anno ricorrono dunque i primi dieci anni, e per questo si è voluto far memoria con un convegno iniziato ieri all’Angelicum di Roma a cui hanno partecipato anche il card. Müller, già prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ed il card. Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Riprendo alcuni stralci da due articoli pubblicato oggi dalla NBQ.
Il card. Sarah ha precisato che «la dimenticanza di Dio è il pericolo più incalzante del nostro tempo». Inoltre, “se la Chiesa di oggi è meno zelante ed efficace nel portare le persone a Cristo una delle cause può essere la nostra mancata partecipazione alla Sacra Liturgia in modo autentico ed efficace”.
Per Sarah “questo può essere anche dovuto al fatto che molto spesso la liturgia, così come viene celebrata, non è celebrata fedelmente e pienamente come la intende la Chiesa, ma depauperandoci o deprivandoci di quel pieno incontro con Cristo nella Chiesa, che è un diritto di ogni battezzato”. Capita che “molte liturgie sono davvero nient’altro che “antropocentriche”, “un teatro, un divertimento mondano, con tanti rumori, danze e movimenti corporali che assomigliano alle nostre manifestazioni folkloriche”. Invece, la liturgia è il momento di un incontro personale e di intimità con Dio. Per questo, il card. Sarah ha precisato come il “volgersi ad Deum o ad orientem durante la liturgia Eucaristica, sia una gestualità (..) perfettamente appropriata – e io insisto – e pastoralmente vantaggiosa”.
Stesso argomento per il silenzio, il solo che “può edificare ciò che sosterrà la sacra celebrazione perché il rumore uccide la liturgia, assassina la preghiera, ci strappa e ci esilia lontano da Dio”.
Il card. Müller ha detto che «siccome la fede cristiana non è un sistema dottrinale teoretico, ma personale unità di vita con Cristo e con la Chiesa, bisogna intendere la liturgia anzitutto come elemento centrale, costitutivo dell’agire della Chiesa e manifestazione vivente della sua professione, e non come ambito per l’applicazione secondaria dei concetti teoretici-teologici». E, citando il suo maestro, Benedetto XVI, ha detto: «nella liturgia si decide il futuro della chiesa». Riprendendo poi il noto assioma “lex orandi, lex credendi”, il card. Muller indica che tale formula tradizionale «è espressione della fondamentale comprensione della natura della liturgia come autorealizzazione della Chiesa e fonte normativa di tutta la teologia».
Infine, una citazione dell’allora cardinale Ratzinger: «La liturgia non deve diventare campo sperimentale di ipotesi teologiche. […] La liturgia trae la sua grandezza da ciò che è e non da ciò che noi facciamo con essa. Certo, il nostro agire è necessario, ma come un umile inserirsi nello spirito della liturgia e come servizio a Colui che è il vero soggetto della liturgia: Gesù Cristo. La liturgia non è espressione della coscienza della comunità, coscienza del resto sparpagliata e mutevole. Essa è Rivelazione accolta nella fede e nella preghiera e la sua misura è pertanto la fede della Chiesa che è il “recipiente” della Rivelazione».
fonte: facebook Sabino Paciolla