«Santità, la Chiesa dovrebbe fare una giornata di preghiera per la pace in Siria», aveva detto monsignor Nazzaro. «Mi pare un’idea bellissima», aveva risposto Francesco. «Lei che ne pensa?», aveva aggiunto il Papa rivolgendosi al presule che l’affiancava in quell’incontro.
«Non so», aveva risposto questi, «il 1 gennaio la Chiesa celebra già la giornata della pace…». Risposta prudente ma non certo cattiva: probabilmente il presule pensava che la Chiesa non poteva prediligere un luogo di conflitto piuttosto che un altro: poteva apparire ingiusto agli occhi delle vittime di altre guerre.
E però… «No, no, serve una giornata di preghiera per la Siria», aveva ribadito monsignore con forza. «Mi sembra proprio una bella idea», aveva detto ancora il Papa…
Questo il racconto che ci è stato fatto di quell’incontro di presuli svoltosi a Roma nel 2013 con il Santo Padre. Resoconto sommario, non letterale ovviamente, ché certo nessuno si è messo a registrare (né monsignore se ne è mai vantato).
Giorni dopo, quando la guerra cattiva rischiava di tracimare impazzita, quando gli americani erano a un passo dall’avviare una campagna militare, Francesco lanciò a tutto il mondo quell’appello accorato, chiedendo a tutta la Chiesa una giornata di digiuno e di preghiera per chiedere al Signore il dono della pace per la Siria.
Così il 7 settembre 2013 tutta la Chiesa si fermò, San Pietro si riempì di fedeli e l’intervento americano fu evitato grazie a uno stupendo escamotage: la promessa di Damasco di distruggere tutte le armi chimiche in suo possesso.
Non sappiamo se Francesco nel lanciare il suo appello si sia ricordato di quell’incontro pregresso con monsignor Nazzaro, ma certo è possibile.
Tanto che, tra l’altro, le “sue” suore, le trappiste del monastero di Azeir, in Siria, avevano messo in relazione la cosa. In una lettera inviata al Blog Ora pro Siria scrivevano: «Vorremmo qui però approfittare anche per dire grazie a Mons. Giuseppe Nazzaro… Eh, sì.. perché ieri, quando stavamo commentando fra noi la veglia di preghiera, e la nostra esperienza con i giovani e gli adulti qui al villaggio, sr Mariangela se ne salta fuori dicendo : “dobbiamo ringraziare anche Mons. Nazzaro, perché è stato lui che lo ha chiesto al Papa”
».
«Sì!!!…è vero !! Ricordate? Non molto tempo fa, in una intervista, ci aveva detto che aveva avuto qualche minuto per parlare col Papa della Siria, e gli aveva chiesto una sola cosa: organizzare una giornata mondiale di preghiera per la Siria!
».
Non abbiamo un riscontro più autorevole per dar per certo questo collegamento, né in fondo è tanto interessante. Di certo, e questo ci sembra rilevante, tra il monsignore e il Papa nella circostanza ci fu piena sintonia.
È con questo ricordo che vorremmo far memoria di monsignor Giuseppe Nazzaro, morto il 27 ottobre scorso.
Già Custode di Terra Santa, nel 2001 viene inviato in Siria dove, l’anno dopo, diventa amministratore apostolico di Aleppo. È in questa sede che monsignore vede la guerra arrivare, graffiare la sua città nel profondo, investirla con il suo carico di morte e di orrore.
Figura scomoda monsignore, lui, come altri uomini della Chiesa siriana, raccontava quel conflitto all’opposto della narrativa imperante: non una guerra civile tra il tiranno al potere e dei valorosi combattenti per la libertà, ma qualcosa di molto più sporco: un conflitto nel quale a feroci mercenari era stato dato il compito di abbattere un governo inviso a qualche Paese straniero, usando il terrore come arma di distruzione di massa.
Il tempo gli ha dato ragione, oggi che la barbarie dell’Isis e degli altri tagliagole jihadisti è evidente a (quasi) tutti.
Ma la sua sincerità lo aveva reso scomodo e aveva iniziato a essere osteggiato (non solo a livello laico).
Dal momento che raccontava l’orrore sparso a piene mani dai cosiddetti “ribelli”, veniva bollato come persona «di parte», come ricordano oggi le suore di Azeir, cioè vicino ad Assad. Inaffidabile quindi. Un modo come un altro per mettere a tacere una voce discorde.
Diventato emerito, era tornato in Italia ma non si era rassegnato alla pensione. Da buon pastore, non poteva abbandonare le sue pecore in balia dei lupi. Così, di lontano, aveva continuato a consumarsi per la sua terra: cercava ogni occasione, pubblica e privata, per raccontare la tragedia di quel mattatoio a ciclo continuo. Usando dei rapporti che la vita gli aveva donato, aveva anche messo su una rete di persone più o meno influenti per tentare di dare un qualche contributo alla pace, di trovare fondi da inviare a quanti la guerra stava martoriando.
Lo avevamo intervistato al tempo, e le sue parole suonano ancora attuali, ché poco è cambiato da allora di quel conflitto cattivo.
Ne era nata un’amicizia a distanza, che oggi piace ricordare con alcune righe di una lettera che le monache di Azeir hanno inviato al sito Ora Pro Siria: «Senza canonizzare nessuno (non è necessario, perché la comunione dei santi è fatta da tutti noi, battezzati e peccatori e però figli di Dio) ci piace pensare, come un’amica ci ha suggerito, che mentre Padre Giuseppe entrava in agonia, la parrocchia di Azizieh, ad Aleppo, era sotto bombardamento… e che non ci sono stati morti… un piccolo segno che una vita donata con tutto il cuore partecipa di grandi cose…
».
fonte: Piccole Note