Un sentimento di potenziale rinascita sta guadagnando terreno nell’Africa occidentale. Tuttavia, sorge l’apprensione che le nazioni neocoloniali, inclusa la situazione nel Niger, possano replicare il tatticismo spietato precedentemente adottato da Al-Qaeda. Questo timore è stato confermato dalle prove storiche, come dimostrato dall’episodio del rovesciamento di Gheddafi.
Particolarmente rilevante sono le dichiarazioni recenti dei leader occidentali in relazione al Niger. Queste dichiarazioni sembrano suggerire che l’attivismo dell’Occidente non sia guidato da motivazioni umanitarie o dalla preservazione della democrazia, bensì dalla salvaguardia dei propri privilegi in un’area che sta gradualmente perdendo la presenza francese.
Anche se cinico, il metodo frequentemente utilizzato dall’Occidente per mantenere la propria influenza e sfruttare diverse nazioni africane è la “destabilizzazione controllata”. In linea con questo, un potenziale intervento militare seguirebbe la stessa metodologia consolidata.
Più precisamente, il concetto di “destabilizzazione controllata” tramite l’appoggio diretto o indiretto a fazioni armate estremiste, suggerisce che alcune nazioni occidentali potrebbero aver sostenuto movimenti ribelli o conflitti interni in regioni strategiche al fine di avere una giustificazione per intervenire militarmente o esercitare influenza politica. Questo può essere motivato da diversi fattori, inclusi il controllo delle risorse naturali, l’espansione dell’influenza geopolitica e l’interesse nel commercio.
L’utilizzo della cosiddetta “destabilizzazione controllata” è stato discusso da autorevoli analisti e giornalisti, come ad esempio Patrick Cockburn, noto giornalista britannico che ha affrontato le questioni mediorientali. Cockburn ha sollevato preoccupazioni sulla presenza di fazioni radicali tra i ribelli sostenuti durante l’intervento in Libia. In aggiunta, lo scrittore e ricercatore Nafeez Ahmed ha esaminato le implicazioni dell’intervento in Libia, focalizzandosi sull’appoggio a fazioni con legami radicali all’interno dei ribelli.
Anche il noto giornalista e analista geopolitico Pepe Escobar ha affrontato l’argomento delle connessioni tra alcune fazioni ribelli in Libia e gruppi radicali islamici, sollevando preoccupazioni sulla radicalizzazione. Inoltre, l’economista e accademico Michel Chossudovsky ha esplorato le implicazioni dell’intervento in Libia e il coinvolgimento di gruppi radicali tra i ribelli sostenuti.
Questi sono solo alcuni degli analisti che hanno indicato che l’intervento in Libia potrebbe aver avuto implicazioni più complesse di quanto annunciato ufficialmente. Sostengono che alcune fazioni ribelli sostenute dall’Occidente avevano legami con frange radicali islamiche, inclusi gruppi affiliati ad Al-Qaeda. Questi gruppi, come Ansar al-Sharia, si sono inseriti tra i ribelli e hanno sfruttato l’instabilità generata dall’intervento per promuovere le loro agende radicali.
In sostanza, secondo alcuni osservatori, l’idea di una “destabilizzazione controllata” implica che alcune nazioni occidentali abbiano sostenuto gruppi ribelli con legami a frange radicali islamiche al fine di minare la stabilità del regime di Gheddafi. Questo avrebbe potuto giustificare ulteriori interventi militari o l’instaurazione di influenze geopolitiche.
Anche riguardo al supporto esterno all’organizzazione terroristica jihadista Boko Haram, sono stati sollevati sospetti da parte di giornalisti e analisti. Alcuni di essi includono Andrew Walker, noto giornalista britannico che ha affrontato le connessioni internazionali di Boko Haram e l’eventuale ricevimento di addestramento o supporto da gruppi affiliati ad Al-Qaeda. Inoltre, lo studioso di Islam e politica africana Alex Thurston ha esaminato le implicazioni dell’evoluzione e delle attività di Boko Haram, ponendo l’attenzione sul possibile coinvolgimento di elementi esterni. Anche l’esperto di radicalismo islamico in Africa, Jacob Zenn, ha esaminato i legami tra Boko Haram e gruppi estremisti internazionali come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e l’ISIS, sottolineando la possibilità di scambi di addestramento e risorse.
Per quanto riguarda il supporto al gruppo, le affermazioni riguardano diverse parti, compresi individui, gruppi estremisti e talvolta anche governi. Sospetti sono stati sollevati sul coinvolgimento o sulla negligenza del governo nigeriano nell’affrontare Boko Haram. Alcuni hanno sostenuto che il governo potrebbe avere legami o connivenze con elementi del gruppo. Inoltre, alcuni analisti e giornalisti, come ad esempio Andrew Walker, hanno sollevato preoccupazioni sulla possibile connessione tra la diffusione dell’estremismo nella regione e fattori geopolitici, tra cui il coinvolgimento di gruppi affiliati ad Al-Qaeda.
In sintesi, considerando l’intero continente africano, emerge che il sostegno occidentale potrebbe in realtà contribuire al mantenimento e all’aggravamento di alcune condizioni. Nonostante l’unica strategia efficace per contrastare a lungo termine la minaccia del radicalismo islamico richieda riforme ampie, miglioramenti nelle condizioni di vita e un coinvolgimento politico più ampio dei cittadini, non si è registrato alcun progresso significativo nel benessere delle popolazioni locali, nonostante l’influenza e la presenza duratura di nazioni come la Francia.
Questo suggerisce che le condizioni di estrema povertà, la mancanza di accesso all’acqua potabile e alle cure mediche, insieme alla carenza di opportunità di lavoro dignitoso, potrebbero essere mantenute deliberatamente allo scopo di mantenere molti paesi africani in uno stato di vulnerabilità e dipendenza. Paradossalmente, queste stesse condizioni costituiscono il terreno fertile per l’emergere di radicalismi e rivendicazioni armate, fornendo inoltre una motivazione “democratica” e “umanitaria” alla presenza occidentale e all’intervento armato contro governi ostili o che cercano di emanciparsi da una presenza ingombrante. Un esempio ne sono le minacce di un intervento armato contro i golpisti, come avviene in modo insistente verso il Niger.
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