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Mercoledì 5 dicembre 2018 è partita dal complesso di lancio numero 40 di Cape Canaveral la missione SpX CRS-16, la sedicesima missione di rifornimento alla ISS gestita dall’azienda Space X nell’ambito del famoso programma di voli commerciali CRS finanziato da NASA. Tutto si è svolto senza intoppi e il veicolo di rifornimento automatico Dragon è stato spinto dal vettore Falcon 9 nella corretta traiettoria che lo ha portato all’incontro con la Stazione Spaziale Internazionale.
Purtroppo il rientro del primo stadio non è avvenuto in maniera corretta a causa di alcuni problemi alle pompe idrauliche che gestiscono le alette di controllo posizionate in cima al vettore. Correttamente la procedura di sicurezza ha fatto in modo che lo stadio ammarasse a poca distanza dalla costa senza creare problemi o essere pericoloso per le infrastrutture del centro spaziale statunitense.
Ma la particolarità di questa missione risiede in una parte del suo carico, precisamente in uno dei carichi scientifici che è stato trasportato a bordo della ISS: RRM3, ossia Robotic Refueling Mission 3 (Missione Robotica di Rifornimento). Come suggerisce il nome si tratta di una missione inerente al rifornimento robotico nello spazio e dal numero si intuisce anche che costituisce la terza fase di questo programma. Nelle precedenti fasi svoltesi sulla ISS, l’agenzia spaziale statunitense ha accumulato esperienza nelle operazioni propedeutiche relative alla rimozione di coperture e gestione di valvole dei sistemi di immagazzinamento nei mezzi spaziali ma ha sempre terminato la sequenza di lavoro appena prima di eseguire il trasferimento vero e proprio di qualsiasi fluido criogenico.
L’obiettivo finale di questa tecnologia è l’estensione della vita operativa delle missioni spaziali in genere e non a caso si parla di fluidi criogenici e non semplicemente di carburante poiché contrariamente a quanto suscita nella mente la parola rifornimento, l’obiettivo finale della NASA è rifornire i mezzi spaziali di qualsiasi tipo di fluido e non solo di carburante. Infatti parlando di missioni spaziali, la durata utile non è limitata solamente dalla necessità di carburante per gli spostamenti e le manovre. Per questo quando si parla di fluidi criogenici in ambito spaziale ci si riferisce certamente a carburante ad alto potenziale (poiché questo tipo di carburanti producono un’alta spinta o accelerazione, permettendo ai razzi di sfuggire alle forze gravitazionali dei corpi planetari), ma vengono utilizzati comunemente anche come refrigeranti per mantenere i mezzi spaziali operativi preservandone le funzionalità per un periodo di tempo più lungo.
Tra i fluidi criogenici utilizzati in ambito astronautico vi è poi l’ossigeno liquido che oltre a poter essere usato come comburente per la propulsione, ha la possibilità di essere utilizzato nei sistemi di supporto vitale per gli astronauti ma anche per la produzione di energia elettrica nelle celle a combustibile. Si tratta quindi materiale dai molteplici usi.
Avere la capacità di conservare efficientemente e di rifornire direttamente nello spazio (in orbita attorno a un corpo celeste o nello spazio profondo) questo tipo di fluidi permetterà di estendere la durata delle missioni sia dal punto di vista temporale che delle distanze. Infatti l’abilità di rifornire mezzi spaziali di fluidi criogenici direttamente nello spazio potrebbe permettere di ridurre, a esempio, la quantità di carburante che il mezzo spaziale deve portarsi appresso dalla superficie della Terra: i mezzi potrebbero sfruttare tutto il peso pagante del lanciatore e partire con il minimo di carburante necessario fino al rifornimento cosa che si traduce in lanciatori più piccoli (leggasi meno costosi) per lo stesso mezzo spaziale o mezzi spaziali più grandi sullo stesso lanciatore.
Lo scenario più ovvio poi del rifornimento nello spazio è la semplice estensione di una missione che altrimenti si chiuderebbe una volta terminati i fluidi criogenici caricati al lancio come ci spiega Beth Adams Fogle, gestore della missione RRM3 all’interno dell’ufficio del programma Technology Demonstration Mission di NASA presso il Marshall Spaceflight Center di Huntsville in Alabama.
“Ogni volta che riusciamo ad allungare la nostra permanenza nello spazio è una conquista per l’esplorazione e la capacità di RRM3 di trasferire e conservare fluidi criogenici potrebbe modificare gli attuali vincoli che abbiamo nell’esplorazione umana.”
Un’altra delle possibilità che si aprono con questa tecnologia è la raccolta di acqua sulla Luna per ricavarne i suoi elementi costitutivi (idrogeno e ossigeno) da trasferire poi sui mezzi spaziali in transito. Le tecnologie di RRM3 definiranno i metodi per il trasferimento e lo stoccaggio di queste risorse per rifornire mezzi spaziali in missioni di esplorazione, ponendo le basi di quelle che un giorno potrebbero essere delle stazioni di servizio lunari.
Oltre la Luna, anche l’anidride carbonica dell’atmosfera marziana ha il potenziale per essere convertita in metano liquido, un fluido criogenico. Le tecniche di RRM3 potrebbero quindi essere usate per rifornire razzi per la partenza da Marte.
I fluidi criogenici dunque sono molto utili ma il loro basso punto di ebollizione rende il loro stoccaggio nello spazio difficile poiché evaporano continuamente formando delle bolle all’interno dei serbatoi con conseguente aumento della pressione. Le difficoltà poi aumentano se pensiamo all’ambiente a microgravità: queste bolle non salgono in superficie automaticamente come avviene in presenza di gravità e potrebbero invece posizionarsi all’imboccatura delle linee di trasferimento bloccandole. Per questo motivo RRM3 non solo trasferirà fluidi criogenici ma punta a conservarne 42 litri senza perdite per 6 mesi, una quantità sufficiente per sostenere la strumentazione di un mezzo spaziale per diversi anni. L’obiettivo di conservazione criogenica verrà conseguito tramite un avanzato isolamento multistrato.
“Quando qualcosa viene provato per la prima volta esiste un fattore di rischio”
Così illustra Jill McGuire, il direttore di progetto per RRM3, le difficoltà che stanno affrontando nell’ambito del programma.
“Speriamo che la nostra dimostrazione tecnologica aiuti ad abbassare i rischi del rifornimento nello spazio per le future missioni scientifiche e di esplorazione.”
Gli ingegneri NASA si sono basati sulle lezioni apprese con RRM e RRM2 per progettare questa nuova generazione di strumentazione di rifornimento. Durante le operazioni della missione RRM3, il braccio robotico Dextre della Stazione Spaziale Internazionale eseguirà dei compiti utilizzando una serie di 3 accessori principali. Il primo a essere utilizzato sarà il Multi-Function Tool 2 (MFT2) che con i suoi strumenti specializzati più piccoli preparerà il trasferimento di fluido rimuovendo i tappi e preparando le valvole necessarie. Quindi il Cryogenic Servicing Tool (CST) utilizzerà un tubo flessibile per collegare il serbatoio riempito di metano liquido con quello vuoto. A questo punto il processo di trasferimento inizierà e verrà monitorato tramite il Visual Inspection Poseable Invertebrate Robot 2 (VIPIR2) che utilizza una camera robotica di ultima generazione per verificare che gli attrezzi siano nella posizione corretta e che durante il trasferimento non si formi del ghiaccio. Il tutto verrà eseguito presso il Fluid Transfer Module (FTM) posizionato nell’ExPRESS Logistics Carrier 1 (ELC 1) Site 3, una delle piattaforme esterne della Stazione Spaziale Internazionale destinate alle sperimentazioni scientifiche da effettuarsi nel vuoto esterno.
“Impariamo facendo”
E’ il mantra di Ben Reed, vice direttore della Divisione del Progetto di Servizio ai Satelliti del Goddard Space Flight Center di NASA a Greenbelt in Maryland, che conclude con un po’ di orgoglio:
“Essere pionieri in nuove tecnologie è duro ma quando riusciamo a raggiungere l’obiettivo, la ricompensa è grande.”