Cari amici di Duc in altum, credo che il fatto sia senza precedenti: una monaca di clausura, a nome suo e di alcune sue consorelle, risponde alle monache, anche loro di clausura, che giorni fa hanno indirizzato, tramite il quotidiano Avvenire, una lettera aperta alle massime cariche dello Stato per esprimere preoccupazione circa il clima di intolleranza e di violenta discriminazione che, a loro dire, sarebbe diffuso in Italia e per dirsi pronte ad accogliere i migranti.
La monaca che mi ha scritto, e che si firma “Monaca guierriera di Cristo Re”, contesta la lettera aperta delle altre monache per quanto riguarda sia il metodo sia il contenuto, ed esorta le consorelle ad aprire sì i loro monasteri, ma verso il Cielo, che è poi, sottolinea, l’autentica vocazione delle claustrali.
A.M.V.
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Gentile dottor Valli, ho visto che lei spesso dà spazio e voce a singole testimonianze e commenti. Sono stata edificata dal commento della sorella eremita che lei ha pubblicato e ho deciso di scrivere anch’io. Lo faccio perché ho provato un grande dolore nel leggere la lettera aperta inviata da altre monache alle massime cariche dello Stato (presidente della Repubblica e presidente del Consiglio) e successivamente pubblicata sul quotidiano della Cei. Sono monaca anch’io, da lunghissimi anni. È la prima volta che scrivo a un giornalista e scelgo di rivolgermi a lei per dare voce a tante sorelle con cui ho avuto occasione di confrontarmi in questi giorni e che sono dispiaciute e ferite dalla scelta fatta da questi monasteri.
Care sorelle d’Italia e dei migranti, molte cose hanno disorientato e sconvolto noi altre sorelle claustrali. Innanzitutto la vostra scelta di gridare, come fa il mondo, il che è alquanto insolito per noi suore di clausura. Anche se la decisione di aprire i vostri monasteri ai migranti fosse giusta, e secondo me non lo è, perché fare in modo che tutti lo sappiano, contraddicendo uno stile di vita che ci caratterizza da sempre? Forse la clausura dei vostri monasteri è stata invasa dai mezzi di comunicazione che vi hanno fatto perdere il contatto con la realtà? Il Santo Padre Francesco nel documento che scrive a noi monache ci esorta perché questi mezzi “siano al servizio della formazione alla vita contemplativa e delle comunicazioni necessarie, e non occasione di dissipazione o di evasione dalla vita fraterna in comunità, né danno per la vostra vocazione, né ostacolo per la vostra vita interamente dedita alla contemplazione”. Com’è dunque possibile che anime di vita contemplativa dal silenzio delle loro grate parlino di “preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione”? La vostra preoccupazione ci lascia perplesse.
Noi, claustrali con i monasteri chiusi, crediamo invece che non sia necessario affiancare le istituzioni diocesane nell’ospitalità umana dei migranti (come potremmo prendercene cura senza infrangere le leggi della clausura?). Il nostro compito è ben più silenzioso e profondo. La nostra dimensione è verticale, non orizzontale, invisibile e nascosta, non evidente (e forse non raccoglie il plauso del mondo). La nostra vocazione di contemplative non ci chiama all’impegno nel sociale; se lo facessimo, finiremmo per snaturarci e perdere la nostra identità, diventando fili d’erba in balia del vento. La nostra vita, con l’apertura alla preghiera e al sacrificio nel nascondimento, è già un aiuto immenso per tutti i fratelli: aiutiamo le anime prima dei corpi, intercediamo per la salvezza eterna dei nostri fratelli, lasciando che siano gli altri componenti del Corpo Mistico di Cristo a prendersi cura materiale di loro.
Noi tutte, claustrali rimaste nel silenzio, con i nostri monasteri chiusi, intendiamo ricordare al mondo che la nostra vocazione è quella di distacco dal mondo, per la salvezza del mondo stesso. Intendiamo anche esprimere dolore per le nostre consorelle che hanno fatto proprio lo spirito del mondo, dimenticando le radici della nostra vocazione. Non era questo lo spirito delle vostre fondatrici, Santa Chiara d’Assisi e Santa Teresa d’Avila, che si sono rinchiuse e dedicate alla preghiera. Il Santo Padre ce lo ricorda nell’ultimo documento, riferendosi alla nostra vita come a un’esperienza “centrata nel Signore quale primo ed unico amore”, e afferma: “Quanta efficacia apostolica si irradia dai monasteri attraverso la preghiera e l’offerta! Quanta gioia e profezia grida al mondo il silenzio dei chiostri!”
Spero dunque che queste mie povere parole possano aiutare ciascuna di voi, care sorelle d’Italia e dei migranti, nei vostri sessantadue monasteri, a ritrovare la giusta dimensione delle cose, a rimettere l’unum necessarium al centro, senza paura di togliere in questo modo qualcosa agli altri. Se siamo ciò che dobbiamo essere, allora i nostri monasteri saranno porte spalancate verso il Cielo. Preghiamo e intercediamo, così come ci chiede il Santo Padre, senza nulla anteporre a Cristo.
Una vostra sorella, monaca guerriera di Cristo Re